Luigi Pirandello - In Silenzio
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– Ma forse la sua signora…
– Mi lasci dire! Se la morte, signor mio, fosse come uno di quegl’insetti strani, schifosi, che qualcuno inopinatamente ci scopre addosso… Lei passa per via; un altro passante, all’improvviso, lo ferma e, cauto, con due dita protese, le dice: «Scusi, permette? Lei, egregio signore, ci ha la morte addosso». E con quelle due dita protese, gliela piglia e gliela butta via… Sarebbe magnifica! Ma la morte non è come uno di questi insetti schifosi. Tanti che passeggiano disinvolti e alieni, forse ce l’hanno addosso; nessuno la vede; ed essi pensano intanto tranquilli a ciò che faranno domani o doman l’altro. Ora io, caro signore, ecco… venga qua… qua, sotto questo lampione… venga… le faccio vedere una cosa… Guardi qua, sotto questo baffo… qua, vede che bel tubero violaceo? Sa come si chiama questo? Ah, un nome dolcissimo… più dolce d’una caramella: Epitelioma, si chiama. Pronunzii, pronunzii… sentirà che dolcezza: epiteli – oma… La morte, capisce? È passata. M’ha ficcato questo fiore in bocca e m’ha detto: «Tientelo, caro: ripasserò fra otto o dieci mesi!». Ora mi dica lei, se, con questo fiore in bocca, io me ne posso stare a casa tranquillo e alieno, come quella disgraziata vorrebbe. Le grido: «Ah sì, e vuoi che ti baci?» – «Sì, baciami!» – Ma sa che ha fatto? Con uno spillo, l’altra settimana s’è fatto uno sgraffio qua, sul labbro, e poi m’ha preso la testa: mi voleva baciare… baciare in bocca… Perché dice che vuol morire con me. È pazza. A casa io non ci sto. Ho bisogno di starmene dietro le vetrine delle botteghe, io ad ammirare la bravura dei giovani di negozio. Perché lei lo capisce, se mi si fa un momento di vuoto dentro… lei lo capisce, posso anche ammazzare come niente tutta la vita in uno che non conosco… cavare la rivoltella e ammazzare uno che, come lei, per disgrazia, abbia perduto i treno… No no, non tema, caro signore: io scherzo! – Me ne vado. Ammazzerei me, se mai… Ma ci sono, di questi giorni, certe buone albicocche… Come le mangia lei? Con tutta la buccia, è vero? Si spaccano a metà: si premono con due dita, per lungo, come due labbra succhiose… Ah che delizia! – Mi ossequi la sua egregia signora e anche le sue figliuole in villeggiatura. Me le immagino vestite di bianco e celeste, in un bel prato verde in ombra… E mi faccia un piacere, domattina, quando arriverà. Mi figuro che il paesello disterà un poco dalla stazione… All’alba lei può far la strada a piedi. Il primo cespuglietto d’erba su la proda. Ne conti i fili per me. Quanti fili saranno tanti giorni ancora io vivrò. Ma lo scelga bello grosso, mi raccomando. Buona notte, caro signore.
VA BENE
1. Stato di servizio (fino addì 5 marzo del 1904).
A Sorrento, da Corvara Francesco Aurelio e Florida Amidei, nella notte dal 12 al 13 febbrajo dell’anno 1861, nasce Cosmo Antonio Corvara Amidei, e subito è accolto male: a sculacciate; preso per i piedi dalla levatrice e tenuto per qualche momento a testa giù, perché, quasi strozzato a causa delle doglie stanche della madre, è entrato nel mondo senza strillare.
Botte, finché non strilla.
Entrando, bisogna strillare.
Dal 13 di febbrajo del 1861 al 15 di marzo del 1862, cinque balie. La prima e la seconda, cambiate perché scarse di latte; la terza, perché nel fargli il bagno, una mattina, lo tuffa nell’acqua ancor quasi bollente, scordandosi di temperarla. Scottatura di secondo grado. È per morirne; Dio misericordioso non vuole; ma gli muore, invece, la madre. La quarta balia lo lascia cadere tre volte dal letto, e non di più; e gli fa poi ruzzolare la scala, insieme con lei, una volta sola. Ferite di poco conto: la più grave, rottura dell’osso del naso.
A nove anni, dopo aver sofferto tutte le malattie, che sono come i gradini per cui dalla tenera infanzia – con l’ajuto del medico da un lato e del farmacista dall’altro – si sale alla vispa fanciullezza, Cosmo Antonio Corvara Amidei, animato da fervido zelo religioso, entra in seminario.
