Luigi Gualdo - La gran rivale

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«Al giorno stabilito, quando l’amico d’Alberto venne, si rinchiusero in stanza e vi stettero quasi tutto il giorno. Alla sera partirono insieme e non tornarono che tardi. Talora mi pare perfino di odiarlo, quel suo amico, che viene a portarmelo via; mi pare certo che Alberto ne ama un’altra; ch’egli confida tutto al suo amico, e forse questi lo consiglia ad abbandonarmi, forse lo spinge nella passione cui ha resistito finora. Oh! che mi dicessero almeno subito la mia sentenza, ma questo dubbio incessante è quasi un’agonia! – Dimmi che sono pazza, dimmi che tutte queste brutte idee non sono che le allucinazioni dell’amore. Il nuovo venuto fu gentilissimo con me, e lo troverei simpatico, se non mi sembrasse che mi distacca Alberto; – mi parlò benissimo di lui, mi raccomandò d’incoraggiarlo, di fargli animo, disse che non bisogna permettergli di negare il proprio ingegno; disse tutte queste belle cose, come se le avesse scoperte lui! – E adesso intanto che scrivo lì vedo che passeggiano là nel giardino sotto il pergolato, dove abbiamo tanto passeggiato quel giorno, ti ricordi? e parlano, parlano, e gesticolano e sono ben certa che io non c’entro nei loro discorsi. Forse c’entra un’altra.

«O mia buona Maria, aiutami. Ti sembro diventata pazza? – Quanto, sarei contenta di ricevere una tua lettera che me lo dicesse! Ma pur troppo, temo di aver tutta la mia ragione; è vero che giudico con l’istinto, ma l’istinto va dritto alla verità. Non so comprendere cosa sia avvenuto; non so se davvero ne ami un’altra come sospetto sempre, non ho nessuna prova positiva, non so nulla, non posso lagnarmi di lui, pure, Maria, sento, sento ch’egli non è più mio. Addio, addio. Scrivimi presto, confortami tu che sai confortare. – Te ne sarà ben riconoscente la tua Emilia.»

Sembrerà forse una cosa triste a molti, ma che ben pochi fra coloro che pensano vorranno negare, che nell’amore le cause più indirette in apparenza, le circostanze esterne possono acquistare una grande importanza. Se Alberto non fosse stato costretto a confessare che la sua vocazione per la pittura era una illusione, se la passione non avesse trovato nel suo cuore e nella sua mente il campo devastato, avrebb’egli fatto ciò che abbiamo raccontato? Non lo crediamo. L’amore in tal caso non avrebbe potuto vincere la ragione, poichè questa sarebbe stata rafforzata da un altro sentimento, o piuttosto perchè non avrebbe potuto invaderlo completamente, una gran parte di lui essendo già occupata da un’idea egualmente alta e profonda, egualmente piena di emozioni bastevoli esse pure a riempire una vita. Era la sua una natura superiore e non gli era certo possibile vivere senza qualche cosa di gagliardo e di dolce a un tempo, di strascinante e d’inebriante che potesse occupare tutte le sue facoltà in una volta, ed estinguere quella sete di cose grandi e belle e gentili che tutti sentono coloro cui Dio impartì vastità d’intelletto, e con essa desideri irrequieti e superbi. S’egli fosse stato occupato, contento di sè per quanto possibile, ardente nel proseguire il suo ideale reso visibile, animato dall’amore assorbente dell’arte – quanta maggior forza avrebbero avuto i consigli freddi contro le aspirazioni vaganti del cuore, quanto sarebbe stata più viva la lotta e meno pronta la vittoria; come avrebbe acquistato vigore, con quel possente ausiliare dell’arte, la voce che accennava al pericolo, alla dura responsabilità che stava per assumere, alla possibilità di un cambiamento, alle difficoltà e alla lunghezza della via che l’amore gli consigliava d’intraprendere. Ed è certo che l’amore vinse perchè era solo. Tutto quel bisogno di azione ch’era in lui, le forti aspirazioni ch’era stato costretto di togliere dal campo dell’arte, ogni suo desiderio s’era rivolto nella via che unica gli si era aperta trionfalmente dinanzi cosparsa di rose, una di quelle vie alle cui attrattive maliarde è ben difficile resistere – specialmente quando non se ne vede un’altra. Perfino la sua ambizione, la brama di gloria, si era tradotta in amore. Tutti quei sentimenti che non sapevano farsi strada ne avevano trovata una qualunque e vi erano precipitati. Come poteva essere diversamente? Senza Emilia che avrebbe fatto egli, avendo già dovuto rinunziare al resto? Era libero, solo, indipendente, l’amore gli consigliava una via, egli vi scorgeva pericoli, dolori, ma al tempo stesso infinite dolcezze; altrimenti si vedeva orbo di tutte le sue speranze, capace di nulla, pieno d’una tristezza indicibile, e sicuro di rimpiangere poi la propria viltà nel non aver saputo seguire la via fiorita che si vedeva dinanzi piena di tentazioni, solo perchè sotto i fiori si potevano nascondere le spine. E certo è spesso più amaro il rimorso per ciò che si è omesso che per ciò che si è fatto.

