«Hai detto che non volevi farle del male. E allora com'è successo?»
«Io non… voglio dire che non lo so. Non mi ricordo. Posso raccontarvi solo… di quella notte?»
Io e Cassie ci scambiammo un'occhiata. «Okay» concessi. «Inizia da quando hai finito di lavorare, lunedì sera. Cosa hai fatto?» C'era qualcosa di strano. Non era possibile che la memoria lo tradisse così a comando. Ma se lo forzavamo adesso poteva anche chiudersi nel mutismo o cambiare idea circa la presenza di un avvocato.
«Sì.» Damien inspirò di nuovo a fondo e si mise a sedere dritto, con le mani strette tra le ginocchia, come uno studente agli esami. «Ho preso l'autobus per andare a casa. Ho cenato con mia madre e poi abbiamo giocato un po' a Scarabeo. Le piace molto giocare a Scarabeo. Mia madre… non sta bene, ha problemi di cuore. È andata a letto alle dieci, come sempre. Io… mah, sono andato in camera mia e ci sono rimasto fino a quando non si è addormentata. Russa, quindi… ho cercato di leggere e cose così ma non ci riuscivo, non riuscivo a concentrarmi, ero un po'…» Batteva di nuovo i denti.
«Calmo, calmo» disse dolcemente Cassie. «Adesso è tutto finito. Stai facendo la cosa giusta.»
Lui fece un breve respiro sincopato e annuì.
«A che ora sei uscito di casa?» chiesi.
«Mah, saranno state le undici. Sono andato a piedi allo scavo. Non è molto distante da casa mia, solo qualche chilometro. Con l'autobus ci si mette una vita perché va in città e poi torna indietro. Io ci sono andato tagliando parecchio, così non dovevo passare davanti alla zona residenziale. Ma non potevo non passare davanti al cottage, e il cane mi conosce. Quando si è alzato gli ho detto: "Buono, Laddie, bel cagnone" e lui ha smesso di abbaiare. Era buio ma avevo una torcia. Sono andato nella baracca degli attrezzi e ho preso un paio di… di guanti, e me li sono messi. Poi ho preso una…» Deglutì faticosamente la saliva. «… una grossa pietra. Da terra, dal bordo dello scavo. E sono andato nella baracca dei reperti.»
«Che ore erano?» chiesi.
«Più o meno mezzanotte.»
«Quando è arrivata Katy?»
«Doveva arrivare…» Sbatté le palpebre, ebbe uno scatto con la testa. «Doveva arrivare all'una, ma era in anticipo. L'una meno un quarto? Quando ha bussato alla porta mi è quasi venuto un colpo.»
Lei, lo aveva spaventato lei. Gli avrei dato un pugno. «E l'hai fatta entrare.»
«Sì. Aveva in mano due biscotti al cioccolato, credo li avesse presi uscendo da casa. Me ne ha offerto uno ma non potevo… insomma, non sono riuscito a mangiarlo. L'ho messo in tasca. Lei ha mangiato il suo e si è messa a raccontarmi della scuola di ballo e cose così, per un paio di minuti. E poi le ho detto… le ho detto… le ho detto: "Guarda lì sulla mensola" e lei si è voltata. Allora l'ho… l'ho colpita. Con la pietra, sulla nuca. L'ho colpita.»
Nella sua voce c'era una nota stridula d'incredulità. Aveva le pupille talmente dilatate che gli occhi gli erano diventati neri.
«Quante volte?» chiesi.
«Io non… io… Oh, Dio… devo fare anche questo? Voglio dire, vi ho detto che l'ho fatto, non potete solo… insomma…» Si aggrappava con le unghie al bordo del tavolo.
«Damien» disse Cassie, con dolcezza ma anche con grande decisione, «è necessario che tu ci dia tutti i dettagli.»
«Okay, okay.» Si passò goffamente la mano sulla bocca. «L'ho colpita solo una volta, ma credo non abbastanza forte, perché è come inciampata ed è caduta in avanti, ma era ancora… si è girata e ha aperto la bocca come per gridare, allora io… l'ho afferrata. Insomma, avevo paura, ero terrorizzato e se avesse urlato…» Stava praticamente farfugliando. «Le ho messo una mano sulla bocca e ho cercato di colpirla di nuovo, ma lei metteva in mezzo le mani e mi graffiava e mi dava dei calci… Eravamo per terra e non riuscivo nemmeno a vedere bene cosa stava succedendo perché la torcia era rimasta sul tavolo, non avevo acceso la luce. Cercavo di tenerla giù ma lei tentava di raggiungere la porta, continuava ad agitarsi, era molto forte… non immaginavo fosse tanto forte a vederla così…»
La voce gli si spense e rimase a fissare il tavolo. Respirava con il naso, respiri veloci, brevi, aspri.