Pochi giorni prima d’entrarvi, seguendo alla lettera una delle sette opere corporali di misericordia, s’era spogliato d’un bell’abituccio nuovo che il babbo gli aveva portato da Napoli; ne aveva vestito un povero ragazzetto che se ne stava su la spiaggia ignudo nato, ed era ritornato a casa col solo berrettino da marinajo in capo. In compenso, il babbo gli aveva detto tante belle cose, imbecille, somaro, scimunito, e gli aveva carezzato con tanto slancio gli orecchi, che per miracolo non glieli aveva strappati.
In seminario Cosmo Antonio Corvara Amidei studia e attende alle pratiche religiose con grandissimo fervore; tanto che – a sedici anni – minaccia di dare in tisico. Tutt’a un tratto, però, quando ha già preso i primi ordini religiosi, gli avviene d’impuntarsi in questo passo del trattato De Gratia:
«Si quis dixerit gratiam perseverantiae non esse gratis datam, anathema sit.»
Perché la perseveranza, per il caso che qualcuno volesse saperlo, è – secondo la teologia cattolica cristiana – una grazia che Dio concede a chi vuol salvare, senza attenzione ai meriti o ai demeriti del salvando.
Deus libere movet, dice San Tommaso.
Cosmo Antonio Corvara Amidei ci ragiona su ben bene parecchie settimane, e una notte alla fine vien sorpreso in camicia, con una candela in mano, infocato in volto, con gli occhi sbarrati, brillanti di febbre, che va cercando per il dormitorio una chiave.
Che chiave?
La chiave della perseveranza.
È ammattito. Per fortuna, gli sopravviene la meningite. Esce dal seminario. Un mese tra la vita e la morte.
Quando alla fine può riaversi, ha perduto la fede; ma pare che abbia perduto anche tant’altre cose: i capelli, intanto, la parola, un po’ anche la vista; non si ricorda più di nulla e sta, circa un anno, intronato e come levato di cervello. Si riscuote a furia di trombate d’acqua alla schiena; e, a ventidue anni e qualche mese, può presentarsi agli esami di licenza liceale e andare a Napoli, all’Università, per addottorarsi in lettere e filosofia, calvo, mezzo cieco e col naso schiacciato dalla caduta infantile.
Nell’ottobre del 1887 ottiene, per concorso, il posto di reggente nel ginnasio inferiore di Sassari. I ragazzi, si sa, sono vivaci; il professore è brutto e non ci vede molto: dunque, baldoria; e, per conseguenza, continue riprensioni del direttore del ginnasio al subalterno che non sa tenere la disciplina. Ma anche per le vie di Sassari il professor Cosmo Antonio Corvara Amidei è sbeffeggiato da tutti i monelli, finché non viene un collega, Dolfo Dolfi, professore di scienze naturali, che prende a proteggerlo in iscuola e fuori; anzi fa di più: lo invita ad accasarsi con lui (novembre del 1888).
Dolfo Dolfi entra tardi nell’insegnamento, senza titoli, senza concorso, per protezione d’un deputato autorevolissimo, dopo aver fatto l’esploratore in Africa e per tant’anni a Genova il giornalista: s’è battuto una diecina di volte, e ne ha prese e ne ha date, più date che prese; è libero pensatore, e ha con sé una figliuola naturale, a cui ha imposto questo magnifico nome: Satanina.
Protetto da Dolfo Dolfi, Cosmo Antonio Corvara Amidei vorrebbe finalmente rifiatare, ma non può: il suo protettore non gliene lascia il tempo: gli parla de’ suoi viaggi, delle sue campagne giornalistiche, de’ suoi duelli; gli narra le sue innumerevoli, straordinarie avventure, e vuole anche discutere con lui di filosofia, di religione, ecc. ecc. Bestialità, con tanto di petto in fuori. (Nota bene: Dolfo Dolfi ha la faccia piena di nèi e, parlando, se li arriccia tutti; una gamba qua, una gamba là.) Cosmo Antonio Corvara Amidei si fa piccino piccino, man mano che quegli le sballa più grosse, e approva, approva senza mai contraddire. Egli ormai è ben protetto, non si nega; gli alunni e i monellacci di strada per paura del Dolfi lo lasciano in pace; ma è vero altresì ch’egli non è più padrone di sé, del suo tempo, del suo misero stipendiuccio di professore di ginnasio inferiore. Se ha bisogno imprescindibile di qualche soldino, deve domandarlo a Satanina, e la ragazza, che ha già quindici anni e fa da mammina, glielo dà con gran mistero, raccomandandogli di non farne sapere nulla, per carità, al babbino, ché altrimenti vorrebbe anche lui la sua parte per i minuti piaceri, e dove s’andrebbe a finire?
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