Aveva rinunziato ai sogni di vocazione artistica, perchè aveva dovuto piegare dinanzi alla verità crudele, ma come si è già detto altrove, qualche cosa protestava in lui: il suo ingegno, benchè impotente fino allora a manifestarsi, esisteva però, ed egli lo sentiva, e non era possibile che lungamente si rassegnasse alla condanna d’inazione dettatagli dal primo disinganno. Non si potrà dubitare ch’egli amasse Emilia, e che l’amasse profondamente, dopo quello che aveva fatto per lei, dopo di averle sagrificato le sue idee da lungo tempo fisse, la sua indipendenza. Doveva pure essere stato forte quel sentimento che aveva tutto vinto, che aveva annichiliti gli ostacoli insormontabili, in apparenza, e che lo aveva deciso, lui, figlio di questo secolo pieno d’irresoluzione e di dubbio, ad una forte e grave determinazione. Pure, malgrado tutto ciò, era forse esagerazione di scetticismo il dubitare che quell’amore potesse solo bastargli nella vita o anche che potesse durare fresco e roseo come il primo giorno? Il suo carattere era troppo vivace e vario, perchè l’amore solo gli potesse riempire l’esistenza. L’amore per alcuni è tutto; per altri, per coloro specialmente che in qualunque modo si meritano il nome di artisti, non è che il possente ausiliare della vita: nei primi tutte le occupazioni servono l’amore, nei secondi l’amore coopera fortemente, è la molla che fa agire il resto, ma invece di farsi servire, serve; serve d’ispirazione e d’incitamento, è a un tempo sprone e conforto, stanca ma riposa anche. Molte volte fu detto che gli uomini superiori, gli artisti, i pensatori, amano più e meglio degli altri, e che tutta la loro vita rimane rischiarata dall’incendio prodotto da quella scintilla della loro gioventù. Ciò è vero; ma non totalmente e non sempre, e sebbene gli artisti trovino certo nell’amore qualche cosa di più di ciò che tutti vi trovano, sebbene amino meglio e con maggiore raffinatezza, pure l’amore non è lo scopo esclusivo della loro vita, e appunto perchè mettono e trovano l’amore in tutto, l’amore non può essere tutto per loro. Nella consolazione divina che l’arte ci presta vi è inevitabilmente una parte di oblìo. Ciò che vi è nella mente può fare obliare ciò che fa battere il cuore. L’arte è passione come l’amore, è la gran rivale, e la sua signoria è dolce quanto quella dell’amore, ma più severa, poichè mette un po’ al disotto di lei tutto che non è lei. Quando l’idea è sorta e con essa la brama irresistibile di estrinsecarla, quando l’artista si è sentito vicino a creare, vicino a quel sublime e terribile momento, tutta l’anima sua, tutte le sue forze sono rivolte verso il suo lavoro; si sente invaso dal fuoco sacro, innalzato al disopra delle altre cose tutte; si raccoglie, si rinchiude per lunghe ore, e tutte le sue facoltà morali, intellettuali, fisiche, tendono ad uno scopo solo: tutto allora scompare intorno, nulla esiste più per lui; nulla lo può distrarre, egli si dedica tutto al dolce e faticoso colloquio tra il suo spirito e la sua idea, dal quale deve nascere l’opera. L’amore e l’arte creano ambedue, ed è forse per ciò che uno dei due sovente è assorbito dall’altro. Ed è difficile che chi si sente animato e pieno della forza creatrice, ricolmo di fantasie che ha bisogno di espandere, possa dedicarsi interamente all’amore. Tutte le forze che prima si consumavano nella passione si rivolgono all’arte, e le voluttà che empivano la vita sembrano ora quasi insipide in confronto alle austere e ineffabili voluttà del lavoro che crea. E da tutte le forze negate all’amore e rivolte all’arte esce il capolavoro. Nell’arte vi è una parte di oblìo, poichè vi è l’estasi, vi è la negazione di ogni altra gioia, poichè è la gioia senza pari. Inoltre essa utilizza tutto, sottopone tutto a sè, si fa da tutto servire. Le gioie e i dolori passati servono al lavoro che s’intraprende, le lagrime hanno un’utilità, il dolore viene egoisticamente adoperato come elemento. Per creare bisogna aver sentito e sofferto, ma bisogna esser calmi. Tutte le tristezze si fondono in quella immensa gioia, dal dolore trascorso può uscire il gaudio segreto e qualche volta il trionfo.

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