«Mi piacevi di più prima che avessi l’erezione.»
DeChooch sorrise. «Già, sono di nuovo in sella, bellezza.»
«E se ti consegnassi spontaneamente?»
«Quelli come me non si consegnano. Forse i giovani. Ma quelli della mia generazione hanno delle regole. Abbiamo un codice.» La pistola era davanti a lui sul tavolo. La prese e inserì un caricatore pieno. «Vuoi essere responsabile del mio suicidio?»
Oh cavolo.
In soggiorno c’era una lampada da tavolo accesa e la cucina era illuminata dalla plafoniera sul soffitto. Il resto della casa era al buio. DeChooch era seduto con la schiena rivolta verso la porta che dava sul soggiorno buio. Come il fantasma di una storia del terrore, con appena un leggero fruscio di vestiti, Sophia si materializzò sulla soglia. Rimase lì un momento, ondeggiando leggermente, e per un attimo pensai che potesse davvero trattarsi di un’apparizione, il frutto della mia fervidissima immaginazione. Teneva una pistola all’altezza della vita. Mi guardò dritto negli occhi, puntò, e prima che potessi avere una reazione, sparò. Bang!
A DeChooch sfuggì di mano la pistola, un fiotto di sangue gli uscì dalla testa e crollò a terra.
Qualcuno urlò. Credo di essere stata io.
Sophia ridacchiò sommessamente, aveva le pupille ridotte a capocchie di spillo. «Vi ho fatto una bella sorpresa, eh? Vi guardavo dalla finestra. Tu e Chooch seduti al tavolo a mangiare biscotti.»
Non dissi nulla. Temevo che se avessi aperto la bocca avrei cominciato a balbettare, sbavare o forse a pronunciare suoni gutturali incomprensibili.
«Oggi hanno messo Louie sotto terra» disse Sophia. «Non ho potuto prendere parte al funerale per colpa vostra. Avete rovinato tutto. Tu e Chooch. È lui che ha cominciato tutto e deve pagare. Non mi sono potuta occupare di lui finché non ho riavuto il cuore, ma ora è giunto il suo momento. Occhio per occhio.» Un’altra risatina. «E sarai tu ad aiutarmi. Se fai un buon lavoro, magari ti lascio andare. Che ne dici?»
Credo di aver annuito, ma non ne sono sicura. Non mi avrebbe mai lasciato andare. Lo sapevamo tutte e due.
«Occhio per occhio» disse Sophia. «È la parola di Dio.»
Mi venne da vomitare.
Sorrise. «Vedo dalla tua faccia che hai capito cosa intendo fare. Non c’è altro modo, non ti pare? Se non facciamo così saremo dannati per sempre, disonorati per sempre.»
«Lei ha bisogno di un medico» sussurrai. «Ha subito troppi stress. Non ragiona come dovrebbe.»
«Che ne sai di come si deve ragionare? Parli con Dio, sei guidata dalla Sua parola?»
La fissai, mentre mi sentivo il cuore battere forte in gola e alle tempie.
«Io parlo con Dio» disse. «Faccio quello che Lui mi dice di fare. Sono uno strumento nelle Sue mani.»
«Sì, va bene, ma Dio è uno buono. Di certo non vorrebbe che lei facesse qualcosa di brutto.»
«Faccio quello che è giusto» disse Sophia. «Elimino il male alla fonte. Ho l’anima di un angelo vendicatore.»
«Come lo sa?»
«Me lo ha detto Dio.»
Mi saltò in mente un nuovo, terribile pensiero. «Louie sapeva che lei parla con Dio? Che lei è uno strumento di Dio?»
Sophia si immobilizzò.
«Quella stanza nella cantina… la cella di cemento dove ha tenuto il Luna e Dougie. Louie l’ha mai rinchiusa in quella stanza?»
La pistola le tremava in mano e le brillavano gli occhi. «È sempre difficile per coloro che credono. I martiri. I santi. Stai cercando di sviarmi, ma non funziona. So quello che devo fare. E adesso mi aiuterai. Voglio che ti metta in ginocchio e gli sbottoni la camicia.»
«Neanche per sogno!»
«E invece sì. Fallo subito o ti sparo. Ti sparo prima su un piede e poi sull’altro. Poi ti sparo in un ginocchio. E continuerò così finché o ti deciderai a farlo o morirai.»
