Lui scosse la testa con decisione. «No. Lo giuro. Non l'avevo mai vista prima in tutta la mia vita.»
Ci fu un attimo di silenzio. Rivolsi a Damien quella che speravo sembrasse un'occhiata di scarso interesse, ma la testa mi girava.
Avevo puntato su Mark colpevole non solo per spirito di contraddizione, come potreste pensare, né perché qualcosa in lui mi irritava, senza voler per forza spiegare cosa. Credo fosse perché tutto sommato, date le opzioni possibili, preferivo che fosse lui. Non avevo mai preso sul serio Damien né come uomo, né come testimone e certamente ancora meno come sospettato. Era solo un tremendo imbranato, tutto riccioli e balbettii e vulnerabilità, uno che si poteva spazzar via come un soffione. Soltanto pensare che tutto un mese passato come l'avevamo passato potesse aver avuto origine da uno come lui mi appariva scandaloso. Mark invece, qualunque cosa pensassi io di lui e lui di me, era un avversario e un obiettivo che valeva la pena di incastrare.
Ma Damien aveva sicuramente detto una bugia priva di senso. Le figlie dei Devlin erano state spessissimo allo scavo, quell'estate, ed era difficile non averle notate. Tutti gli altri archeologi si ricordavano di loro. Perfino Mel, che era rimasta a debita distanza dal cadavere, l'aveva riconosciuta immediatamente. E Damien, che accompagnava spesso i visitatori, era quello che probabilmente aveva avuto più occasioni di parlare con Katy, passare del tempo con lei. Si era chinato sul suo cadavere, in teoria per vedere se respirava ancora, e anche quel gesto, me ne rendevo conto solo adesso, anche quell'insolito coraggio era fuori dal personaggio. Non aveva nessuna ragione al mondo per negare di averla vista prima, a meno che non stesse goffamente cercando di evitare una trappola che non avevamo mai preparato. A meno che il pensiero di essere legato a lei in qualche modo non lo spaventasse a tal punto da impedirgli di ragionare lucidamente.
«Okay» disse Cassie. «E suo padre, Jonathan Devlin? Tu fai parte di "Spostiamo l'autostrada"?» Damien ingollò un grosso sorso di tè ormai gelato e annuì di nuovo. Abbandonammo con destrezza l'argomento prima che avesse modo di rendersi conto di quello che aveva detto.
Alle tre, Cassie, Sam e io andammo a prendere delle pizze. Mark iniziava a rompere le scatole, diceva che aveva fame, e noi volevamo che sia lui sia Damien si sentissero a loro agio. Nessuno dei due era in arresto, potevano decidere di andarsene dalla centrale in qualsiasi momento e non avremmo potuto fare niente per fermarli. Stavamo giocando, come facciamo spesso, sull'elementare desiderio umano di compiacere l'autorità, di fare i bravi. Anche se ero certo che questo sarebbe bastato a tenere Damien nella stanza degli interrogatori in eterno, non nutrivo la medesima certezza con Mark.
«Come va con Donnelly?» mi chiese Sam, in pizzeria. Cassie era al bancone, ci si era appoggiata e stava scherzando con il ragazzo che aveva preso la nostra ordinazione.
Mi strinsi nelle spalle. «Difficile dirlo. E con Mark?»
«Un incubo. Dice che ha passato sei mesi a farsi il culo per "Spostiamo l'autostrada", perché avrebbe dovuto rischiare di mandare tutto a puttane uccidendo la figlia del presidente? Sostiene che sia tutta una faccenda politica…» Sam fece una smorfia. «Ma Donnelly» riprese, non guardando me ma Cassie che ci dava la schiena. «Se è il nostro uomo, cosa avrebbe… insomma, quale sarebbe il movente?»
«Per adesso non abbiamo trovato niente» dissi. Non volevo ancora rivelare nulla.
«Se salta fuori qualcosa…» Sam si ficcò le mani nelle tasche dei pantaloni. «… qualcosa che pensi io possa voler sapere… mi chiami?»
«Sì» promisi. Non avevo mangiato nulla in tutto il giorno, ma era l'ultima cosa che desideravo fare in quel momento. Volevo solo tornare da Damien e sembrava ci volessero ore per quelle pizze. «Certo.»
Damien prese una lattina di 7-Up ma rifiutò la pizza. Non aveva fame. «Davvero?» chiese Cassie, cercando di raccogliere con le mani la mozzarella che filava. «Dio, quando ero studentessa non avrei mai saputo dire di no a qualcuno che mi offriva una pizza.»
