«Cavolo, non vedo l’ora di andare al salone di bellezza domani e raccontare a tutti quello che mi è successo.»
Mio padre alzò gli occhi dal giornale e mia madre fu percorsa da un brivido involontario.
«C’è qualche veglia da Stiva?» chiese la nonna a mio padre. «Non vedo un giornale da due giorni. Mi sono persa qualcosa?»
Mia madre strizzò gli occhi. «Dove sei stata?»
«Magari lo sapessi» rispose la nonna. «Avevo una busta in testa quando sono arrivata e anche quando me ne sono andata.»
«È stata rapita» dissi a mia madre.
«Cosa significa… rapita?»
«Io avevo una cosa che Eddie DeChooch voleva e così ha rapito la nonna e l’ha tenuta come ostaggio.»
«Dio ti ringrazio» disse mia madre. «Credevo che fosse andata a vivere con un uomo.»
Mio padre tornò alla lettura del suo giornale. Una giornata come un’altra in casa Plum.
«Ti ha detto niente Choochy?» chiesi alla nonna. «Hai idea di che fine abbiano fatto il Luna e Dougie?»
«Eddie non sa niente di loro. Vorrebbe trovarli anche lui. Dice che è stato Dougie a cominciare tutto. Dice che Dougie gli ha rubato il cuore. Però non sono ancora riuscita a capire questa faccenda del cuore.»
«E non hai idea di dove ti abbia tenuto in questi due giorni?»
«Mi ha messo una busta in testa sia all’andata che al ritorno. All’inizio non mi ero resa conto di essere stata rapita. Credevo che volesse fare del sesso un po’ strano. Quello che so è che siamo andati in giro per un po’ e poi siamo entrati in un garage. Lo so perché ho sentito la porta del garage aprirsi e chiudersi. E poi siamo scesi al piano di sotto di una casa. Era come se il garage comunicasse con la cantina, solo che non era la solita cantina nel seminterrato. C’erano una stanza per la TV, due camere da letto e un cucinino. E poi c’era un’altra stanza con la caldaia, la lavatrice e l’asciugatrice. E non sono riuscita a vedere fuori perché c’erano delle finestre strettissime e con le persiane chiuse dall’esterno.» La nonna sbadigliò. «Be’, io vado a letto. Sono sfinita e domani ho una giornata importante. Devo sfruttare al massimo questo rapimento. Devo raccontarlo a un sacco di gente.»
«Però non dire niente del cuore» pregai la nonna. «Il cuore è un segreto.»
«Per me va bene visto che non saprei comunque che cosa dire.»
«Hai intenzione di denunciarlo?»
La nonna mi guardò stupita. «Chi, Choochy? Certo che no. Cosa penserebbe la gente?»
Ranger mi aspettava appoggiato alla macchina. Era vestito di nero. Abito sportivo nero, mocassini neri che dovevano essergli costati parecchio, T-shirt nera e giacca nera di cachemire. Sapevo che la giacca non serviva a ripararsi dal freddo. La giacca serviva a nascondere la pistola. Non che importasse poi molto. Era una bellissima giacca.
«Probabilmente Ronald porterà il cuore a Richmond domani» dissi a Ranger. «E ho paura che scopriranno che non è quello di Louie D.»
«E allora?»
«Temo che vogliano far capire il loro messaggio facendo qualcosa di brutto al Luna o a Dougie.»
«E allora?»
«Credo che il Luna e Dougie siano a Richmond. Credo che la moglie e la sorella di Louie D stiano collaborando di nascosto. E credo che abbiano il Luna e Dougie.»
«E tu vorresti liberarli?»
«Sì.»
Ranger sorrise. «Potrebbe essere divertente.»
Ranger ha uno strano senso dell’umorismo.
«Mi sono fatta dare da Connie l’indirizzo di Louie D. A quanto pare sua moglie si è rinchiusa in casa da quando Louie è morto. Anche Estelle Colucci, la sorella di Louie, è lì. È partita per Richmond lo stesso giorno in cui il Luna è scomparso. Credo che in qualche modo la donna abbia rapito il Luna e l’abbia portato a Richmond. E scommetto che c’è anche Dougie. Forse Estelle e Sophia si sono stancate dei buchi nell’acqua di Benny e Ziggy e hanno deciso di prendere in mano la situazione.» Purtroppo, da lì in poi, la mia teoria si faceva molto più fumosa. Uno dei motivi di questa fumosità era che Estelle Colucci non rispondeva alla descrizione della donna con gli occhi da pazza. A dire il vero, non rispondeva neanche alla descrizione della donna nella limousine.
