Emilio Salgari - I Pirati della Malesia

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– E Tremal-Naik accettò? – chiese la Tigre, con viva ansietà.

– Egli amava troppo la Vergine e accettò l’orribile patto di sangue impostogli dal padre delle sacre acque del Gange, lo spietato Suyodhana. Non vi narrerò tutto ciò che egli tentò, tutti i pericoli in cui incorse per poter avvicinare quel disgraziato capitano.

Una fortuita combinazione gli procurò il mezzo di diventare uno dei suoi servi, ma un giorno venne scoperto e dovette penare assai per ricuperare la libertà e salvare la vita.

Non rinunziò tuttavia ad effettuare l’impresa impostagli dai thugs ed un giorno riuscì ad imbarcarsi su di una nave che il capitano Macpherson guidava verso le Sunderbunds per assalire nel loro covo i seguaci della sanguinaria dea.

L’istessa notte, scortato da alcuni complici, entrava nella cabina del capitano per decapitarlo. La sua coscienza gli gridava di non commettere un delitto, perché la vita di quell’uomo doveva essere sacra per lui, ed il suo sangue si ribellava; pure era deciso, poiché solamente uccidendo quel formidabile avversario avrebbe potuto avere la fidanzata: o almeno così credeva, non conoscendo ancora l’infernale perversità del fanatico Suyodhana.

– E lo uccise? – chiesero Sandokan e Yanez, con ansietà.

– No – disse Kammamuri. – In quel supremo istante il nome della donna amata sfuggì dalle labbra del mio padrone e fu udito dal capitano che stava per risvegliarsi. Quel nome fu un colpo di fulmine per entrambi: risparmiò un assassinio ed un raccapricciante delitto, poiché quel capitano era il padre della donna amata dal mio padrone.

– Per Giove!… – esclamò Yanez. – Quale storia tremenda ci narri!…

– La verità, signor Yanez.

– Ma il tuo padrone non conosceva il nome della sua fidanzata?…

– Sì, ma il padre ne aveva assunto un altro per non far comprendere ai thugs che egli lottava per riavere la figlia, perché temeva che, conoscendolo, gliela uccidessero.

– Continua – disse Sandokan.

– Ciò che accadde potete immaginarvelo. Il mio padrone confessò tutto: aveva finalmente compreso l’infernale astuzia di Suyodhana. Si offerse al capitano di guidarlo nelle caverne dei settari. Sbarcarono a Raimangal, il mio padrone entrò nel tempio sotterraneo fingendo di portare con sé la testa del capitano e, quando poté rivedere la fanciulla amata, gl’inglesi piombarono sui thugs. Suyodhana, però, uscì vivo dall’assalto improvviso dei nemici, e quando il mio padrone, il capitano, la fidanzata ed i soldati lasciarono i sotterranei per ritornare alla nave, lo udirono gridare con voce minacciosa:

«Ci rivedremo nella jungla!…».

E quell’uomo sinistro manteneva la parola. A Raimangal si erano radunate parecchie centinaia di strangolatori essendo già stati informati della spedizione del capitano Macpherson. Guidati da Suyodhana piombarono, venti volte più numerosi, sugli inglesi. L’equipaggio della nave invano accorse in aiuto del suo capitano. Tutti caddero fra le erbe giganti della jungla, schiacciati dal numero, e il capitano per primo. Perfino la nave fu presa, incendiata e fatta saltare in aria.

Solo Tremal-Naik e la sua fidanzata erano stati risparmiati. Aveva rimorso, Suyodhana, a spegnere anche il mio padrone che tanto aveva fatto per quegl’infami, oppure sperava di fare di lui un thug? Io non lo seppi mai.

Ma, tre giorni dopo, il mio padrone, che era stato fatto impazzire mediante la somministrazione di un liquore misterioso, veniva arrestato dalle autorità inglesi presso il forte Williams. Era stato denunciato come thug ed i testimoni non erano mancati, poiché quella setta conta numerosi seguaci anche a Calcutta.

Fu risparmiato perché era pazzo, ma condannato alla deportazione perpetua nell’isola di Norfolk, una terra al sud d’una regione chiamata Australia, così mi dissero.

– Quale spaventevole dramma!– esclamò la Tigre, dopo alcuni istanti di silenzio. – Così intensamente Suyodhana odiava lo sventurato Tremal— Naik?

