Emilio Salgari - Gli ultimi flibustieri
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– Ho l’affar tuo, – rispose Wandoe, dopo d’aver pensato un momento. – Prima di mezzodí tu avrai una modesta casetta e, se vorrai, anche una buona barca da pesca.
“Il proprietario dell’una e dell’altra è un ex-filibustiere di David, graziato dagli spagnuoli e che ora fa il pescatore, ma in fondo è rimasto sempre un figlio della Tortue.”
– Non ti domando di piú. Questa sera noi prenderemo possesso dell’alloggio e vi trasporteremo i due prigionieri.
– E come? – chiese Mendoza.
– Lascia fare a me, mio caro basco, e vedrai che noi la faremo bella alle spie del marchese di Montelimar.
“Wandoe, hai sempre quel vispo ragazzo indiano?”
– Sempre, amico.
– Dammi una penna ed un calamaio per scrivere a don Barrejo. Scommetto che quando riceverà la mia lettera, quel pazzo di guascone riderà tanto da slogarsi le mascelle.
Capitolo V. IL VIAGGIO STRAORDINARIO D’UNA BOTTE
Scappati via Buttafuoco e Mendoza, il guascone era rimasto solo in mezzo alla strada, sotto la pioggia torrenziale, guardando con una certa ansietà i sei frati che indossavano delle cappe grigie e che portavano dei ceri fumosi, i quali resistevano ostinatamente all’acqua.
Il venerando drappello formato da barbe grigie, come abbiamo detto, era preceduto da un sagrestano zoppo che procedeva con delle strane mosse da ranocchio e che reggeva un secchio pieno d’acqua santa.
Il povero guascone sarebbe stato ben lieto di chiudere la porta in viso ai frati, quantunque buon cristiano, e di andarsene subito a dormire, ma a quei tempi non c’era da scherzare coi religiosi ed una qualunque offesa si poteva pagare assai cara.
Costretto a fare buona cera suo malgrado, don Barrejo, invece di chiudere la porta, spalancò i due battenti e ricevette cortesemente le sei barbe grigie, baciando ad ognuna di esse il cordone per mostrarsi buon cristiano.
– A che cosa devo l’onore della vostra visita ad un’ora cosí tarda, reverendi? – chiese. – Non vi è alcun morto qui da portare al cimitero.
– Vi sono però dei fantasmi, – disse un frate rubicondo e grosso.
– C’erano una volta.
– Come, c’erano una volta!… – esclamò il frate, inarcando le sopracciglia. – È appena mezz’ora che è venuto da noi un ufficiale delle guardie ad avvertirci che la vostra cantina era piena di satanelli.
– Ora però non ci sono piú, reverendo, poiché poco fa sono disceso e non ho piú udito nessun rumore, né veduto nessun satanello, né satanasso.
– Noi vogliamo vedere bene dentro in questa faccenda, – rispose il frate. – Le stregonerie non sono tollerate.
– Se i reverendi padri vogliono seguirmi, andiamo pure a dare la caccia ai fantasmi, – disse il guascone, prendendo un lume e mettendosi dinanzi al sagrestano-ranocchio che era piú bianco d’un cencio di bucato. Le sei barbe grigie scesero attraverso l’ampia scala, una scala quasi da palazzo, e giunsero ben presto in cantina, dove cominciarono subito a borbottare certe preci ed a trinciare una infinità di segni della croce.
Il guascone fingeva di borbottare anche lui qualcosa che non si capiva, e di quando in quando s’appoggiava contro il sagrestano-ranocchio, manifestando un grande spavento.
Quando le preghiere furono finite, il frate piú anziano cominciò a benedire le botti e le pareti per rimandare all’inferno spettri e satanelli.
Passando dinanzi alla grossa botte dove stava rinchiuso il disgraziato Pfiffero, si arrestò titubante.
– Che cos’è questo rumore che si ode lí dentro? – chiese, rivolgendosi al guascone.
– È vino nuovo che bolle, reverendo, – rispose don Barrejo, con grande serietà.
– Ne siete ben certo?
– Diamine!… Ce l’ho messo dentro tre giorni fa.
– Gorgoglia in un modo curioso.
