«Be’, eccola qui. Non volete parlarle?»
«Certo» disse Ziggy. «Ti è piaciuta la marmellata?»
«Fantastica, grazie.»
«Non vi siete introdotti nel suo appartamento, vero?» chiese Morelli.
«Non ci permetteremmo mai» disse Benny. «Abbiamo troppo rispetto per lei. Vero, Ziggy?»
«Già, è vero» disse Ziggy. «Ma se volessi ci riuscirei. Non ho perso la mano.»
«Hai avuto modo di parlare con tua moglie?» chiesi a Benny. «È a Richmond?»
«Ho parlato con lei ieri sera. È a Norfolk. Le cose non vanno tanto bene, come del resto c’era da aspettarsi. Sono sicuro che ti rendi conto che è una situazione difficile per tutti.»
«È una tragedia. Nessun’altra novità da Richmond?»
«Purtroppo no.»
Benny e Ziggy si diressero verso l’ascensore e Morelli e io seguimmo Bob in cucina.
«Erano in casa, vero?» chiese Joe.
«Certo. A cercare il cuore. La moglie di Benny gli sta dando il tormento perché vuole che quel cuore salti fuori.»
Morelli riempì la ciotola di cibo di Bob. Il cane lo fece fuori tutto e si mise a cercarne dell’altro.
«Spiacente, amico» disse Morelli. «Ecco cosa succede quando si ingrassa.»
Mi si chiuse lo stomaco dal senso di colpa per aver mangiato la sfogliatella. In confronto a Joe io ero una vacca. Morelli aveva addominali tesi come una tavola da surf. Lui riusciva sul serio a fare le flessioni. E molte. Mentalmente le sapevo fare anche io. In pratica, fare flessioni seguiva a ruota il jogging nella classifica delle cose che mi piace fare.
Eddie DeChooch teneva nascosta la nonna da qualche parte. Probabilmente non al Burg perché in quel caso l’avrei già saputo. Presumibilmente erano nella zona di Trenton. Le località di chiamata erano entrambe urbane.
Joe mi aveva promesso di non riferire la cosa in polizia, ma sapevo che avrebbe lavorato comunque in incognito. Avrebbe fatto domande in giro e sguinzagliato i suoi colleghi piedipiatti a cercare Eddie DeChooch con molto più accanimento di me. Anche Connie, Vinnie e Lula stavano tampinando i loro informatori. Non mi aspettavo che ne venisse fuori qualcosa. Eddie DeChooch lavorava da solo. Forse faceva visita a padre Carolli ogni tanto. E forse si faceva vedere a qualche veglia funebre. Ma agiva da solo. Ero convinta che nessuno conoscesse il posto dove si rintanava. A eccezione, forse, di Mary Maggie Mason.
Per chissà quale ragione, due giorni prima, DeChooch era andato a trovarla.
Prelevai Lula in ufficio e ci dirigemmo verso l’edificio dove abitava Mary Maggie. Era metà mattina e il traffico era scorrevole. Sopra di noi le nuvole si stavano compattando. Per la seconda parte della giornata era prevista pioggia. Non importava un fico secco a nessuno, in New Jersey. Era giovedì. Che piovesse pure. Da noi ci si preoccupava solo del tempo del fine settimana.
La Low Rider entrò rombante nel parcheggio sotterraneo facendo vibrare pavimento e soffitto di cemento. La Cadillac bianca non c’era ma la Porsche argento targata MMM-YUM era parcheggiata nel suo spazio. Fermai la Harley due corsie più in là.
Io e Lula ci guardammo. Non volevamo salire di sopra.
«L’idea di parlare con Mary Maggie mi mette a disagio» dissi. «Nel fango non ho avuto il mio cosiddetto “momento di gloria”.»
«È stata tutta colpa sua. Ha iniziato lei.»
«Avrei potuto fare meglio, ma mi ha preso alla sprovvista» dissi.
«Già. L’ho capito da come continuavi a gridare aiuto. Spero solo che non voglia farmi causa per averle rotto la schiena o che so io.»
Arrivammo alla porta di casa di Mary Maggie e rimanemmo in silenzio. Respirai profondamente e suonai il campanello. Venne ad aprire Mary Maggie e non appena ci vide cercò di chiuderci la porta in faccia. Regola numero due per una cacciatrice di taglie: se una porta si apre, infilaci subito il piede.