– Il capo dei settari voleva, facendo decapitare il capitano dal mio padrone, spegnere per sempre la passione che ardeva nel cuore della vergine della pagoda.

– Era un mostro quel feroce capo dei thugs.

– Ma il tuo padrone è ancora pazzo? – chiese Yanez.

– No, i medici riuscirono a guarirlo.

– E non si difese? Non svelò tutto?…

– Lo tentò, ma non fu creduto.

– Ma perché si trova a Sarawak?…

– Perché il legno che lo trasportava a Norfolk naufragò presso Sarawak. Disgraziatamente nelle mani del rajah non ci starà molto.

– E perché?

– Perché la nave è già partita dall’India e fra sei o sette giorni, se i miei calcoli non m’ingannano, giungerà a Sarawak. Quella nave è diretta a Norfolk.

– Come si chiama quella nave?

– L’Helgoland.

– L’hai vista tu?

– Prima di lasciare l’India.

– E dove ti recavi colla Young-India?

– A Sarawak a salvare il mio padrone – disse Kammamuri con fermezza.

– Solo?

– Solo.

– Sei un giovanotto audace, maharatto mio – disse la Tigre della Malesia. – E della vergine della pagoda d’Oriente cosa fece il terribile Suyodhana?

– La tenne prigioniera nei sotterranei di Raimangal, ma la disgraziata, dopo il sanguinoso assalto dei thugs nella jungla, era impazzita.

– Ma come fuggì dalle mani dei thugs? – chiese Yanez.

– È fuggita? – domandò Sandokan

– Sì, fratellino.

– E dove si trova?

– Lo saprai più tardi. Narrami, Kammamuri, in che modo fuggì – disse Yanez.

– Ve lo dirò in due parole – disse il maharatto. Io ero rimasto coi thugs anche dopo l’atroce vendetta di Suyodhana, e vegliavo attentamente sulla vergine della pagoda. Saputo, dopo parecchio tempo, che il mio padrone era stato condannato alla deportazione nell’isola di Norfolk e che la nave che lo trasportava era naufragata a Sarawak, meditai la fuga. Comperai un canotto, lo nascosi in mezzo alla jungla, e una sera d’orgia, mentre i thugs, ubriachi fradici, non erano più in grado di uscire dai loro sotterranei, mi recai alla pagoda sacra, pugnalai gl’indiani che la custodivano, afferrai fra le mie braccia la Vergine e fuggii.

All’indomani io ero a Calcutta e quattro giorni dopo a bordo della Young-India.

– E la Vergine? – chiese Sandokan.

– È a Calcutta – s’affrettò a dire Yanez.

– È bella?

– Bellissima – disse Kammamuri. – Ha i capelli neri e splendidi occhi scuri.

– E si chiama?

– La vergine della pagoda, vi ho detto.

– Non ha nessun altro nome?

– Sì.

– Dimmelo.

– Si chiama Ada Corishant.

A quel nome la Tigre della Malesia aveva fatto un balzo, gettando un urlo terribile.

– Corishant!… Corishant!… Il nome dell’adorata madre della mia povera Marianna!… Dio!… Dio!… – urlò con accento disperato.

Poi piombò sul tappeto con la faccia orribilmente sconvolta e le mani contratte sul cuore. Un rauco singhiozzo, che parve un ruggito, lacerò il suo petto.

Kammamuri, spaventato, sorpreso, si era alzato per accorrere in aiuto del pirata, che pareva fosse stato colpito a morte, ma due mani robuste lo arrestarono.

– Una parola – gli disse il portoghese, tenendolo stretto per le spalle. – Come si chiamava il padre di quella giovinetta?

– Harry Corishant – rispose il maharatto.

– Gran Dio!… Ed era?

– Capitano dei sipai.

– Esci di qui!

– Ma perché?… Che cosa è accaduto?…

– Silenzio, esci di qui!

E, riafferrandolo per le spalle, lo spinse bruscamente fuori della porta, che richiuse con un doppio giro di chiave.

5. La caccia all’Helgoland

Il pirata di Mompracem si era prontamente rimesso da quella terribile commozione. La sua faccia, quantunque ancora alterata, aveva ripreso la sua fiera espressione che incuteva rispetto e terrore ai più coraggiosi, e sulle sue labbra, quantunque un po’ scolorite, errava un malinconico sorriso.

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