“Bravo Kostja, molto bene!!”, rispose con voce baritonale, “ma adesso ho bisogno di restare da solo con il Maggiore. Prenditi la giornata libera. La tua missione, per oggi, è finita”. Aggrottò le sopracciglia e strinse le palpebre per squadrare meglio Aleksej. Con l’intensità del suo sguardo cercò di mettere subito in soggezione Aleksej, quindi attese che l’agente Skubak fosse uscito dalla stanza e, quasi a scusarsi per l’intemperanza del suo sottoposto, si avvicinò per stringergli la mano. La stretta fu forte e calorosa e lo invitò a sedersi di fronte a lui.
“Finalmente ci conosciamo”, disse con tono sarcastico il direttore Petrov, “in tutti questi anni suo nonno non ha fatto altro che parlarmi di lei, di suo nipote Aleksej, di tutti i suoi successi sportivi e della sua brillante carriera militare”.
Aprì lentamente un fascicolo rosso che, di proposito, aveva lasciato in bella evidenza al centro della sua scrivania. All’interno vi erano diversi fogli fittamente compilati a mano, con perfetta grafia femminile, e alcune fotografie. Aleksej intuì che doveva trattarsi del suo fascicolo personale e non fece nulla per nascondere a Petrov il suo fastidio. Era stato sbattuto su di un volo per Mosca in tutta fretta e adesso si trovava in presenza del capo dell’SVR.
Tutto gli appariva così assurdo e privo di giustificazione.
I metodi usati da Petrov non erano certamente quelli che aveva imparato ad apprezzare in Accademia. Ma lasciò che facesse la prima mossa e solo dopo avrebbe deciso se e come reagire.
“Capisco il suo stato d’animo”, disse Petrov con calma apparente, “anch’io al suo posto sarei nervoso se fossi stato convocato all’improvviso e in tutta segretezza. Stia tranquillo perché oggi avrà tutte le risposte alle sue domande. Ma prima di iniziare mi dica cosa posso offrirle: tè…, caffè…, tutto quello che desidera. Magari posso farle portare un ottimo caffè espresso italiano che lei certamente apprezzerà”, concluse abbozzando un sorriso di circostanza nel tentativo di mettere a proprio agio quell’ospite così importante.
«No. Grazie. Ho già fatto colazione in aeroporto», ribatté asciutto Aleksej. Ormai era interessato solo a concludere rapidamente quella strana giornata e prendere il primo aereo per tornarsene a San Pietroburgo.
«Va bene… andiamo subito al sodo. Vedo che è ansioso di conoscere il motivo di questa sua inattesa visita. Le dico subito che riguarda la sua famiglia e suo fratello Luca… in particolare. Sappiamo che sua mamma le ha già raccontato molto… ma se siamo qui è perché abbiamo bisogno del suo aiuto… della sua collaborazione… come cittadino russo e come patriota…».
«Cosa c’entra la mia famiglia con i Servizi Segreti?», lo interruppe bruscamente Aleksej. «Se escludiamo mio nonno Andrej non abbiamo nessun punto di contatto tra di noi. Si… in effetti mia mamma mi ha parlato di quello che è successo quand’ero piccolo. È vero… non sono figlio unico… ho un fratello gemello… ma non vedo come questo possa interessarvi. Perché volete coinvolgere mio fratello Luca?».
«Si calmi Maggiore. Mi lasci spiegare e vedrà che alla fine tutto le sarà più chiaro», lo incalzò Petrov con tono conciliante.
«Lei sa che Luca è la sua copia quasi perfetta. Siete diversi solo per un piccolo particolare: una minuscola macchiolina rossa all’interno della gamba destra di suo fratello. Per il resto siete praticamente identici. Probabilmente oggi nemmeno i vostri genitori sarebbero in grado di distinguervi l’uno dall’altro».
Prese dal fascicolo alcune fotografie e gliele porse.
Aleksej si era sbagliato!! Petrov non aveva tra le mani il suo fascicolo bensì quello di Luca. Le foto lo ritraevano in situazioni diverse: al parco, al Colosseo o seduto al tavolino di un bar che sorseggiava una bibita. Mentre le osservava con attenzione fu colpito da un particolare: una bellissima ragazza mora, dai lunghi capelli corvini, teneva per mano Luca.
