Giovanni Verga - Eros

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«Adele, desidero parlarti» le disse con voce tremante.

La fanciulla, un po’ rassicurata nel vederlo cosí commosso, rispose ingenuamente:

«Andiamo in giardino.»

«No… stanotte, quando tutti saranno a dormire… Allorché sentirai picchiare tre colpi alla tua finestra… sarò io…»

Ella sorpresa stava per domandargli la ragione di tutti quei misteri che non capiva, quando Alberto la interruppe vivamente:

«Zitta! ci osservano!»

E tirò di lungo colla guardinga disinvoltura di un cospiratore di melodramma.

Velleda s’era fermata ad aggiustarsi un nastro, e lo zio Bartolomeo in quell’istante era tutto intento a far vedere ai suoi ospiti che la sera era bellissima.

Alberto afferrò Gemmati per mano, al momento in cui stava per ritirarsi nella sua camera, e lo condusse seco in giardino.

«Stanotte le parlerò!» gli disse all’orecchio con voce soffocata.

Gemmati si fermò a guardarlo sorpreso, e gli rispose dolcemente:

«Perché cotesta pazzia? Non la vedi sempre? Non puoi parlarle quando vuoi?»

«No!… non è la stessa cosa… Tu non mi intendi… non puoi intendermi… non l’ami come io l’amo… L’hai vista? Com’è bella! non è vero?»

«Sí, è un angioletto.»

«Anche la Velleda è bella… forse piú bella… in modo diverso… Tutti lo dicono… e alcune volte, vedendole l’una accanto all’altra, anche io… Ma perché sembrami piú bella l’Adelina?»

«Perché l’ami.»

«E perché devo amar lei e non Velleda, che è bella per lo meno quanto lei?»

«To! perché ella ti ama.»

VII

Il tocco era suonato da un pezzo quando Alberto aprí la sua finestra – ora deliziosa che precedeva il primo appuntamento, ora piena di agitazione voluttuosa e di ansia inesplicabile. La finestra di Adele era chiusa: che fisonomia singolare avea quella finestra buia, e come lo guardava! Egli esitò alcuni istanti, come ogni Cesare che stia per passare un Rubicone; poi saltò sull’erba col cuore di un ladro che scassina per la prima volta un uscio. Il silenzio era profondo, e il giovane non aveva fatto il menomo rumore cadendo sulla punta dei piedi. Le frondi del pergolato stormivano appena. Egli si fermò, inquieto, guardando attorno, coll’orecchio teso, come se i menomi rumori venissero dallo zio che stesse soffiandosi il naso e prendendo tabacco. Poi si avanzò a passi di lupo fin sotto la finestra della cugina. Trattavasi adesso di picchiare quei tre famosi colpi, promessi quando ci volevano ancora due ore per picchiarli, quando il cuore, sotto gli occhi di lei, picchiava piú forte, e il chiacchierío che regnava nel salotto faceva supporre che non si sarebbero quasi uditi. Tutta la poesia dei romanzeschi convegni, delle scale di seta e dei segnali misteriosi, sfumò dinanzi al timore di udir tossire lo zio Forlani. Sentí di aver paura, e poi cotesta confessione che dovette farsi gli infuse coraggio. Allorché bussò leggermente alla finestra, gli parve di aver destato tutti gli echi della montagna e tutti gli zii del mondo.

Quanti palpiti in quel minuto che la finestra indugiò ad aprirsi! Quanti palpiti allorché l’udí schiudersi pian pianino: con una circospezione che confessava il peccato ad alta voce! Una striscia luminosa si disegnò sull’erba dell’aiuola, e la leggiadra testolina di Adele si mostrò timidamente. Essa tremava un po’; la luna che si era levata tardi, illuminava il muro di contro e riverberava un barlume livido e dolce sul candido viso di lei, che sorrideva con ineffabile imbarazzo, e guardava qua e là, senza osare di fissare gli occhi su di lui. Certamente si erano detto abbastanza; ma il cugino, messo alle strette da quel silenzio eloquente, incominciò:

«Come sei buona, Adele!»

Ella spalancò i suoi occhioni, e domandò con graziosa ingenuità:

«O perché?»

«Perché hai accondisceso…»

«Non me lo domandasti tu?…»

«Sí… ma a quest’ora dormiresti… ed invece io…»

L’Adele fece certo sorrisetto e rispose:

«No, non aveva sonno… Non ho sonno da parecchie notti.»

«Da quando?…»

«Sa che è molto curioso, signor cugino!» gli diss’ella dopo un istante d’esitazione.

Il cugino, senza aprir bocca, la guardò per la prima volta negli occhi coll’amore dell’uomo. Ella abbassò i suoi e non rise piú.

