Lo guardai mentre attraversava la strada per poi sparire nelle ombre proiettate dalla casa. Socchiusi il finestrino e mi concentrai per ascoltare i suoni, ma non sentii nulla. In un’altra vita Ranger ha fatto parte delle Forze Speciali e non ha perso nessuna delle sue abilità. Si muove come un felino che abbia puntato la sua preda. Io, invece, mi muovo come un bisonte acquatico. Il che presumibilmente spiega perché lo stessi aspettando in macchina.
Sbucò dal lato più lontano dell’edificio e tornò lentamente in macchina. Si mise al volante e girò la chiave dell’accensione.
«È tutto chiuso» disse. «L’allarme è inserito e la maggior parte delle finestre ha le tende tirate. Non c’è molto da vedere. Se avessi più informazioni sulla casa e sulle sue abitudini entrerei a dare un’occhiata. Ma non mi va di farlo senza sapere quante persone ci vivono.» Si allontanò dal marciapiede e percorse lentamente la strada. «Siamo a quindici minuti da un quartiere di uffici. Il computer mi dice che ci sono un centro commerciale, alcuni fast food e un motel. Ho fatto prenotare le stanze da Tank. Puoi prenderti qualche ora per dormire e darti una rinfrescata. La mia idea è di bussare alla porta della signora D alle nove e intrufolarci in casa con qualche stratagemma.»
«Mi sembra che possa funzionare.»
Tank aveva prenotato due camere in una classica costruzione a due piani che faceva parte di una catena di motel. Non era un ambiente di lusso, ma neanche troppo brutto. Entrambe le stanze erano al secondo piano. Ranger aprì la porta della mia e accese la luce, passando rapidamente in rassegna il locale con lo sguardo. Sembrava tutto in ordine. Non c’erano pazzi in agguato nell’ombra.
«Vengo da te alle otto e trenta» disse. «Possiamo fare colazione e poi andare a salutare le signore.»
«Sarò pronta.»
Mi tirò a sé, abbassò la bocca sulla mia e mi baciò. Fu un bacio lento e profondo. Le sue mani erano ben ferme sulla mia schiena. Gli presi la T-shirt e mi strinsi a lui. Sentii il suo corpo rispondere a quel gesto.
L’immagine di me stessa in abito da sposa mi balenò in mente. «Merda!» esclamai.
«Non è la reazione che ottengo di solito quando bacio una donna» disse Ranger.
«Okay, ecco la verità. Mi piacerebbe molto venire a letto con te, ma c’è questo stupido abito da sposa…»
Ranger seguì la mia mascella con le labbra, fino all’orecchio. «Potrei farti dimenticare l’abito da sposa.»
«Certo. Ma questo creerebbe un sacco di brutti problemi.»
«Hai un dilemma morale.»
«Sì.»
Mi baciò nuovamente. Questa volta con leggerezza. Fece un passo indietro e gli angoli della bocca gli si incresparono in un mezzo sorriso. «Non voglio fare pressione su di te e sul tuo dilemma morale, ma prega di riuscire a catturare Eddie DeChooch da sola perché se ti aiuto dovrò riscuotere il mio onorario.»
E se ne andò. Si chiuse la porta alle spalle e rimasi ad ascoltarlo mentre percorreva il corridoio per poi entrare nella sua camera.
Diamine.
Mi distesi sul letto tutta vestita, con le luci accese e gli occhi spalancati. Quando il cuore smise di martellarmi e i capezzoli cominciarono a rilassarsi mi alzai e mi passai dell’acqua sul viso. Programmai la sveglia per le otto. Evviva, quattro ore di sonno. Spensi la luce e mi infilai a letto. Non riuscivo a dormire. Troppi vestiti addosso. Mi alzai, mi tolsi tutto tranne le mutandine e ritornai a letto. Niente da fare, non riuscivo a dormire neanche così. Troppo pochi vestiti addosso. Indossai di nuovo la camicia, mi infilai ancora una volta sotto le coperte e sprofondai istantaneamente nel mondo dei sogni.
Quando alle otto e trenta Ranger bussò alla porta della mia stanza ero pronta più che mai. Mi ero fatta la doccia e sistemata i capelli come meglio potevo pur non avendo il gel. Ho sempre un sacco di roba nella borsa. Chi poteva prevedere che mi sarebbe servito il gel?