Era presente in tutte le foto, gli sorrideva teneramente e dagli sguardi languidi si capiva che erano intimi, probabilmente innamorati. Aleksej era felice di poter finalmente vedere il volto di suo fratello ormai adulto e questo fece stemperare la tensione che si era creata nella stanza.
Restituì le foto a Petrov che le richiuse nel fascicolo.
«Lei ha perfettamente ragione… io e mio fratello siamo identici. Anch’io avrei difficoltà a capire chi è l’uno e chi è l’altro».
Petrov colse al volo l’occasione e rincarò la dose.
«Lei sa che suo fratello vive in Italia… a Roma per la precisione… dove ha intrapreso la carriera militare… esattamente come ha fatto lei… ma solo dall’altra parte della barricata. Quello che ancora non sa è che Luca frequenta il Nato Defence College (NDC in gergo tecnico). È un collegio militare che si occupa della formazione degli ufficiali superiori per attività di alto profilo. Tempo fa questa circostanza ha attirato la nostra attenzione. Da molto tempo monitoriamo suo fratello. Non lo abbiamo mai perso di vista… neppure per un attimo. La scuola è finita e tra due settimane Luca riceverà il suo primo incarico ufficiale nella Nato. Un nostro agente infiltrato ci ha informato che sarà destinato al Joint Warfare Centre (JWC) di Stavanger… in Norvegia».
«Tutto molto interessante… Petrov… ma io in tutto questo cosa c’entro?», domandò perplesso Aleksej.
«Lei c’entra eccome… Maggiore!! Dovrà prendere il posto di suo fratello Luca e infiltrarsi nell’alto comando della Nato. È in gioco il futuro della nostra grande Nazione. Questo è quanto. Per adesso non posso riferirle altro».
Aleksej, che fino a quel momento aveva ascoltato con attenzione, si alzò in piedi di scatto e minacciò Petrov con l’indice della mano destra. «È assurdo!! Io non sarò mai una spia. Dovete lasciare in pace la mia famiglia… lasciare in pace mio fratello Luca. Stiamo ancora soffrendo per il male che ci avete causato e adesso venite a chiedere il nostro aiuto? Farò un casino tale con l’Alto Comando che la smetterete… una volta per tutte… con i vostri giochetti da guerra fredda. Se ancora non l’avesse capito il comunismo è morto e sepolto. Adesso siamo una democrazia e viviamo in pace con l’occidente. Ecco… appunto… lasciateci in pace».
Aleksej si diresse a grandi passi verso l’uscita ma Petrov gli urlò dietro: «Se vuole che suo fratello Luca viva… non lasci questa stanza… e torni a sedersi. Maggiore Marinetto questo è un ordine!!».
Aleksej si voltò irato: “Siete proprio dei gran bastardi. In tutti questi anni non siete cambiati affatto. Voi e i vostri metodi stalinisti. Siete delle iene… sanguisughe”.
«Si sieda Maggiore e non terrò conto delle sue offese. Abbiamo poco tempo per organizzare tutto alla perfezione e litigare non ci aiuterà affatto. Lei deve capire che in ballo ci sono interessi enormi, che vanno al di là di me… di lei… della sua famiglia. È in gioco la sicurezza nazionale… quella del Paese che lei afferma di amare così tanto. È arrivato il momento di dimostrarlo… è arrivato il momento che lei decida da che parte stare. Le consiglio di collaborare senza fare troppe storie. Al nostro prossimo incontro le rivelerò altri particolari della sua missione ma… per adesso… segua il nostro agente che l’accompagnerà alla sua prossima destinazione».
Premette un pulsante sull’interfono e ordinò perentorio: «Agente Ratcenko, nella mia stanza!!».
La porta si spalancò ed entrò una splendida ragazza alta, mora, con lunghi capelli corvini. Indossava jeans aderenti e una camicetta bianca, sbottonata strategicamente per mettere in risalto le sue forme perfette. Aleksej la riconobbe subito, l’aveva già vista. Era la donna delle foto, quella che teneva per mano suo fratello Luca.
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