«Cosa vuoi ancora?» chiese Mary Maggie, cercando di togliere di mezzo il mio piede.
«Voglio parlarti.»
«Mi hai già parlato.»
«Ti devo parlare un’altra volta. Eddie DeChooch ha rapito mia nonna.»
Mary Maggie smise di spingermi via il piede e mi fissò. «Dici sul serio?»
«Io ho una cosa che gli interessa. E ora è lui ad avere qualcosa che interessa a me.»
«Non so cosa dire. Mi dispiace.»
«Speravo che potessi aiutarmi a trovarla.»
Mary Maggie aprì la porta e io e Lula ci infilammo dentro senza troppi convenevoli. Non pensavo di trovare la nonna rinchiusa in un ripostiglio, però mi sentivo in dovere di controllare. L’appartamento era carino ma non troppo grande. Un ambiente unico per soggiorno, sala da pranzo e cucina. Una camera da letto. Bagno e wc. Era arredato con gusto. Mobili classici. Colori tenui. Grigi e beige. E naturalmente c’erano libri ovunque.
«Non so davvero dove sia» disse Mary Maggie. «Mi ha chiesto di prestargli la macchina. È già successo in passato. Quando il padrone del locale dove lavori ti chiede di prestargli qualcosa conviene assecondarlo. E poi è un vecchietto simpatico. Dopo che sei stata qui, sono andata dal nipote e gli ho detto che rivolevo indietro la mia macchina. Eddie me la stava riportando quando tu e la tua amica gli avete teso un’imboscata nel mio garage. Da allora non ho sue notizie.»
La brutta notizia era che le credevo. Quella bella, era sapere che Ronald DeChooch era in contatto con lo zio.
«Mi dispiace per la scarpa» disse Mary Maggie a Lula. «L’abbiamo cercata, ma non si è trovata.»
«Mmm» fece Lula.
Io e Lula rimanemmo in silenzio finché non arrivammo al parcheggio.
«Che ne pensi?» chiese Lula.
«Penso che dobbiamo fare una visita a Ronald DeChooch.»
Avviai la moto, Lula montò su e attraversammo il garage a tutta birra, dirette alla Ace Pavers.
«Siamo fortunate ad avere un buon lavoro» disse Lula quando fermai la moto davanti all’ufficio di Ronald DeChooch. «Pensa se dovessimo lavorare in un posto come questo, a respirare catrame tutto il giorno e sempre con pezzi di robaccia nera appiccicati sotto le scarpe.»
Smontai dalla moto e mi tolsi il casco. L’odore di asfalto bollente incombeva su di noi e oltre il cancello chiuso, i rulli anneriti e i camion della pece emanavano tremule onde di calore. Non c’erano uomini in giro, ma era ovvio che i macchinari erano stati in funzione fino a poco tempo prima.
«Saremo professionali ma decise» dissi a Lula.
«Vuoi dire che non accetteremo stronzate da quel caprone bifolco di Ronald DeChooch.»
«Hai di nuovo guardato il wrestling in TV» dissi a Lula.
«L’ho videoregistrato, così posso rivedere gli incontri di The Rock.»
Io e Lula prendemmo coraggio ed entrammo senza bussare. Questa volta non ci saremmo fatte fermare da un branco di stronzi che passano il tempo a giocare a carte. Questa volta avremmo preteso delle risposte. Avremmo preteso rispetto.
Attraversammo rapidamente il piccolo corridoio dell’ingresso e di nuovo senza bussare andammo dritte nell’ufficio interno. Spalancammo una porta dietro l’altra e ci ritrovammo faccia a faccia con Ronald DeChooch che giocava al dottore con la segretaria. A dire il vero non fu proprio un faccia a faccia visto che DeChooch ci dava le spalle. Anzi, a essere precisi ci dava il suo grosso culo peloso visto che stava montando la poverina da dietro. Aveva le brache calate alle caviglie e la donna era piegata sul tavolino delle carte, tenendosi come meglio poteva.
Ci fu un momento di stupito silenzio, poi Lula scoppiò a ridere.
«Dovresti prendere in considerazione l’idea di farti la ceretta al culo» consigliò Lula a DeChooch. «Hai davvero un brutto sedere.»
«Cristo» esclamò DeChooch, tirandosi su i pantaloni. «Uno non è padrone di avere una relazione neanche nel proprio ufficio.»
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