Prese la mira e capii che stava dicendo la verità. Mi avrebbe sparato senza il minimo rimorso. E avrebbe continuato a spararmi finché non fossi morta. Mi alzai, appoggiandomi al tavolo per non cadere. Completamente irrigidita andai verso DeChooch e mi inginocchiai accanto a lui.
«Avanti» incalzò. «Sbottonagli la camicia.»
Gli misi la mano sul petto ancora caldo, e lo sentii respirare appena. «È ancora vivo!»
«Meglio ancora» disse Sophia.
Non riuscii a trattenere un brivido e cominciai a sbottonargli la camicia. Un bottone alla volta. Lentamente. Per guadagnare tempo. Le mie dita erano impacciate. Riuscivano a malapena a eseguire quel compito.
Una volta sbottonata la camicia, Sophia allungò una mano dietro di sé e prese un coltello da macellaio dal blocco di legno sul piano della cucina. Gettò il coltello a terra sul pavimento accanto a DeChooch. «Tagliagli la maglietta.»
Presi in mano il coltello, soppesandolo. Se fosse stato un film, in una mossa fulminea avrei affondato il coltello nel corpo di Sophia. Invece era la vita reale e non avevo idea di come usare un coltello né di come muovermi abbastanza in fretta da schivare un proiettile.
Avvicinai il coltello alla maglietta bianca. Ero andata completamente nel pallone. Mi tremavano le mani e sentivo il sudore sotto le ascelle e sulla testa. Diedi il primo colpo e poi feci scorrere il coltello per tutta la lunghezza della maglia, denudando il petto bitorzoluto di DeChooch. Mi sentivo come se avessi dentro un fuoco acceso e avvertivo un doloroso senso di oppressione.
«Ora tiragli fuori il cuore» disse Sophia con voce calma e ferma.
Alzai lo sguardo su di lei e vidi che aveva un’espressione serena… a eccezione del terrore che i suoi occhi incutevano. Era convinta di fare la cosa giusta. Probabilmente aveva in testa delle voci che la rassicuravano mentre mi abbassavo su DeChooch.
Una goccia colò sul petto di DeChooch. Poteva essere uscita dalla mia bocca o dal naso. Ero troppo spaventata per indovinare. «Non so come si fa» dissi. «Non so come arrivare al cuore.»
«Ce la farai.»
«Non posso.»
«Fallo e basta!»
Scossi la testa.
«Vuoi dire una preghiera prima di morire?» mi chiese.
«Quella stanza nella cantina… l’ha rinchiusa spesso laggiù? Pregava quando era lì?»
La tranquillità sembrò abbandonarla. «Diceva che ero pazza, ma il pazzo era lui. Non aveva fede. Dio non parlava con lui.»
«Non avrebbe dovuto rinchiuderla in quella stanza» dissi, provando un forte senso di rabbia per quell’uomo che aveva rinchiuso la moglie schizofrenica in una cella di cemento invece di farla curare da uno specialista.
«È arrivata l’ora» disse Sophia puntandomi addosso la pistola.
Guardai verso DeChooch, chiedendomi se potessi ucciderlo per salvarmi la pelle. Quanto era forte il mio istinto di sopravvivenza? Spostai lo sguardo sulla porta della cantina. «Ho un’idea» dissi. «DeChooch ha degli utensili elettrici in cantina. Potrei tagliargli la cassa toracica se avessi una motosega.»
«È ridicolo.»
Saltai in piedi. «No, è proprio quello che mi serve. L’ho visto fare in TV, in uno di quei programmi di medicina. Torno subito.»
«Fermati!»
Ero arrivata alla porta della cantina. «Ci vorrà soltanto un minuto.» Aprii la porta, accesi la luce e feci il primo gradino.
Mi seguiva a una certa distanza con la pistola. «Non andare così veloce» disse. «Scendo insieme a te.»
Facemmo i gradini insieme, lentamente, per evitare di inciampare. Attraversai la cantina e presi la motosega portatile che si trovava sul banco da lavoro di DeChooch. Le donne vogliono bambini. Gli uomini vogliono attrezzi da lavoro.
«Torniamo di sopra» disse, in agitazione per il fatto di trovarsi in una cantina e ansiosa di andarsene.
Risalii lentamente i gradini, trascinando i piedi, sentendola agitarsi alle mie spalle. Avevo la pistola puntata dietro la schiena. Era troppo vicina. Stava rischiando, ma voleva andarsene dalla cantina. Arrivai in cima alla scala e mi girai di scatto, colpendola in mezzo al petto con la motosega.
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