Boris Akunin - La Regina d'Inverno

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La Regina d'Inverno: краткое содержание, описание и аннотация

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Mosca, 1876: in un parco affollato, un giovane si spara davanti agli occhi di una ragazza che poco prima gli aveva rifiutato un bacio. И solo il primo di un'inquietante catena di suicidi apparentemente inspiegabili. Dietro quei gesti tanto assurdi si nasconde forse un intrigo internazionale, ordito al di fuori della madre Russia? A indagare sul caso и Erast Fandorin, investigatore alle prime armi pieno di entusiasmo e acume. La pista che segue lo condurrа ai quattro angoli della Terra, in una serie di avventure rocambolesche che approderanno a una veritа sconvolgente e imprevedibile. Con Fandorin nasce una indimenticabile figura di detective in grado di rivaleggiare con «classici» quali Poirot, Sherlock Holmes e Montalbano.

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Bussarono furtivamente alla porta, ed Erast Petrovič, rabbrividendo, infilò la mano dietro la schiena, nella fondina segreta, e palpò l’impugnatura scanalata della Herstal.

Nell’apertura della porta si affacciò la fisionomia servile del conduttore.

«Vostra eccellenza, stiamo per raggiungere una stazione. Non vorreste sgranchirvi le gambe? C’è anche il buffet.»

Per via di questo «eccellenza» Erast Petrovič raddrizzò le spalle e si sbirciò furtivamente allo specchio. Possibile lo prendessero davvero per un generale? Allora, «sgranchire le gambe» non era male, e poi camminando si pensa meglio. Gli si aggirava per il capo una certa idea confusa, e non faceva che scivolare via, non voleva lasciarsi afferrare, ma gli dava speranza — era come se gli dicesse: prendimi, prendimi.

«Magari. Quanto ci fermiamo?»

«Venti minuti. Ma non preoccupatevi, andate pure a spasso.»Il conduttore fece una risatina. «Senza di voi non si parte.»

Erast Petrovič saltò giù dalla scaletta sulla piattaforma inondata di luce della stazione. In alcune finestre dello scompartimento l’illuminazione era già spenta: evidentemente, alcuni passeggeri erano andati a dormire. Fandorin si stirò con gusto e incrociò le mani dietro la schiena, preparandosi al moto destinato a promuovere una più intensa attività intellettuale. Sennonché in quello stesso istante, dal medesimo vagone, era sceso il signore imponente, baffuto, col cilindro, che indirizzò verso il giovane uno sguardo pieno di curiosità e allungò la mano verso la sua graziosa accompagnatrice. Nel vederne l’incantevole, fresco visino, Erast Petrovič si sentì raggelare, mentre la signorina si illuminò tutta ed esclamò con voce squillante: «Papà, è lui, quel signore della polizia! Ti ricordi, te l’avevo raccontato? Ma quello che era venuto per me e la signorina Pful, a farci l’escussione!»

L’ultima parola era stata pronunciata con evidente piacere, e i chiari occhi grigi guardarono Fandorin con vivo interesse. Bisogna riconoscere che gli eventi da capogiro delle ultime settimane avevano piuttosto messo a tacere i ricordi di colei che Erast Petrovič chiamava fra sé esclusivamente «Lizanka», e a volte, in momenti particolarmente sognanti, perfino «tenero angelo». Tuttavia di fronte a questo caro essere il fuocherello, che aveva già scottato a suo tempo il cuore del povero registratore di collegio, riprese a vampeggiare in un attimo facendogli ardere i polmoni di scintille di fuoco.

«Io, a dire il vero, non sono della polizia», borbottò arrossendo Fandorin. «Fandorin, funzionario incaricato speciale presso…»

«So tutto, Je vous le dis tout cru», disse il baffuto con aria cospiratoria, col brillante che gli scintillava sulla cravatta. «Faccenda di Stato, potete non entrare in merito. Entre nous soit dit, io stesso ho avuto a che farci ripetutamente per la natura della mia attività, così che capisco tutto benissimo», disse sollevando il cilindro. «Permettetemi tuttavia di presentarmi. Consigliere segreto effettivo Aleksandr Apollodorovič Evert-Kolokolzev, presidente della Camera di giustizia del governatorato di Mosca. Mia figlia, Liza.»

«Chiamatemi semplicemente ‘Lizzi’, ‘Liza’ ha un suono che non mi piace», gli chiese la signorina, e si dichiarò ingenuamente. «Ho pensato spesso a voi. Siete piaciuto a Emma. Mi ricordo anche come vi chiamate — Erast Petrovič. Bel nome, Erast.»

Fandorin credette di essersi addormentato e di star facendo un sogno meraviglioso. Qui la cosa più importante era non muoversi, altrimenti, Dio non lo volesse, si sarebbe destato.

QUINDICESIMO CAPITOLO

in cui l’importanza di una respirazione corretta viene dimostrata in modo più che convincente

In compagnia di Lizanka (a quel «Lizzi» Erast Petrovič proprio non riusciva ad abituarsi) si stava altrettanto bene chiacchierando che tacendo.

