«Che cosa vorreste sapere?» disse Sophia.
«Si chiamano Walter Dunphy e Douglas Kruper e vorremmo sapere se li avete visti.»
«Non conosco nessuno dei due.»
«Douglas Kruper è latitante e sta venendo meno alla garanzia che è stata pagata per lui» disse Ranger. «Abbiamo motivo di credere che si trovi in questa casa e in qualità di agenti alle dipendenze di Vincent Plum siamo autorizzati a effettuare una perquisizione.»
«Non farete niente di tutto ciò. O ve ne andate immediatamente oppure chiamo la polizia.»
«Se preferisce che la polizia sia presente mentre effettuiamo la perquisizione, la chiami pure.»
Di nuovo un silenzioso scambio di occhiate tra le sorelle, ma ora Christina stringeva nervosamente tra le dita un lembo della gonna.
«Non mi piace questa intrusione» disse Sophia. «È una mancanza di rispetto.»
Oh-oh, pensai. Tutta colpa della mia linguaccia… avevo fatto proprio come la povera vicina defunta di Sophia.
Ranger si spostò di lato e aprì la porta del guardaroba. Teneva la pistola in mano, lungo il fianco.
«Basta» disse Sophia. «Non avete alcun diritto di perquisire la casa. Sapete chi sono? Vi rendete conto che sono la vedova di Louis DeStefano?»
Ranger aprì un’altra porta. La toilette.
«Vi ordino di fermarvi o ne pagherete le conseguenze» minacciò Sophia.
Ranger aprì la porta dello studio e accese la luce, tenendo d’occhio le due donne mentre perlustrava la casa.
Seguii il suo esempio e dopo aver acceso le luci feci un giro nel soggiorno e nella sala da pranzo. Poi passai in cucina. In un corridoio attiguo c’era una porta chiusa a chiave. Probabilmente la dispensa o la cantina. Non mi andava di entrare. Non avevo la pistola. E anche se l’avessi avuta, non sarei stata granché capace di usarla.
Improvvisamente Sophia mi seguì in cucina. «Fuori di qui!» gridò prendendomi per il polso e tirandomi con forza in avanti. «Esci immediatamente dalla mia cucina.»
Mi allontanai da lei con uno strattone. E con lo scatto di un rettile, Sophia aprì un cassetto della cucina e tirò fuori una pistola. Si girò, puntò l’arma e sparò a Ranger. Poi si girò verso di me.
Senza pensare, mossa unicamente dalla paura cieca, mi scagliai contro di lei e la buttai a terra. La pistola scivolò via sul pavimento e io cercai in fretta di recuperarla. Ranger arrivò prima di me. La raccolse lentamente e se la infilò in tasca.
Ero in piedi, incerta sul da farsi. La manica della giacca di cachemire di Ranger era intrisa di sangue. «Vuoi che chiami aiuto?» gli chiesi.
Si scrollò di dosso la giacca e si guardò il braccio. «Non è grave» disse. «Per ora prendimi un asciugamano.» Allungò indietro il braccio per prendere le manette. «Ammanettale insieme.»
«Non mi toccare» disse Sophia. «Se mi tocchi ti ammazzo. Ti cavo gli occhi con le unghie.»
Feci scattare la manetta attorno al polso di Christina e la tirai verso Sophia. «Mi dia la mano» dissi a Sophia.
«Mai» rispose. E mi sputò addosso.
Ranger si avvicinò. «Tiri fuori immediatamente la mano o sparo a sua sorella.»
«Louie, mi senti Louie?» gridò Sophia guardando in alto, presumibilmente oltre il soffitto. «Vedi cosa sta succedendo? Vedi che disgrazia? Gesù santo» gemeva. «Gesù santo.»
«Dove sono?» chiese Ranger. «Dove sono i due uomini?»
«Sono miei» disse Sophia. «Non li cedo. Non finché non ho ottenuto quello che voglio. Quell’idiota di DeChooch ha assoldato il suo ricettatore per riportare il cuore a Richmond. Troppo pigro per riportarlo lui stesso. Si vergognava troppo. E sapete che cosa mi ha riportato quel rompiscatole? Un frigo vuoto. Credevano di cavarsela, lui e il suo amico.»
«Dove sono?» le chiese di nuovo Ranger.
«Sono dove dovrebbero essere. All’inferno. E ci rimarranno finché non mi dicono che ne è stato del cuore. Voglio sapere chi ce l’ha.»
«Ronald DeChooch ha il cuore» la informai. «Sta venendo qui.»