«Sei ben sicuro che dorman tutti?» gli domandò poco dopo, rispondendo senza saperlo a quello sguardo.

«Sí, da piú di un’ora non si vede un sol lume.»

Ella ritirò bruscamente la sua mano. Successe un silenzio che le diede animo e la fece sorridere: «Ebbene» gli domandò «son qua, che cosa devi dirmi?»

«Volevo… desideravo chiederti scusa.»

«Di che?»

«Sono stato cattivo…»

Ella scosse il capo lentamente: «No».

Alberto avrebbe preferito dei rimproveri, onde aver agio di menare il can per l’aia. Non seppe piú che dire, e rimase imbarazzato.

«Senti l’usignolo?»

«No, è il passero solitario.»

«Che notte deliziosa!»

Ella non rispose.

«A che pensi?»

«A nulla.»

«Non ti senti felice?»

«… Sí!»

«Che ora è?» domandò la fanciulla dopo alcuni istanti, come se si svegliasse.

«Sarà il tocco e mezzo…»

«È tardi, sai!»

«Vuoi andartene?»

«Sí» e non si muoveva.

«Perché hai detto che sei stato cattivo?» gli domandò sorridendo cheta cheta.

«Perché… è inutile adesso che te lo dica… tu mi hai perdonato!»

E pose un sospirone per punto.

Ella si mise a guardar la luna, dicendole tante cose cogli occhi.

Poscia vivamente, come trasalendo:

«Addio! addio! È tardi, buona sera!»

«Adele!…» esclamò Alberto mentre ella stava per chiudere la finestra. «Adele!» Ella si affacciò di nuovo, ma tutta tremante, quasi avesse udito tutt’altro accento nella voce di lui. Egli esitava. – Allora la fanciulla gli fissò in volto gli occhi lucenti. – Il giovane sentí tutti i pudichi ardimenti, tutte le avide reticenze che ci erano in quello sguardo di vergine, e disse: «Vi amo! ecco quello che volevo dirvi!».

Adele divenne bianca udendo quella parola che aspettava da un’ora.

«Perdonatemi» riprese Alberto turbato dal silenzio di lei. «Vi è dispiaciuto che ve l’abbia detto? Perdonatemi, Adele! Ma parlate, ditemi almeno una sola parola, per l’amor di Dio.»

«Perché mi date del voi?…» mormorò la fanciulla con un fil di voce.

«Ah! come sei buona, Adele! Sei buona quanto sei bella! Vedi, a darti del tu adesso sembrami una delizia! Tu non sapevi nulla! Non ti sei mai accorta di nulla! Ti amavo da lungo tempo, sai! Sin da quando ero in collegio; ma dacché ti son vicino ti amo come… non saprei dirtelo io stesso… Mentre ti parlo, ora, sembrami che il cuore stia per scapparmi dal petto… Vorrei…»

La fanciulla lasciò cadergli fra le mani il ramoscello di vainiglia che s’era messo in seno. Alberto afferrò quelle manine, e gliele baciò con ardore.

«Come sei bella!» esclamò guardandola con occhi innamorati. «Quanto ti amo!»

Infatti ella era proprio bella in quel momento; l’amore irradiavasi come una specie d’aureola dal rossore che la copriva, dal suo sorriso incerto e pudico, dai suoi occhi chini. C’era tanta luce in quegli occhi, che allorché li fissò in volto ad Alberto parvegli che due stelle lo abbagliassero.

Ei le parlava concitato, con quel primo irrompere dell’amore che avea vagato sino a quel giorno fra le nebulose dell’immaginazione. Le diceva di quel che sentivasi in cuore, di quel che avea fatto, degli anni passati in collegio, delle timide gioie, delle amarezze soffocate, della madre che avea perduta – come ella avea perduta la sua – di quella prima sera in cui s’era messo a sedere accanto a lei, di quel che aveva visto nella tremola luce delle stelle, irradiazione di mondi sconosciuti, di quel vago sentimento di un noi sparso per tutto il creato, di quelle aspirazioni eteree verso una parola senza voce umana, che s’erano concentrati in lei, e che gli inondavano il cuore, tutti in una volta, al semplice contatto della sua veste. Sí sentiva immensamente felice: era la prima volta che parlava d’amore, e che una fanciulla stava ad ascoltarlo. – Ella ascoltava avidamente, infatti; o piuttosto beveva l’amore vergine ed entusiasta del giovane nello scintillare dei suoi occhi, e nelle vibrazioni appassionate della sua voce. Le sue povere manine tremavano come foglie nelle mani di lui. «Mi ami?» le diss’egli con uno di quegli accenti che penetrano sino in fondo al cuore. Ella accennò di sí col capo due o tre volte, senza osar di guardarlo.

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