Il vagone ondeggiava sulle giunzioni, di tanto in tanto si udivano i ruggiti della sirena del treno che avanzava a velocità da capogiro attraverso boschi insonnoliti, avvolti nella nebbia che precede l’alba, mentre Lizanka ed Erast Petrovič stavano seduti sulle morbide sedie del primo scompartimento e tacevano. Il più del tempo guardavano alla finestra, ma di tanto in tanto si lanciavano occhiate, e se i loro sguardi si incrociavano senza volere, questo avveniva senza il minimo imbarazzo, anzi, in modo allegro e piacevole. Ormai Fandorin lo faceva apposta di voltarsi dalla finestra con la maggiore accortezza possibile, e ogni volta, quando riusciva a cogliere con il suo lo sguardo di lei, Lizanka scoppiava a ridere.

Non conveniva parlare anche perché in quel modo si sarebbe svegliato il signor barone, il quale stava sonnecchiando tranquillo sul divano. Solo un attimo prima Aleksandr Apollodorovič aveva sostenuto con Erast Petrovič una discussione animata sulla questione balcanica, ma poi, quasi a metà frase, aveva preso di colpo a russare lasciandosi cadere la testa sul petto. Adesso la testa gli dondolava assecondando il battito delle ruote del vagone: ta-dam, ta-dam (là-qua, là-qua); ta-dam, ta-dam (là-qua, là-qua).

Lizanka rideva piano di chissà quali suoi pensieri, e quando Fandorin la guardò con aria interrogativa gli spiegò: «Voi siete così intelligente, sapete ogni cosa. Prima avete spiegato tutto a papà di Midchat pascià e di Abdul Hamid. E io sono così stupida, non potete nemmeno immaginarlo».

«È impossibile che voi siate stupida», le sussurrò Fandorin con convinzione profonda.

«Io vi racconterei anche una cosa, però mi vergogno… Ma ve la racconterò lo stesso. Non so perché ho l’impressione che non riderete di me. Intendo dire, riderete insieme a me, ma non senza di me. Vero?»

«Verissimo!» esclamò Erast Petrovič, ma il barone mosse le sopracciglia nel sonno, e il giovane tornò a sussurrare. «Io non riderò mai di voi.»

«Guardate che me lo avete promesso. Io dopo quel vostro arrivo avevo immaginato di tutto… E avevo delle fantasie così belle. Però molto tristi e con un finale tragico. Per via di Povera Liza. Liza ed Erast della novella di Karamzin, vi ricordate? A me è sempre piaciuto moltissimo il nome Erast. Immaginavo: giaccio bella e pallida in una tomba, tutta circondata da rose bianche, vuoi perché sono affogata, o perché sono morta di tisi, mentre voi singhiozzate, e anche il papà e la mamma singhiozzano, mentre Emma si soffia il naso. È buffo, vero?»

«Buffo», confermò Fandorin.

«È proprio un miracolo che ci siamo incontrati così alla stazione. Eravamo andati ospiti da ma tante, e saremmo dovuti tornare ieri, ma papà ha dovuto trattenersi per affari al ministero e abbiamo cambiato i biglietti. Non è un miracolo?»

«Quale miracolo?» si stupì Erast Petrovič. «È il destino.»La finestra incorniciava un cielo strano: tutto nero, ma bordato di scarlatto lungo l’orizzonte. Sul tavolo biancheggiavano i poveri dispacci dimenticati.

Il vetturino portò Fandorin attraverso tutta la Mosca mattutina, dal capolinea della linea ferroviaria Nicola Primo fino al quartiere residenziale di Chamovniki. Era una giornata pulita e gioiosa, mentre nelle orecchie di Erast Petrovič non si spegneva ancora il saluto d’addio di Lizanka: «Allora verrete immancabilmente oggi! Promesso?»

Aveva organizzato a meraviglia le ore della sua giornata. Prima di tutto sarebbe andato all’esthernato, da milady. Alla direzione dei gendarmi era meglio passarci dopo, per parlare col direttore, e se gli fosse riuscito di chiarire qualcosa di importante con lady Esther, allora avrebbe spedito un telegramma a Lavrentij Arkadevič. D’altra parte nel corso della notte potevano essere arrivati i dispacci mancanti… Fandorin estrasse dal nuovo portasigari d’argento un lungo sigarillo che accese con un certo impaccio. Non sarebbe stato meglio passare prima dalla gendarmeria? Ma il cavalluccio già trottava per via Ostoženka, e tornare indietro era stupido. Quindi: prima da milady, poi alla direzione, poi a casa, a prendere le sue cose e traslocare in una pensione come si deve, poi si sarebbe cambiato, avrebbe comprato dei fiori e per le sei si sarebbe trovato alla Malaja Nikitskaja, dagli Evert-Kolokolzev. Erast Petrovič sorrise beato e canticchiò: «Lui era un consigliere titola-are, lei la figlia di un genera-ale, lui le dichiarò timidamente il suo amo-ore, lei lo ca-a-acciò con orro-ore».

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