«Tu non rifiuti il cibo in nessuna circostanza» le dissi. «Sei un aspirapolvere umano.» Cassie, con la bocca troppo piena per rispondere, annuì allegra e fece il gesto del pollice in alto. «Dai, avanti, Damien, prendine un pezzo. Devi mantenerti in forze, vedrai che ci toccherà stare qui ancora per un po'.»
Spalancò gli occhi. Gli porsi uno spicchio e quando lui scosse la testa feci un'alzata di spalle e lo mangiai io. «Okay, parliamo di Mark Hardy. Che tipo è?»
Damien sbatté le palpebre. «Mark? Mah, è un tipo a posto. È un po' rigido ma, insomma, è giusto così. Non abbiamo molto tempo.»
«Lo hai mai visto diventare violento? Perdere le staffe?» Agitai una mano verso Cassie e lei mi lanciò un tovagliolo di carta.
«Ah… no… Insomma, sì, a volte si arrabbia, se qualcuno fa casino, ma non l'ho mai visto alzare davvero le mani, o cose simili.»
«E pensi che sarebbe capace di farlo, se fosse molto arrabbiato?» Mi pulii le dita e sfogliai il blocco, cercando di non ungere le pagine. «Il solito sbrodolone» mi rimproverò Cassie. Le mostrai il dito medio. Damien ci guardò, disorientato.
«Cosa?» chiese poi, esitante.
«Credi che Mark possa diventare violento se provocato?»
«Forse sì, non lo so.»
«E tu? Hai mai picchiato qualcuno?»
«No! Ma… no!»
«Avremmo dovuto prendere anche il pane all'aglio» disse Cassie.
«Io non ci sto di sicuro chiuso in una stanza degli interrogatori con due persone e della roba all'aglio. Cosa pensi ti ci vorrebbe per picchiare qualcuno, Damien?»
La bocca del ragazzo si spalancò.
«Non sembri un tipo violento, ma tutti hanno un punto di rottura. Per esempio, picchieresti qualcuno che insultasse tua madre?»
«Io…»
«Oppure per denaro? O per autodifesa? Cosa potrebbe spingerti a farlo?»
«Io non…» Damien sbatteva le palpebre in continuazione. «Non lo so. Insomma io… io non ho mai… però credo che, come diceva lei, tutti hanno un punto di rottura, non lo so…»
Annuii e presi mentalmente nota. «Magari ne vuoi una diversa?» chiese Cassie, guardando la pizza. «Per me la migliore resta quella con prosciutto e ananas, però di là ce n'è una tosta… salame piccante e salsiccia.»
«Cosa? Ma… no. No, grazie. Chi c'è…?» Aspettammo, masticando. «Chi c'è di là? Posso… posso chiederlo?»
«Certo» risposi. «C'è Mark. Abbiamo già mandato a casa Sean e il dottor Hunt, ma Mark non possiamo ancora lasciarlo andare.»
A mano a mano che elaborava le informazioni e le relative implicazioni, Damien mostrava un pallore sempre più accentuato. «E perché?» chiese debolmente.
«Questo non posso dirtelo» rispose Cassie, prendendo un altro pezzo di pizza. «Mi dispiace.» Gli occhi di Damien rimbalzarono, disorientati, dalle sue mani al suo viso, poi al mio.
«Quello che posso dirti, però» dissi, muovendo verso di lui il pezzo di crosta di pizza che avevo in mano, «è che questo è un caso davvero molto serio. Ho visto molta brutta roba nella mia carriera, Damien, ma questo… Non c'è peggior crimine al mondo che uccidere un bambino, in questo caso una bambina. Una vita spezzata per sempre, l'intera comunità gettata nel terrore. I suoi amici non supereranno mai lo shock, la sua famiglia ne sarà devastata…»
«A pezzi» rincarò Cassie, con la bocca piena. Damien deglutì, abbassò lo sguardo sulla 7-Up come se l'avesse dimenticata e si mise ad armeggiare con la linguetta.
«Chiunque abbia fatto una cosa del genere…» Scossi la testa. «Non so proprio come possa andare avanti senza fare i conti con se stesso.»
«Occhio al pomodoro» mi disse Cassie, passandosi un dito sull'angolo della bocca. «Insomma, non ti posso proprio portare da nessuna parte.»
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