«Così piccola» completai, inespressivo.
Damien spalancò la bocca, ma non ne uscì alcun suono. Era diventato di un terribile bianco verdastro, con le lentiggini che spiccavano come in un altorilievo.
«Possiamo fare una pausa, se ne hai bisogno» disse Cassie. «Ma prima o poi dovrai dirci il resto della storia.»
Scosse la testa con violenza. «No. Non voglio una pausa. Voglio solo… sto bene.»
«Bene, allora continuiamo» feci io. «Le avevi messo una mano davanti alla bocca e lei si divincolava.» Cassie ebbe un piccolo scatto che riuscì a controllare solo in parte.
«Sì, okay.» Damien si strinse la braccia intorno al corpo, le mani sepolte nelle maniche del maglione. «Poi lei si è girata sulla pancia e si è messa a strisciare verso la porta e io… l'ho colpita di nuovo. Con la pietra. Sulla testa, di lato. Questa volta più forte, credo… forse per l'adrenalina o qualcosa del genere. A quel punto è crollata. Ha perso i sensi. Però respirava, respirava molto forte, sembravano gemiti. Sapevo che avrei dovuto colpirla di nuovo, ma non ci sono riuscito. Non ho…» Adesso sembrava vicino all'iperventilazione. «Io non volevo… farle… del male.»
«E allora cos'hai fatto?»
«C'erano dei… dei sacchetti di plastica, sulle mensole. Per i reperti. Allora ne ho preso uno e… e gliel'ho messo sulla testa e l'ho tenuto chiuso fino a quando…»
«Fino a quando, cosa?» chiesi.
«Fino a quando non ha smesso di respirare» disse Damien alla fine, pianissimo.
Ci fu un lungo silenzio, rotto solo dal vento che fischiava nel condotto dell'aerazione e dal rumore della pioggia.
«E poi?»
«Poi…» La testa di Damien vacillò leggermente. Lo sguardo era quello di un cieco. «Poi l'ho presa in braccio. Non la potevo lasciare nel capanno degli attrezzi, altrimenti gli altri se ne sarebbero accorti. Volevo portarla fuori, nel sito. Era… c'era sangue dappertutto, credo per via dei colpi che le avevo dato. Le ho lasciato in testa il sacchetto di plastica perché non perdesse altro sangue. Ma quando sono andato verso il sito c'era una luce. Tipo un fuoco, o qualcosa del genere. C'era qualcuno. Mi sono spaventato. Ero così spaventato che non riuscivo quasi a stare in piedi. Ho pensato di mollarla lì… e se qualcuno mi vedeva?» Sollevò i palmi delle mani verso di noi, come a chiedere aiuto, la voce spezzata. «Non sapevo cosa farci, con lei.»
Non aveva ancora parlato della cazzuola. «E allora cosa hai fatto?» chiesi.
«L'ho riportata verso le baracche. In quella degli attrezzi ci sono delle incerate che dovremmo usare per coprire le parti delicate del sito quando piove, ma non ne abbiamo bisogno quasi mai. L'ho avvolta in una di quelle, così… insomma non volevo che… gli insetti…» Deglutì. «E poi l'ho messa sotto le altre incerate. Forse avrei potuto lasciarla semplicemente in uno dei campi di scavo ma… ci sono le volpi… e i topi… e potevano passare giorni prima che qualcuno la trovasse, e non volevo… gettarla via… non riuscivo a ragionare bene. Ho pensato che magari il giorno dopo, la sera dopo, avrei saputo cosa fare…»
«E poi sei tornato a casa?»
«No, io… prima ho pulito la baracca degli attrezzi. Il sangue. Era dappertutto, sul pavimento, sui gradini, e mi sporcava i guanti, i piedi e… ho riempito un secchio d'acqua con il tubo di gomma e ho cercato di lavare. Era… si sentiva l'odore… ogni tanto mi dovevo fermare perché mi veniva da vomitare.»
Aveva l'aria, lo giuro, di uno che si aspettasse solidarietà. «Dev'essere stato orribile» disse Cassie, comprensiva.
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