Sophia strizzò gli occhi. «Ronald DeChooch.» Sputò per terra. «Ecco cosa penso di Ronald DeChooch. Voglio vederlo con i miei occhi, altrimenti non ci credo.»
Ovviamente non era stata messa al corrente di tutta la storia, e quindi del mio coinvolgimento.
«Dovete lasciar andare mia sorella» supplicò Christina. «Vedete che non sta bene.»
«Hai le manette?» mi chiese Ranger.
Frugai nella borsa e tirai fuori un paio di manette.
«Bloccale al frigorifero» disse Ranger «e poi vedi se riesci a trovare un kit di pronto soccorso.»
Avevamo avuto tutti e due esperienza diretta con ferite d’arma da fuoco, quindi sapevamo bene come bisognava procedere. Trovai del materiale di pronto soccorso nel bagno al piano di sopra, applicai una compressa sterile sul braccio di Ranger e la fissai con della garza e del nastro.
Ranger provò ad aprire la porta sul corridoio vicino alla cucina.
«Dov’è la chiave?» chiese.
«Vai all’inferno» disse Sophia, socchiudendo quei suoi occhi da serpente.
Colpendola con un piede, Ranger spaccò la porta e riuscì ad aprirla. C’erano un piccolo pianerottolo e dei gradini che scendevano nella cantina. Era buio come la pece. Ranger accese l’interruttore della luce e scese con la pistola pronta a sparare.
Era un seminterrato lasciato a metà e con il solito assortimento di scatoloni, attrezzi e oggetti vari, ancora in buono stato per essere gettati via ma del tutto inutili. Un paio di mobili da giardino parzialmente coperti da vecchi teli. Caldaia e boiler in un angolo. Lavanderia in un altro. E un altro angolo ancora era chiuso da un muro di blocchi di cemento alto fino al soffitto che creava una specie di stanzetta. La porta era di metallo e chiusa con un lucchetto.
Guardai Ranger. «Un rifugio antiatomico? Una dispensa sotterranea? Una cella frigorifera?»
«Accidenti» disse Ranger. Mi fece arretrare e sparò due serie di colpi disintegrando il lucchetto.
Aprimmo la porta e il puzzo di paura ed escrementi ci fece indietreggiare. La stanzetta era buia ma dall’angolo opposto intravedemmo degli occhi che ci guardavano. Il Luna e Dougie erano accucciati e si tenevano stretti. Erano nudi e luridi, avevano i capelli aggrovigliati, le braccia ricoperte di ferite sanguinanti. Erano stati ammanettati a un tavolo di metallo fissato al muro. Il pavimento era cosparso di bottiglie di plastica e buste del pane.
«Piccola» disse il Luna.
Mi sentii cedere le gambe e crollai su un ginocchio.
Ranger mi tirò su infilandomi una mano sotto l’ascella. «Non ora» disse. «Togli i teli dai mobili.»
Un altro paio di colpi di pistola. Ranger li stava liberando dal tavolo.
Il Luna era in condizioni migliori di Dougie. Dougie era rimasto in quella stanza per più tempo. Era dimagrito e sulle braccia aveva cicatrici di bruciature.
«Credevo che ci sarei morto, qui dentro» disse Dougie.
Io e Ranger ci guardammo. Se non fossimo intervenuti sarebbe probabilmente andata a finire così. Sophia non li avrebbe lasciati liberi dopo averli rapiti e torturati.
Li avvolgemmo nei teli e li portammo di sopra. Andai in cucina per chiamare la polizia e quello che vidi mi fece rimanere di stucco. Un paio di manette che penzolavano dal frigorifero. La porta del frigo era macchiata di sangue. Le due donne se ne erano andate.
Ranger era alle mie spalle. «Probabilmente si è liberata la mano a furia di morsi» disse.
Chiamai la polizia e dieci minuti dopo un’auto di servizio era già davanti al marciapiede. La seguivano un’altra auto e un’ambulanza.
Restammo a Richmond fino al tardo pomeriggio. Il Luna e Dougie furono reidratati e furono somministrati loro degli antibiotici. A Ranger suturarono e medicarono il braccio. Passammo gran parte del tempo alla stazione di polizia. Difficile spiegare alcune parti della storia. Tralasciammo il cuore di maiale che era in viaggio da Trenton. E decidemmo di non confondere le acque con il rapimento della nonna. La Corvette di Dougie fu ritrovata nel garage di Sophia. L’avrebbero rispedita a Trenton in settimana.
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