Per colazione Ranger prese caffè, frutta e una ciambella integrale. Io presi un uovo McMuffin, un frappè al cioccolato e patatine fritte. E visto che pagava Ranger, presi anche un pupazzetto dei personaggi Disney.
A Richmond faceva più caldo che in New Jersey. Alcuni alberi e le azalee precoci erano già in fiore. Il cielo era sereno e stava diventando azzurro. Una giornata ideale per fare i cattivi con due vecchie signore.
Sulle strade principali c’era molto traffico, ma scomparve non appena entrammo nel quartiere di Louie D. I pulmini della scuola erano già arrivati e ripartiti e gli abitanti adulti del quartiere stavano già facendo la loro lezione di yoga, oppure erano nei negozi di raffinata gastronomia, al circolo del tennis, alla boutique per bambini o al lavoro. Quella mattina nel quartiere c’era un’atmosfera vitale e piena d’energia. A eccezione della casa di Louie D. Sembrava esattamente come l’avevamo vista alle tre di mattina. Buia e silenziosa.
Ranger chiamò Tank, il quale gli disse che Ronald era uscito di casa alle otto con il frigo. Tank lo aveva seguito verso sud fino a Whitehorse e poi era tornato indietro una volta appurato che Ronald si stava dirigendo verso Richmond.
«Che ne pensi della casa?» chiesi a Ranger.
«Che è come se nascondesse un segreto.»
Scendemmo entrambi dall’auto e ci incamminammo verso la porta principale. Ranger suonò il campanello. Dopo un po’ venne ad aprire una donna sui sessant’anni. Aveva capelli castani corti che incorniciavano un viso lungo e stretto su cui spiccavano un paio di folte sopracciglia nere. Era vestita di nero. Un abito nero abbottonato sul davanti che rivelava una corporatura minuta e asciutta, un cardigan nero, mocassini neri e calze scure. Non portava trucco né gioielli, a eccezione di una collanina con un semplice crocifisso d’argento. Aveva gli occhi spenti e cerchiati di scuro, come chi non dorme da molto tempo.
«Sì?» disse quasi senza forze. Sulle sue labbra sottili ed esangui non passò nemmeno l’ombra di un sorriso.
«Sto cercando Estelle Colucci» dissi.
«Estelle non c’è.»
«Suo marito ha detto che sarebbe venuta qui.»
«Suo marito si è sbagliato.»
Ranger si mosse in avanti ma la donna lo trattenne subito.
«Lei è la signora DeStefano?» chiese Ranger.
«Sono Christina Gallone. Sophia DeStefano è mia sorella.»
«Abbiamo bisogno di parlare con la signora DeStefano» disse Ranger.
«Non riceve visite.»
Ranger la spinse indietro nell’ingresso. «Io penso di sì.»
«No!» disse Christina, tirando Ranger da una parte. «Non sta bene. Dovete andarvene!»
Dalla cucina sbucò un’altra donna. Era più vecchia di Christina ma si assomigliavano. Indossava lo stesso vestito nero, scarpe nere e lo stesso crocifisso d’argento. Era più alta della sorella e i capelli corti e castani erano spruzzati qua e là di grigio. Il viso aveva un’espressione più viva di quello della sorella, ma i suoi occhi erano vuoti, assorbivano la luce senza riflettere nulla. Il mio primo pensiero fu che fosse sotto l’effetto di qualche medicinale. Il secondo pensiero fu che fosse pazza. Ed ero quasi certa che la donna che avevo davanti era quella con gli occhi spaventosi che aveva sparato al Luna.
«Che succede?» chiese.
«La signora DeStefano?» domandò Ranger.
«Sì.»
«Vorremmo parlarle riguardo alla scomparsa di due persone.»
Le sorelle si guardarono e io avvertii un formicolio alla nuca. Alla mia sinistra c’era il soggiorno. Era buio e minaccioso, ammobiliato in maniera formale con tavoli di mogano lucido e tappezzeria in broccato pesante. Le tende erano ben chiuse e non lasciavano filtrare la minima luce all’interno. Sulla destra si apriva un piccolo studio. La porta era socchiusa e lasciava intravedere una scrivania piena zeppa di carte e oggetti. Anche nello studio le tende erano chiuse.
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