Pronunciò una breve esclamazione, sparò alla cieca e ruzzolò giù per le scale. Non rimasi a vedere quello che era successo. Saltai oltre la porta, la sbattei con forza e la chiusi a chiave. Poi lasciai la casa di corsa. Attraversai la porta principale che avevo malauguratamente lasciato aperta quando avevo seguito DeChooch in cucina.
Bussai forte a casa di Angela Margucci, urlandole di venire ad aprire. Angela venne alla porta e quasi la buttai a terra tanta era la foga con cui entrai. «Chiuda a chiave» dissi. «Chiuda tutte le porte e vada a prendermi il fucile di sua madre.» Poi corsi al telefono a chiamare la polizia.
La polizia arrivò prima che potessi riacquistare il controllo e tornare nella casa. Non aveva senso tornare se le mani mi tremavano così tanto da non riuscire a tenere fermo il fucile.
Due agenti entrarono nella metà casa di DeChooch e qualche minuto dopo autorizzarono il personale medico a entrare. Sophia era ancora nella cantina. Si era rotta un’anca e probabilmente aveva qualche costola incrinata. Pensai che quella delle costole incrinate fosse una bella ironia della sorte.
Seguii il personale dell’ambulanza e rimasi interdetta quando arrivai in cucina. DeChooch non era sul pavimento.
L’agente Billy Kwiatkowski era stato il primo a entrare. «Dov’è DeChooch?» gli chiesi. «L’ho lasciato sul pavimento accanto al tavolo.»
«Non c’era nessuno in cucina quando sono entrato» disse.
Guardammo entrambi la scia di sangue che portava alla porta sul retro. Kwiatkowski accese la torcia e andò verso il cortile. Tornò dopo qualche minuto.
«Difficile seguire la scia nell’erba con questo buio, ma c’è dell’altro sangue nel vicoletto dietro al garage. È probabile che abbia lasciato la macchina là dietro e che se ne sia andato.»
Incredibile. Stramaledettamente incredibile. Quell’uomo era come uno scarafaggio… bastava accendere la luce e lui spariva.
Rilasciai la mia deposizione e me ne andai. Ero preoccupata per la nonna. Volevo accertarmi che fosse al sicuro. E volevo sedermi nella cucina di mia madre. E soprattutto, volevo un pasticcino.
La casa dei miei ardeva di luci quando accostai per parcheggiare. Erano tutti nella stanza sul davanti a guardare il notiziario in TV. E conoscendo la mia famiglia, erano tutti alzati ad aspettare Valerie.
La nonna saltò su dal divano quando mi vide entrare. «L’hai preso? Hai preso DeChooch?»
Feci no con la testa. «È scappato.» Non mi andava di scendere nei dettagli.
«È straordinario» disse la nonna, sprofondando nuovamente sul divano.
Andai in cucina a prendere un pasticcino. Sentii aprire e chiudere la porta di casa e Valerie entrò in cucina e si abbandonò a sedere al tavolo. Aveva i capelli lisciati dietro le orecchie e cotonati sulla parte alta. Versione lesbica e bionda di Elvis.
Spostai davanti a lei il piatto dei pasticcini e mi sedetti. «Allora? Come è andato l’appuntamento?»
«Un disastro. Non è il mio tipo.»
«Qual è il tuo tipo?»
«Non le donne, a quanto pare.» Scartò uno dei pasticcini al cioccolato. «Janeane mi ha baciato ma non è successo niente. Poi mi ha baciato di nuovo, un bacio quasi… appassionato.»
«Quanto appassionato?»
Valerie diventò rosso fuoco. «Mi ha dato un bacio con la lingua!»
«E allora?»
«Strano. È stato molto strano.»
«Allora non sei lesbica?»
«Direi di no.»
«Ehi, ci hai provato. Chi non risica, non rosica» dissi.
«Pensavo che potesse essere qualcosa a cui ci si abitua col tempo. Ti ricordi per esempio quando eravamo piccole e mi facevano schifo gli asparagi? Be’, adesso li adoro.»
«Forse devi darti un po’ più di tempo. Del resto ti ci sono voluti vent’anni per farti piacere gli asparagi.»
Valerie ci rifletté su mentre mangiava il pasticcino.
Entrò la nonna. «Che succede qui? Mi sto perdendo qualcosa?»
«Mangiamo i pasticcini» dissi.
