Emilio Salgari - Alla conquista di un impero

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– È tempo di svegliarlo, – disse Yanez, gettando la sigaretta e prendendo da una mensola un fiasco dal collo lunghissimo, il cui vetro rosso era racchiuso da una specie di rete di metallo dorato. – Noi abbiamo pratica di veleni e d’antidoti, è vero, Sandokan?

– Non saremmo stati tanti anni laggiù, nel regno degli upas, – rispose il pirata. – Gli hai fatto fumare dell’oppio?

– Ben nascosto sotto la foglia del sigaro, – disse Yanez. – Lo avevo coperto così bene da sfidare l’occhio più sospettoso.

– Due gocce di quel liquido in un bicchiere d’acqua basteranno per farlo saltare in piedi. Il suo cervello non tarderà molto a snebbiarsi.

– Vediamo, – disse il portoghese. Empì un bicchiere d’acqua preso da una bottiglia di cristallo che si trovava sulla tavola e vi lasciò cadere due gocce d’un liquido rossastro.

L’acqua spumeggiò, prendendo una tinta sanguigna, poi a poco a poco riacquistò la solita limpidezza.

– Aprigli la bocca, Sandokan, – disse allora il portoghese.

Il pirata s’avvicinò al ministro tenendo in mano un pugnale e colla punta lo sforzò ad aprire i denti, che erano fortemente chiusi.

– Presto, – disse Sandokan.

Yanez versò nella bocca di Kaksa Pharaum il contenuto del bicchiere.

– Fra cinque minuti, – disse la Tigre della Malesia.

– Allora puoi accendere la tua pipa.

– Credo che sia meglio. —

Il pirata prese da una mensola una splendida pipa adorna di perle lungo la canna, la riempì di tabacco, l’accese e si sdraiò su uno dei divani, come un pascià turco, mettendosi a fumare con studiata lunghezza.

Yanez, curvo sul ministro, lo scrutava attentamente. Il respiro, poco prima affannoso dell’indiano a poco a poco diventava regolare e le sue palpebre subivano di quando in quando una specie di tremito, come se facessero degli sforzi per alzarsi.

Anche le gambe e le braccia perdevano la loro rigidità: i muscoli, sotto la misteriosa influenza di quel liquido, si allentavano.

Ad un tratto, un sospiro più lungo sfuggì dalle labbra del ministro, poi quasi subito gli occhi s’aprirono, fissandosi su Yanez.

– Amate troppo il riposo, Eccellenza, – disse Yanez ironicamente. – Come fanno i vostri servi a svegliarvi? Vi ho fatto fare un viaggio che è durato più di un’ora e non avete cessato un sol momento di russare.

Non servite troppo bene il vostro signore.

– Per… Mylord! – esclamò il ministro, alzandosi di colpo e girando intorno uno sguardo meravigliato.

– Sì, io, mylord.

– Ma… dove sono io?

– In casa di mylord. —

Il ministro stette un momento silenzioso, continuando a girare gli occhi intorno, poi esclamò:

– Per Siva! Io non ho mai veduto questo salotto.

– Sfido io! – rispose Yanez, colla sua solita flemma beffarda. – Non vi siete mai degnato di visitare il palazzo di mylord.

– E quell’uomo chi è? – chiese Pharaum, indicando Sandokan, che continuava a fumare placidamente come se la cosa non lo riguardasse affatto.

– Ah! Quello, Eccellenza, è un uomo terribile, che fu chiamato per la sua ferocia, la Tigre della Malesia.

È un gran principe ed un grande guerriero. —

Kaksa Pharaum non poté nascondere un tremito.

– Non abbiate paura di lui, però, – disse Yanez, che si era accorto dello spavento del ministro. – Quando fuma è più dolce d’un fanciullo.

– E che cosa fa qui, in casa vostra?

– Viene a tenere qualche volta compagnia a mylord.

– Voi vi burlate di me! – gridò Kaksa, furibondo. – Basta! Avete scherzato abbastanza! Vi siete dimenticato che io sono possente quanto il rajah dell’Assam? Voi pagherete caro questo giuoco!

Ditemi dove sono e perché mi trovo qui, invece di essere nel mio palazzo o io…

– Potete gridare finché vorrete, Eccellenza, nessuno udrà la vostra voce. Siamo in un sotterraneo che non trasmette al di fuori alcun rumore.

