« Andale ?» ripeté Cassie, pericolosamente vicina a un altro attacco di ridarella.
«Bravi, ragazzi» disse Sam. Ci tese la mano. La sua stretta era forte e calda. «Buona fortuna.»
«Se per caso è stato Andrews a ingaggiare uno di loro» dissi, quando Sam se ne andò per cercare Sweeney e Cassie e io restammo soli nella sala operativa, «sarà il casino del secolo.»
Cassie inarcò un sopracciglio ma non aggiunse altro. Finì il caffè. La giornata si preannunciava lunga e avevamo fatto tutti il pieno di caffeina.
«Come vuoi procedere adesso?» chiesi.
«Guida tu. Lui pensa alle donne unicamente come a una fonte di simpatia e approvazione. Gli darò una pacca sulla spalla di tanto in tanto. Si sente minacciato dagli uomini, quindi vacci piano. Se sei troppo duro si irrigidirà e vorrà andarsene. Prendi tempo, portalo piano piano verso la consapevolezza. L'ho visto insicuro fin dall'inizio.» Era la cosa più vicina a un "te l'avevo detto io" che avrebbe potuto dire. «E sono certa che abbia l'inferno dentro. Se facciamo appello alla sua coscienza prima o poi crollerà, è solo questione di tempo.»
«D'accordo» dissi, «faremo così.» Ci lisciammo gli abiti, ci aggiustammo i capelli e ci avviammo, spalla a spalla, lungo il corridoio delle stanze degli interrogatori.
Fu l'ultima volta che lavorammo insieme. Vorrei tanto farvi capire che un interrogatorio può avere una sua bellezza, fulgida e crudele come quella di una corrida. Può mostrarvi come possa, nonostante i delitti più atroci o il sospettato più idiota, mantenere inviolata una sua grazia irresistibile, ed eccitante un suo ritmo. Può rivelarvi il modo in cui due detective si conoscono, come l'uno segua alla perfezione il pensiero dell'altro, alla stregua di due ballerini che danzano da una vita un pas de deux. Non saprò mai se io o Cassie fossimo dei grandi detective, anche se ho il sospetto di no, ma una cosa la so: insieme eravamo una coppia epica, di quelle cantate dai bardi e che vanno a finire sui libri di storia. Quella fu la nostra ultima danza, la migliore, ballata in una piccola stanza degli interrogatori, con il buio fuori e la pioggia che cadeva dolce e instancabile sul tetto, senza altro pubblico che i condannati e i morti.
Damien se ne stava raggomitolato sulla sedia, spalle rigide, ignorando la tazza di tè ancora fumante sul tavolo. Quando gli lessi i suoi diritti mi guardò come se parlassi urdu.
Il mese che era trascorso dalla morte di Katy non era stato buono con lui. Indossava un paio di pantaloni color kaki e un vecchio maglione grigio sformato. Si vedeva che era dimagrito e la cosa lo faceva sembrare un ragazzo di strada, anche più basso di quanto non fosse in realtà. Il suo fascino da componente di una boy-band iniziava a mostrare un po' la corda: borse violacee sotto gli occhi, un solco verticale che si andava formando tra le sopracciglia. Il fiore della giovinezza, che sarebbe dovuto durare per lui ancora qualche anno, stava appassendo in fretta. Quel cambiamento non mi era parso tanto evidente allo scavo, ma adesso lo notavo e mi fece riflettere.
Cominciammo con domande facili, cose senza implicazioni alle quali poteva rispondere senza doversene preoccupare. Era di Rathfarnham, vero? Studiava al Trinity? Aveva appena finito il secondo anno? Com'erano andati gli esami? Damien rispondeva a monosillabi e intanto si attorcigliava il bordo del maglione attorno al pollice. Ovviamente, moriva dalla voglia di sapere perché glielo chiedevamo, ma aveva anche paura di scoprirlo. Cassie portò gradatamente la conversazione sull'archeologia e lui piano piano si rilassò. Smise di tormentare il maglione e bevve il suo tè, rispondendo con frasi di senso compiuto. I due intavolarono tutta una lunga e serena conversazione sui vari reperti che avevano trovato allo scavo. Li lasciai fare per almeno venti minuti prima di intervenire. Sfoderai il mio sorriso più tollerante. «Mi spiace interrompervi, ragazzi, ma sarebbe meglio tornare a parlare di quello che ci interessa, altrimenti mi sa che finiamo nei guai tutti e tre.»