«Vuoi fare un salto a casa per prendere qualcosa?» mi chiese Ranger. «O vuoi partire subito?»
Guardai dietro, verso la moto. Dovevo metterla al sicuro da qualche parte. Probabilmente non era una buona idea dire a mia madre che me ne andavo a Richmond con Ranger. E non mi sentivo del tutto tranquilla a lasciare la moto nel parcheggio sotto casa. Gli anziani del mio condominio hanno la tendenza ad andare a sbattere contro tutto quello che è più piccolo di una Cadillac. Di certo non volevo lasciarla da Morelli. Avrebbe insistito per venire a Richmond. Joe era competente quanto Ranger in questo genere di operazioni. Anzi, forse sarebbe stato meglio di Ranger, perché Morelli non era altrettanto matto. Il problema era che non si trattava di un’operazione di polizia. Era un’operazione da cacciatori di taglie.
«Devo sistemare la moto» dissi a Ranger. «Non voglio lasciarla qui.»
«Non ti preoccupare. Dirò a Tank di prendersene cura finché non torniamo.»
«Gli serve la chiave.»
Ranger mi guardò come se fossi tonta.
«Ma certo» dissi. «Dove avevo la testa?» Tank non aveva bisogno della chiave. Tank era membro dell’Allegra Brigata di Ranger, gente che aveva dita migliori di quelle di Ziggy.
Lasciammo il Burg e ci dirigemmo verso sud, prendendo l’autostrada a Bordentown. Dopo pochi minuti cominciò a piovere, una nebbiolina fitta che si fece sempre più insistente con lo scorrere dei chilometri.
La Mercedes ronzava lungo il nastro di strada. Eravamo avvolti dalla notte, il buio che ci circondava era interrotto solo dalle luci sul cruscotto.
C’erano tutti i comfort di un luogo chiuso, più la tecnologia della cabina di comando di un jet. Ranger schiacciò il pulsante del lettore CD e della musica classica si diffuse nell’auto. Una sinfonia. Non il massimo, ma comunque piacevole.
Secondo i miei calcoli il viaggio sarebbe durato circa cinque ore. Ranger non era il tipo che parlava del più e del meno. Non parlava con nessuno della sua vita o di ciò che pensava. Così reclinai il sedile e chiusi gli occhi. «Se ti stanchi e vuoi che guidi io, basta che tu me lo dica» dissi.
Mi misi comoda e cominciai a pensare a Ranger. Quando ci eravamo incontrati la prima volta, lui era una specie di bullo di strada tutto muscoli. Era uno che sapeva il fatto suo, una specie di boss della zona ispanoamericana del ghetto, sempre vestito in tuta mimetica e divisa nera da squadra speciale. Ora improvvisamente indossava giacche di cachemire, ascoltava musica classica e parlava più come un laureato di Harvard che come un rapper di colore.
«Non è che per caso hai un fratello gemello?» gli chiesi.
«No» disse con voce morbida. «Sono un esemplare unico.»
Mi svegliai quando la macchina smise di muoversi. Non pioveva più, ma era molto buio. Guardai l’orologio digitale sul cruscotto. Erano quasi le tre. Ranger stava studiando il massiccio edificio coloniale sul lato opposto della strada.
«La casa di Louie D?» chiesi.
Ranger annuì.
Era una grande casa costruita su un fazzoletto di terra. Le case vicine erano simili. Si trattava di costruzioni tutte relativamente nuove. Non c’erano alberi o cespugli ben cresciuti. Di lì a vent’anni sarebbe diventato un grazioso quartiere. Al momento sembrava un po’ troppo nuovo, troppo spoglio. Non c’erano luci accese in casa di Louie. Non c’erano auto parcheggiate lungo la strada. In quel quartiere le auto venivano tenute nei garage o nei vialetti di casa.
«Rimani qui» disse Ranger. «Devo dare un’occhiata in giro.»
Читать дальше