D’altronde, rassicuratevi: io non voglio farvi male alcuno se non vi ostinerete a rimanere muto.

– Che cosa volete da me? Parlate, mylord.

– Lasciate prima che vi dica, Eccellenza, che ogni resistenza da parte vostra sarebbe assolutamente inutile, perché a dieci passi da noi vi sono trenta uomini che nemmeno un intero reggimento di cipay sarebbe capace d’arrestare.

Accomodatevi ed ascoltate pazientemente una pagina di storia del vostro paese.

– Da voi?

– Da me, Eccellenza. —

Lo spinse dolcemente verso una sedia, costringendolo a sedersi, prese alcune tazze di cristallo finissimo ed un fiasco, riempiendole d’un liquore color dell’oro vecchio, poi aprì il portasigari, offrendolo al prigioniero.

Nel vedere i grossi manilla, Kaksa Pharaum fece un gesto di terrore.

– Potete scegliere senza timore, – disse Yanez. – Questi non contengono nemmeno una particella d’oppio.

Se avete qualche sospetto, prendete una sigaretta, a vostra scelta. —

Il ministro fece un feroce gesto di diniego.

– Allora assaggiate questo liquore, – continuò Yanez. – Guardate: ne bevo anch’io. È eccellente.

– Più tardi: parlate. —

Yanez vuotò la sua tazza, accese la sigaretta, poi, appoggiando comodamente il dorso alla spalliera della sedia, disse:

– Ascoltatemi dunque, Eccellenza. L’istoria che voglio narrarvi non sarà lunga, però vi interesserà molto. —

Sandokan, sempre sdraiato sul divano, fumava silenziosamente, conservando una immobilità quasi assoluta.

3. Nell’antro delle tigri di Mompracem

– Regnava allora sull’Assam, – cominciò Yanez, – il fratello dell’attuale rajah, un principe perverso, dedito a tutti i vizi, che era odiato da tutta la popolazione e soprattutto dai suoi parenti, i quali non si sentivano mai sicuri di riveder l’alba del domani. Quel principe aveva uno zio che era capo di una tribù di kotteri, ossia di guerrieri, uomo valorosissimo che più volte aveva difese le frontiere assamesi contro scorrerie dei birmani e che perciò godeva una grande popolarità in tutto il paese.

Sapendosi mal visto dal nipote, il quale si era fisso in capo, senza motivi però, che congiurasse contro di lui per carpirgli il trono e derubarlo delle sue immense ricchezze, si era ritirato fra le sue montagne, in mezzo ai fedeli suoi guerrieri.

Quel valoroso si chiamava Mahur; ne avete mai udito a parlare, Eccellenza?

– Sì, – rispose asciuttamente Kaksa Pharaum.

– Un brutto giorno la carestia piombava sull’Assam. Quell’anno nemmeno una goccia d’acqua era caduta ed il sole aveva arsi i raccolti.

I bramini ed i gurus indussero allora il rajah a dare in Goalpara una grandiosa cerimonia religiosa, onde placare la collera delle divinità.

Il principe vi annuì di buon grado e volle che vi assistessero tutti i parenti che vivevano disseminati nel suo stato, non escluso suo zio, il capo dei kotteri, il quale, di nulla sospettando, aveva condotto con sé oltre la moglie, i suoi figli, due maschi ed una bambina che chiamavasi Surama.

Tutti i parenti furono ricevuti cogli onori spettanti ai loro gradi e con grande cordialità da parte del principe regnante ed alloggiati nel palazzo.

Compiuta la cerimonia religiosa, il rajah offrì a tutti i suoi parenti un banchetto grandioso, durante il quale il tiranno, come già gli accadeva sempre, bevette una grande quantità di liquori.

Quel miserabile cercava di eccitarsi, prima di compiere una orrenda strage, già forse meditata da lungo tempo.

Era quasi il tramonto ed il banchetto, allestito nel gran cortile interno del palazzo che era tutto cintato da alte muraglie, stava per finire, quando il rajah, non so con quale scusa si ritirò coi suoi ministri.

Ad un tratto, quando l’allegria degli ospiti aveva raggiunto il massimo grado, un colpo di carabina echeggiò improvvisamente, ed uno dei parenti cadde col cranio fracassato da una palla di carabina.

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