«Ma dai, Ryan, un minuto» implorò Cassie. «Non ho mai visto un fermamantello. Com'è fatto?»
«Pare che lo esporranno al Museo nazionale» aggiunse Damien, arrossendo di orgoglio. «È piuttosto grande, di bronzo, e sopra c'è un disegno…» Fece dei ghirigori con un dito, forse per indicare il motivo inciso.
«Dai, me lo disegni?» chiese Cassie, facendo scivolare verso di lui il suo taccuino e la penna. Damien disegnò, obbediente, con la fronte aggrottata per la concentrazione.
«Una cosa tipo questa» disse, restituendo il taccuino a Cassie. «Non sono bravo a disegnare.»
«Wow» disse Cassie con ammirazione. «E sei stato proprio tu a trovarlo? Se avessi trovato io una cosa così mi sarebbe venuto un colpo, un attacco di cuore o che so io.»
Lanciai un'occhiata da sopra la sua spalla: era un ampio cerchio con quello che sembrava uno spillone fissato al centro, sul retro, decorato con linee curve, fluide ed equilibrate. «Bello» dissi. Damien era senza dubbio mancino, con mani che sembravano ancora troppo grandi per il suo corpo, come le zampe di un cucciolo.
«Hunt è fuori» disse O'Kelly, nel corridoio. «Nella deposizione sostiene di aver cenato e poi guardato la televisione con sua moglie tutta la sera di lunedì fino a quando non è andato a letto, alle undici. Hanno guardato quei documentari del cazzo, una roba pallosa sulle manguste e poi uno su Riccardo III. Ci ha raccontato tutti i dettagli, che lo volessimo o no. La moglie dice la stessa cosa, e la guida TV conferma. Il vicino poi ha un cane, una di quelle merdine che abbaiano tutta la notte. Ha sentito Hunt che gli gridava di smetterla, affacciato alla finestra, all'una di notte. Perché poi non abbia detto lui stesso al suo cane di smetterla… Dice che è sicuro del giorno perché è stato quando gli hanno montato il rivestimento nuovo di legno e il cane si è innervosito per via degli operai. Adesso lo mando a casa, Einstein, prima che mi rincoglionisca del tutto. È stata una gara dura, ragazzi.»
«Come se la sta cavando Sam con Mark?» chiesi.
«Niente di fatto. Hardy è indisponente come pochi. Si ostina con la storia della notte di scopate e la sua ragazza conferma. Se anche fingono, non mi pare che possano smentirsi a breve. E non è mancino. Il vostro?»
«Il nostro sì» disse Cassie.
«Quindi direi che per adesso è il favorito. Ma non credo basterà. Ho parlato con Cooper…» Il viso di O'Kelly si contorse in una smorfia di disgusto. «Posizione della vittima, posizione dell'assalitore, calcolo delle probabilità… c'è più merda che in un letamaio, ma alla fin fine pensa che il nostro uomo sia mancino, anche se non lo può confermare al cento per cento. Fa come i politici. E Donnelly, che dice?»
«È nervoso» dissi io.
O'Kelly diede uno schiaffo alla porta della stanza degli interrogatori. «Bene. E voi non lasciate che si calmi.»
Tornammo dentro e ci mettemmo d'impegno. «Va bene ragazzi» dissi, prendendo una sedia. «Adesso dobbiamo andare al sodo. Parliamo di Katy Devlin.»
Damien annuì, serio, ma lo vidi irrigidirsi. Sorseggiò il tè, anche se ormai doveva essere freddo.
«Quand'è stato che l'hai vista, la prima volta?»
«Credo che fossi a tre quarti della collina, e stavo salendo. Comunque ero più in alto del cottage e delle baracche. È stato per l'inclinazione del pendio…»
«No» disse Cassie, «non il giorno in cui hai trovato il cadavere. Prima.»
«Prima?» Damien sbatté le palpebre, prese un altro sorso di tè. «No… io non… non l'avevo mai vista. Mai incontrata prima di allora… di quel giorno.»
«Non l'avevi mai vista prima?» Il tono di Cassie non era cambiato, ma avevo immediatamente percepito in lei l'immobilità del predatore che osserva la sua prossima preda. «Ne sei certo? Pensaci bene, Damien.»
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