Roberto Borzellino - Russian Spy. Operazione Bruxelles

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Aleksej è un giovane ufficiale presso l’Accademia militare di San Pietroburgo. Figlio unico di mamma russa e padre italiano, diventerà, suo malgrado, la spia russa più ricercata del pianeta. Riuscirà a portare a termine la sua difficile missione tra Mosca, Roma e Bruxelles? Tra omicidi, tradimenti e colpi di scena e con un finale imprevisto ed emozionante, al protagonista resterà un unico desiderio: la vendetta!!

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Qualcuno aveva portato la chitarra e tutti insieme invitarono Aleksej a suonare un brano italiano, di quelli che la mamma gli aveva insegnato quand’era piccolo. «Sono un italiano… sono un italiano» gridavano a squarciagola e il Maggiore, pur di calmare quella massa indisciplinata, prese la chitarra tra le mani e cominciò a strimpellare il motivetto che tutti chiedevano a gran voce. Dopo aver ascoltato le parole del Generale Govorov non era dell’umore adatto, ma volle che la serata finisse nel modo previsto e non si tirò indietro.

Si alzò al termine di quella improvvisata «perfomance» e dopo essersi congedato dal gruppo, con passi decisi, si diresse verso il suo alloggio di servizio. Mentre la mente vagava in cerca di una spiegazione logica gli tornarono alla mente le parole del nonno Andrej. «Non fidarti dei militari… non fidarti mai dei tuoi colleghi… diffida di tutto e di tutti… lasciati sempre una via d’uscita… per quanto questa possa essere difficile e pericolosa».

Con un colpo secco chiuse dietro di sé la porta della stanza e, senza togliere l’uniforme, si sedette al centro del letto. Si sentiva veramente stanco, come se avesse perso tutte le energie, fisiche e mentali.

Delicatamente tirò fuori dal portafoglio alcune vecchie foto sbiadite: la prima mostrava suo nonno che, impettito nella divisa da generale, faceva bella mostra di tutte le medaglie che aveva meritato in tanti anni di onorato servizio presso il KGB. Era in pensione da diverso tempo e viveva in una bella casa vicino al centro di Mosca. Purtroppo da qualche anno era rimasto da solo. L’amata moglie Olga era morta prematuramente, colpita da un male incurabile che se l’era portata via all’improvviso. Per il Generale Andrej Vladimirovic Halikov quella era stata la missione più dolorosa e difficile della sua vita, dalla quale ne era uscito sconfitto.

Aveva dovuto arrendersi all’inevitabilità di quella perdita e si rammaricava di non essere riuscito a tener fede alla sua «promessa». Aveva giurato ad Olga che, una volta in pensione, avrebbero viaggiato insieme e fatto il giro del mondo. L’avrebbe portata in posti lontani e bellissimi, avrebbero visitato Madrid, Londra, Roma. In compagnia della moglie desiderava godersi in santa pace mostre, musei, parchi. Magari l’avrebbe portata al teatro della Scala di Milano o al Louvre di Parigi.

Erano i luoghi dove Andrej aveva portato a termine con successo le sue missioni più importanti. Era stata una brillante spia russa, probabilmente la più famosa all’interno del KGB. Molti lo ammiravano ancora, nonostante fosse da tempo in pensione. Anche nell’SVR, il nuovo servizio segreto russo, da molti era considerato una leggenda vivente.

Durante il periodo della guerra fredda aveva superato mille pericoli e difficoltà. Una volta era stato anche ferito seriamente ma non fu mai catturato e seppe cavarsela sempre egregiamente. Quello era stato il periodo più eccitante ed avventuroso della sua vita ma l’improvvisa morte della moglie gli aveva tolto ogni desiderio di vita. Era stato un colpo tremendo che lo aveva spezzato dentro e da allora non aveva avuto più la forza di reagire.

Aleksej, guardando quella foto, sentiva che anche suo nonno – il militare tutto d’un pezzo – in fondo aveva un’anima. Ebbe compassione per quel vecchio che non vedeva da così tanto tempo e fu tentato dal telefonare per chiedergli un consiglio. Ma abbandonò subito quell’idea. Ancora gli risuonavano nella testa le parole di sua mamma che aveva vietato a tutti i familiari, lui compreso, di recarsi a Mosca per partecipare alle esequie di nonna Olga, l’amata moglie del nonno.

Lui aveva obbedito, ma contro voglia.