La nonna ne prese uno e si sedette. «Hai provato la moto di Stephanie?» chiese a Valerie. «Ci sono montata sopra questa sera e mi ha fatto formicolare le parti intime.»
Valerie per poco non si strozzò con il pasticcino.
«Forse ti conviene smettere di essere lesbica e comprarti una Harley» dissi a Valerie.
Entrò in cucina mia madre. Guardò il piatto dei pasticcini e tirò un sospiro. «Li avevo fatti per le ragazze.»
«Siamo ragazze anche noi» disse la nonna.
Mia madre si sedette e prese un pasticcino. Ne scelse uno alla vaniglia con gli zuccherini colorati. Rimanemmo tutte a bocca aperta. Mia madre non mangiava quasi mai un pasticcino tutto intero. Di solito mangiava quelli che si erano rotti a metà o che avevano la glassa rovinata. Mangiava i biscotti sbriciolati e le frittelle bruciate da un lato.
« Wow » le dissi «stai mangiando un pasticcino tutto intero.»
«Me lo merito» rispose mia madre.
«Scommetto che hai guardato un’altra volta Oprah Winfrey in TV» le disse la nonna. «Mi accorgo sempre se hai guardato Oprah in TV.»
Mia madre si mise a giocherellare con la carta. «Non è solo questo…»
Smettemmo tutte di mangiare e la fissammo.
«Ricomincio a studiare» disse. «Ho fatto domanda al Comune e ho appena saputo di essere stata accettata. Studierò part time. Hanno dei corsi serali.»
Feci un sospiro di sollievo. Temevo volesse annunciare che stava per farsi un piercing sulla lingua o magari un tatuaggio. O addirittura che voleva andarsene di casa e seguire un circo. «È eccezionale» dissi. «A che corso ti sei iscritta?»
«Per il momento si tratta di un corso generico» disse mia madre. «Ma un giorno mi piacerebbe diventare infermiera. Ho sempre pensato di essere portata per fare l’infermiera.»
Era quasi mezzanotte quando tornai al mio appartamento. La scarica di adrenalina era ormai passata e ora mi sentivo esausta. Avevo fatto il pieno di pasticcini e latte ed ero pronta a scivolare sotto le coperte e dormire per una settimana. Presi l’ascensore e quando le porte si aprirono sul mio piano uscii e rimasi immobile come una statua. Non credevo ai miei occhi. In fondo al corridoio, davanti alla porta di casa mia, era seduto Eddie DeChooch.
DeChooch si tamponava la testa con un grosso asciugamano fissato con la cintura dei pantaloni, con la fibbia ben allacciata all’altezza della tempia. Alzò gli occhi quando mi avvicinai a lui, ma non si alzò in piedi né mi sorrise, non mi sparò e neanche mi salutò. Rimase lì seduto con lo sguardo fisso.
«Devi avere un mal di testa coi fiocchi» dissi.
«Non mi farebbe schifo un’aspirina.»
«Perché non sei entrato da solo? Lo fanno tutti.»
«Non ho gli attrezzi. Ci vogliono gli attrezzi giusti.»
Lo aiutai a mettersi in piedi e lo feci entrare in casa. Lo misi a sedere sulla sedia comoda del soggiorno e tirai fuori la bottiglia mezza vuota di liquore che la nonna aveva lasciato nascosta nel mio armadio quando era rimasta da me per un paio di giorni.
DeChooch ne buttò giù tre dita e riacquistò un po’ di colore.
«Cristo, credevo che volessi aprirmi come un’oca per il pranzo della domenica» disse.
«Ci è mancato poco. Quando sei rinvenuto?»
«Quando parlavate di segarmi le costole. Gesù. Se ci ripenso mi formicolano le palle.» Fece un altro sorso dalla bottiglia. «Me ne sono andato appena voi due avete cominciato a scendere le scale.»
Era proprio da ridere. Avevo attraversato la cucina così velocemente che non mi ero neanche accorta che DeChooch non c’era più. «Che succede adesso?»
Si lasciò nuovamente andare sulla sedia. «Ho girato per un po’ con la macchina. Volevo andarmene, ma mi fa male la testa. Mi ha portato via mezzo orecchio. Sono stanco. Accidenti quanto sono stanco. Ma sai una cosa? Non sono poi tanto depresso. E così ho pensato, che diamine, vediamo cosa riesce a fare per me il mio avvocato.»
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