Emilio Salgari - Il figlio del Corsaro Rosso
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Fece un passo indietro, tastando prima il terreno col piede sinistro per non scivolare, poi prese una guardia di seconda, dicendo:
– Vi aspetto, conte!
Il figlio del Corsaro Rosso, messo un po’ in sospetto da quella mossa, si guardò bene dall’attaccare e rimase fermo, con la spada in linea, sempre minacciando il petto del capitano con un colpo d’arresto.
– Non assalite dunque, signor conte de Miranda?
– Non ho mai fretta, capitano.
– V’aspetto da un mezzo minuto.
– Potete aspettarmi anche mezzo secolo, se cosí vi piace.
– Ah, per le corna del diavolo!
Per la terza volta il conte di Ventimiglia stette zitto. Ratto come un lampo si era allungato tutto, facendo due salti innanzi ed era piombato sull’avversario, portandogli un colpo in mezzo al petto. Fu un grande miracolo se anche quella stoccata venne parata dallo schermitore spagnuolo; nondimeno la casacca di seta rimase tagliata per un bel tratto.
– Caramba! Vi slanciate, signor conte, e cercate anche di sorprendermi, mentre io vi dico delle galanterie. Due centimetri piú innanzi, e mi toccavate. Un’altra volta ricordatevi che bisogna allungarsi…
Un grido gli spezzò la frase. La spada del signor di Ventimiglia era nuovamente scattata e la lama era entrata piú di mezza nel petto del capitano. Egli rimase un momento in piedi, trattenendo la lama del conte con la mano sinistra; poi si rovesciò pesantemente a terra, spezzandola. Cinque pollici di acciaio della spada spezzata rimasero conficcati nel suo stomaco, all’altezza della quarta costola di sinistra.
– Morto? – chiesero ad una voce Mendoza e Martin facendosi innanzi.
Il conte gettò a terra il troncone della spada e si curvò sul capitano che si contorceva fra gli spasimi d’un’atroce agonia.
– Forse non siete ferito gravemente, signor di Sant’Iago – gli disse. – Possiamo ancora salvarvi.
– Credo d’aver avuto il mio conto – rispose il capitano. – Per bacco! Avete la mano piú lesta della mia! Morirò presto e ciò mi rincresce per una sola cosa.
– Quale?
– Per non aver avuto il tempo di mandarvi a bordo le mille e cento piastre che mi avete vinto.
– Non ve ne date pensiero; ditemi invece che cosa possiamo fare per voi.
– Chiamate i servi della marchesa di Montelimar. Almeno morrò sotto il tetto della donna… che amo e per la quale muoio.
– Lasciate che cerchi di togliervi prima il pezzo di lama che vi è rimasta nel petto.
– Mi uccidereste piú presto. No… no… i servi… mandate… correte.
– Mendoza! Martin! chiamate gente al palazzo!
I due marinai partirono di corsa; mentre il signor di Ventimiglia, piú commosso di quel che volesse sembrare, teneva alzata la testa del capitano, affinché il sangue non lo soffocasse. Era appena trascorso un minuto, quando si videro dei lumi e degli uomini avanzare attraverso i viali.
– Signor conte, – disse il figlio del Corsaro Rosso – sono obbligato a lasciarvi. Non voglio che si sappia che sono stato io a ferirvi.
– Vi ringrazio – rispose il capitano con voce fioca. – Se guarirò, spero che mi accorderete la rivincita.
– Quando vorrete.
Si alzò e si allontanò rapidamente, avviandosi verso la cancellata.
Mendoza e Martin, dopo aver avvertiti i servi della marchesa, si erano a loro volta allontanati, scavalcando i ripari. Quando i valletti giunsero sul prato, il capitano era svenuto, ma teneva le mani serrate strettamente sul pezzo di lama.
– Il capitano degli alabardieri di Granata! – esclamò il maggiordomo della marchesa, il quale guidava i servi. – È un amico della padrona! Presto, portiamolo al palazzo!
Quattro servi sollevarono con precauzione il ferito e lo trasportarono in una stanza a pianterreno, adagiandolo su di un letto, mentre un quinto correva a cercare il medico di famiglia. La bella marchesa di Montelimar, avvolta in una vestaglia di seta azzurra, era subito scesa, e chiedeva al maggiordomo con voce angosciata:
– Mio Dio, che cosa è successo, Pedro?
– Hanno ferito gravemente…
– Il conte de Miranda? – gridò la marchesa impallidendo.
– No, Signora, il conte di Sant’Iago.
– Il capitano degli alabardieri?
– Precisamente
– Con qualche pistolettata?
– Con un terribile colpo di spada; ha ancora mezza lama conficcata nel petto.
– Un duello?
– Cosí pare.
– Ed il feritore?
– Scomparso, signora.
– E dove si sono battuti?
– Nel vostro giardino.
– Quell’uomo cercava sempre di uccidere ed ha avuto il suo conto. Chi può aver vinto la migliore lama del reggimento di Granata? Chi? Non è morto, è vero?
– Solamente svenuto, ma io credo che non se la caverà.
– Lascia che lo veda.
Il maggiordomo si trasse da una parte, ed essa entrò nella stanza dove si trovavano alcuni servi affaccendati a bagnare le labbra e le narici del ferito con aceto, per cercare di farlo rinvenire.
Il capitano giaceva sul letto con le braccia aperte, il volto cadaverico, la fronte ancora corrugata. Un sibilo, piuttosto che un respiro, gli usciva dalla bocca semiaperta.
Aveva sempre il pezzo di lama piantato in mezzo al petto, presso il cuore, non avendo nessuno osato levarlo, per timore di provocare una violentissima emorragia.
Il giubbetto di seta a righe azzurre e rosse, con grandi alamari d’argento, era squarciato per una lunghezza di parecchi pollici, ma nessuna goccia di sangue aveva macchiato la camicia.
La lama serviva da tampone.
– Disgraziato! – mormorò la marchesa con voce commossa. – Lo spadaccino che lo ha cosí terribilmente ferito non può essere di San Domingo, poiché tutti avevano pura della spada di quest’uomo… È stato avvertito il medico, Pedro?
– Sí, signora marchesa – rispose il maggiordomo. – Non tarderà a giungere.
– