«Damien» intervenne Cassie, «voglio rivelarti una cosa. L'ho detto subito, fin dal primo giorno, che questa cosa era stata commessa da qualcuno che non aveva intenzione di commetterla. Una persona che non è violenta, non è un assassino, non si è divertito a farle del male. Qualcuno che l'ha fatto perché doveva farlo. Non aveva altra scelta. L'ho detto fin dal primo momento e lo confermo.»
«È vero, è così» dissi. «Tutti le dicevamo che era fuori di testa, ma lei non ha mai mollato: per lei non era un pazzo, né un serial killer e nemmeno un violentatore di bambini.» Damien trasalì, un rapido guizzo del mento. «Tu cosa pensi, Damien? Bisogna essere un bastardo malato per fare una cosa del genere, o pensi che possa succedere anche a una persona normale che non vorrebbe fare del male a nessuno?»
Tentò una scrollata di spalle, ma era troppo teso e il risultato fu uno spasmo grottesco. Mi alzai e girai intorno al tavolo, lentamente, per appoggiarmi alla parete dietro di lui. «Be', non potremo mai essere sicuri che sia l'una o l'altra cosa, a meno che non sia lui a dircelo. Ma immaginiamo per un momento che il detective Maddox abbia visto giusto. Dopotutto, ha studiato psicologia. Ammettiamo che abbia ragione. Diciamo che il colpevole non è un tipo violento, che non è un assassino per temperamento. Ma è successo.»
Damien, che aveva trattenuto il respiro, lo fece uscire e respirò di nuovo, con un lieve spasmo.
«Ne ho incontrata di gente così. Sai cosa gli succede, poi? Schiantano di botto, Damien. Non riescono a convivere con se stessi. L'abbiamo visto succedere un mare di volte.»
«E non è un bello spettacolo» aggiunse Cassie. «Sappiamo quello che è successo, e anche lui sa che lo sappiamo, ma ha paura di confessare. Crede che andare in galera sia la cosa peggiore che gli può capitare. Dio, come si sbaglia. Ogni giorno, per il resto della vita, si sveglierà la mattina e questa cosa gli precipiterà addosso come se fosse successa il giorno prima. La notte avrà paura di addormentarsi per gli incubi. Continuerà a pensare che andrà meglio, ma non succederà.»
«E prima o poi» dissi, da dietro, «crolla e passa gli ultimi anni in una cella imbottita, in pigiama e pieno di calmanti fino agli occhi. Oppure una sera lega una corda a una ringhiera e s'impicca. Accade più spesso di quanto tu creda, Damien, di non riuscire ad affrontare neanche un altro giorno.»
Tutte balle, ovviamente. Delle decine di assassini mai condannati che potrei nominarvi soltanto uno si è ucciso, e aveva un passato di malattia mentale mai curata, tanto per cominciare. Gli altri vivono più o meno esattamente come prima, vanno al lavoro e poi al pub, portano i figli allo zoo, e se di tanto in tanto hanno un ripensamento lo tengono per sé. Gli esseri umani, come so bene io più di altri, si abituano a tutto. Con il tempo, anche l'impensabile si ricava un piccolo spazio nella mente e diventa semplicemente un fatto accaduto. Ma Katy era morta soltanto da un mese e Damien questa cosa non aveva ancora avuto il tempo di capirla. Era rigido sulla sedia, con lo sguardo abbassato sulla lattina di 7-Up e il respiro faticoso.
«Sai chi sopravvive, Damien?» chiese Cassie. Si chinò sul tavolo e posò la punta delle dita sul suo braccio. «Quelli che confessano. Quelli che scontano la pena. Sette anni dopo, o quello che è, è finita. Escono di galera e possono ricominciare. Non sono più costretti a rivedere il viso della loro vittima ogni giorno, anche quando hanno gli occhi chiusi. Non passano ogni attimo della loro vita nel terrore che possa essere quello il giorno in cui verranno presi. Non devono sobbalzare dalla paura ogni volta che vedono un agente o sentono bussare alla porta. Credimi, alla lunga sono loro quelli che se la cavano.»
Damien stringeva la lattina così forte che questa, con un crac, alla fine cedette. Sobbalzammo tutti.
«Damien» chiesi, a voce molto bassa, «ti sembra di riconoscere le sensazioni di cui parlo?»
Ed eccolo, quello sciogliersi alla base del collo, quell'ondeggiare della testa quando la spina dorsale si piega. Dopo un tempo che parve infinito, Damien annuì, quasi impercettibilmente.
«Vuoi vivere così per il resto della tua vita?»
Mosse la testa, a scatti irregolari, da un lato all'altro.
Cassie gli dette un'ultima piccola pacca sul braccio e tolse la mano. Non doveva esserci nulla che potesse somigliare a coercizione. «Non volevi uccidere Katy, vero?» gli domandò. Dolce, dolcissima, la voce che cadeva nella stanza soffice come neve. «È successo.»
«Sì» sussurrò. Fu quasi solo un sospiro, ma lo sentii. Ero così concentrato che avrei sentito battere il suo cuore. «È successo.»
Per un attimo, la stanza parve piegarsi su se stessa, come se un'esplosione troppo grande per essere sentita avesse risucchiato tutta l'aria. Nessuno riusciva a muoversi. Le mani di Damien diventarono molli e abbandonarono la presa sulla lattina che cadde sul tavolo con un rumore sordo, traballò brevemente e giacque immobile. La luce della lampadina striava i suoi riccioli dandogli una sfumatura bronzo pallido. La stanza respirò di nuovo. Un respiro lento, profondo, pieno.
«Damien James Donnelly» dissi. Non feci il giro del tavolo per mettermi di fronte a lui. Non ero sicuro che le gambe mi avrebbero retto. «Ti dichiaro in arresto con il sospetto di aver, il giorno 17 agosto di quest'anno, a Knocknaree, nella Contea di Dublino, ucciso Katharine Siobhan Devlin, in violazione della legge.»
Damien non smetteva più di tremare. Portammo via le foto e gli porgemmo una tazza di tè caldo, offrendoci di trovargli un altro maglione e di riscaldargli la pizza avanzata, ma lui scosse la testa senza guardarci. Tutta la scena mi sembrava incredibilmente irreale. Non riuscivo a togliergli gli occhi di dosso. Avevo scandagliato spietatamente la mia memoria alla ricerca di ogni ricordo, ero entrato nel bosco di Knocknaree, avevo messo a repentaglio la mia carriera e adesso rischiavo di perdere la mia collega preferita, tutto a causa di quel ragazzino. Avrei voluto toccarlo per essere sicuro che fosse reale.
Cassie compilò insieme a lui i moduli sui diritti, con calma e dolcezza, come se si trattasse della vittima di un brutto incidente. Io me ne stavo in disparte e trattenevo il respiro. Ma non chiese un avvocato. «A che serve? Sono stato io, voi lo sapevate già e adesso lo sapranno tutti. Cosa potrà fare un avvocato… vado in galera, no? Ci vado in galera, no?» Gli battevano i denti. Aveva bisogno di qualcosa di molto più forte di un tè.
«Adesso non preoccuparti di questo, va bene?» disse Cassie con tono tranquillizzante. Mi sembrò un suggerimento piuttosto paradossale, in quella situazione, ma parve calmare un po' Damien. Annuì, perfino. «Tu adesso continua a darci una mano e noi faremo tutto il possibile per aiutare te.»
«Io non… come hai detto tu, non volevo fare del male a nessuno, lo giuro su Dio.» Aveva gli occhi fissi in quelli di Cassie, come se la sua vita dipendesse da lei, dal fatto che lei gli credesse. «Lo dirai? Lo dirai al giudice? Non… non sono un pazzo o un serial killer o… non sono uno così. Non volevo farle del male, lo giuro, lo giuro su… su…»
«Shhh… Lo so.» Cassie aveva di nuovo messo la mano su quella del ragazzo e con il pollice gli strofinava il polso, per calmarlo. «Shhh, Damien. Andrà tutto bene. Il peggio è passato. Adesso ci devi solo dire cosa è successo, con parole tue. Riesci a farlo per me?»
Dopo un paio di respiri profondi, Damien annuì coraggiosamente. «Bravo» disse Cassie e sembrò quasi che volesse accarezzarlo sulla testa, dargli il biscotto premio.
«Abbiamo bisogno di sapere esattamente com'è andata, Damien» dissi, avvicinandomi con la sedia, «passo passo. Com'è cominciata?»
«Come?» chiese lui dopo un momento. Sembrava stordito. «Io… cosa?»
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