– La cantina non è troppo fresca, quantunque sia molto profonda.
– Dove sono comparsi i fantasmi?
– Precisamente qui.
– Quanti erano?
– Due, reverendo.
– E il passaggio che conduce all’ossario del cimitero?
– Quale passaggio?
– L’ufficiale delle guardie mi ha detto che qui vi era una galleria.
– Sí, una volta, reverendo, poi è venuta una scossa di terremoto ed ha fatto crollare le vôlte.
Le sei barbe grigie fecero il giro della cantina, continuando a benedire, mentre don Barrejo cercava fra la botti un certo caratello che non sarebbe dispiaciuto nemmeno ai reverendi.
– Padri, – disse, quando stavano per risalire la scala, ormai persuasi di aver relegati per sempre tutti gli spiriti maligni all’inferno. – Io non ho dell’olio da offrirvi per le vostre lampade, perché sono un povero diavolo. Accettate però pel vostro disturbo questo caratello di vecchio Alicante.
– Grazie, buon figliuolo: servirà pei feriti che ricoveriamo al convento.
Don Barrejo lo mise sulle spalle del sagrestano-ranocchio e la comitiva ritornò nella taverna e quindi uscí nella via.
– Dieci giornate come questa, – disse il guascone, quando i frati se ne furono andati e la porta fu chiusa, – ed a te, mio povero don Barrejo, non rimarrà altra alternativa che di chiudere bottega per mancanza di vino.
“Che buco hanno fatto quest’oggi fra Mendoza, Buttafuoco, il Pfiffero, la ronda e poi i frati per sopra mercato.
“Al diavolo anche i fantasmi!
“Panchita!…”
Una voce che veniva dal di sopra rispose:
– Vieni a dormire, Pepito.
– Lascia che faccia i conti della giornata, – rispose il guascone. – Abbiamo lavorato molto quest’oggi. L’affare dell’eredità del Gran Cacico del Darien mi ricompenserà però largamente delle perdite, – aggiunse poi a mezza voce.
Stava per aprire un vecchio registro, tutto sgorbio e macchie d’inchiostro, dove nessuno avrebbe potuto certamente raccapezzarsi, fuorché il proprietario della taverna d’ El Moro e sua moglie, quando si udí picchiare alla porta.
– Tonnerre !… – esclamò il guascone, il quale cominciava a perdere le staffe. – È proprio scritto che questa notte io non debba né fare i miei conti, né andare a dormire? Al diavolo tutte le ronde di Panama.
Si alzò, scaraventando lontano lo sgabello su cui stava seduto, prese per precauzione la sua draghinassa ed aprí la porta.
Due uomini d’aspetto poco rassicurante, con ampi ferraiuoli e cappellacci immensi, tentarono di entrare, mentre uno di loro chiedeva:
– È vero che la vostra taverna è piena di spettri? Noi non abbiamo paura nemmeno del diavolo e vi offriamo di tenervi compagnia fino a domani mattina.
– Chi ve lo ha detto? – gridò don Barrejo, mostrando la draghinassa.
– Abbiamo veduto i frati uscire poco fa dalla vostra taverna.
– Ebbene, giacché non avete paura nemmeno del diavolo, andate a tenere compagnia a lui. Io non ho bisogno di nessuno.
E chiuse senz’altro la porta sul viso dei due sconosciuti, accompagnando il colpo con un tonnerre dei piú formidabili che fossero usciti mai dalle sue labbra.
– Questa è una notte d’inferno, – borbottò il brav’uomo. – O questi spettri faranno la fortuna della mia taverna o rovineranno completamente le mie tasche e porteranno via anche la lunga catena d’oro di Panchita.
“Birbante di Mendoza!… Quando c’entra lui, porta ovunque la rivoluzione. È vero che anche don Barrejo, che è qui che mi ascolta, quando ci si mette fa le sue.”
Aveva appena terminato i conti della giornata, constatando un’uscita di trenta bottiglie non pagate, senza contare il caratello regalato ai frati, quando fu di nuovo picchiato alla porta.
– Cane d’un lume!… – esclamò il guascone, furioso. – È questo che mi tradisce.
Riprese la draghinassa e per la seconda volta aprí.
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