Fu costretto a fare quella scelta ben sapendo che la mamma non gli avrebbe mai perdonato nessun atto di insubordinazione. Stranamente nessuno volle chiarire ad Aleksej i motivi di quella incomprensibile decisione e tutti in famiglia mantennero il segreto. Qualcosa di veramente terribile doveva essere successo tra padre e figlia, tanto grave da «costringere tutti» a restare a San Pietroburgo.

Spesso Aleksej aveva provato ad aprire l’argomento con la mamma ma aveva sempre ricevuto un brusco e netto rifiuto. Una volta aveva cercato di intenerirla dicendole: «Ma Olga è mia nonna… tua madre… sangue del tuo sangue… come puoi fare un atto così deplorevole. Non è da te. Tu che sei una donna giusta… sempre pronta ad aiutare tutti quelli che vengono a chiederti aiuto. Non capisco… perché non mi dici la verità? Perché questo segreto?».

Maria era stata sempre irremovibile con il figlio e l’ultima volta che avevano affrontato l’argomento gli aveva detto, perentoria: «Aleksej possiamo parlare apertamente di tutto quello che desideri ma… due argomenti sono tabù in questa casa… tuo nonno Andrej e tuo padre Roberto. Con questo l’argomento è chiuso e non desidero mai più tornarci sopra».

3

Aleksej mise con cura nell'armadio la sua divisa di Maggiore, facendo attenzione a non sgualcirla perché doveva essere perfetta per il giorno dopo, in presenza del Comandante dell'Accademia. Quindi si mise il pigiama e si stese sul letto. Incrociò le mani dietro la testa e cominciò a fissare il soffitto cercando di tornare con la memoria a quand'era bambino. Come sempre desiderava ricordare il viso di suo padre o, quanto meno, di riascoltare la sua voce. Ma niente.

Nonostante tutti gli sforzi, il nero più assorto si era impossessato del tempo in cui i genitori non avevano ancora insieme. In tutti i suoi venticinque anni aveva sempre sentito la mancanza del padre. Desiderava conoscere quell'uomo con tutte le sue forze per parlargli almeno una volta. Voleva sapere perché lo aveva abbandonato e non si era fatto più vedere e sentire negli ultimi venti anni.

Con il tempo il mistero della fuga del padre si era trasformato in un pesante fardello che gli opprimeva l'anima ed il cuore. La mamma si era sempre prodigata per quell'unico figlio maschio a cui non aveva fatto mancare mai nulla, a cui aveva dato sostegno e amore. Ma nonostante tutti i suoi ad Aleksej era sforzimper mancata una figura paterna e di aver vissuto in una famiglia a metà.

Peraltro Maria, dopo l'abbandono del marito, non si era più risposata e solo recentemente Aleksej aveva scoperto che la mamma non aveva mai divorziato da suo padre. All'anagrafe di San Pietroburgo risultavano ancora ufficializzati sposati. Intuiva che qualcosa di terribile doveva essere capitato alla sua famiglia e percepiva, in ogni caso, che i conti certamente non quadravano.

Innanzitutto si chiedeva come mai la mamma avesse trascorso tutti quegli anni da sola, sempre fedele al marito, come se ne aspettasse il ritorno e come se questo potesse accadere da un momento all'altro.

Aveva provato ad indagare per scoprire la verità ma fino a quel momento aveva trovato ben poco, se non un muro di assoluta omertà. Un giorno era passato a far visita alla mamma ma aveva trovato la casa deserta. Aveva approfittato dell'assenza di Maria per poter frugare in ogni angolo: nei cassetti, negli armadi, in bagno. Fu tutto inutile, non saltò fuori nulla, nemmeno una lettera o una foto che potesse giustificare il tradimento del padre e la fine del loro amore. L'abbandono improvviso di quell'uomo e il suo precipitoso rientro in Italia restavano un fitto mistero ancora irrisolto.

Ma Aleksej continuò imperterrito a non darsi per vinto. Era sicuro che, un giorno o l'altro, trovato i fili giusti e districato quella complicata matassa che continuava ad avvolgere la sua vita e quella della sua famiglia.

Si addormentò con questo pensiero.

4

«Buongiorno signor Generale… Maggiore Aleksej Marinetto a rapporto», e subito si udì nella stanza un colpo netto di tacchi che sbattevano l’uno contro l’altro sul pavimento.

«Riposo Maggiore… si accomodi pure sulla sedia», rispose il Generale Sherbakov, mentre lo fissava con aria severa.

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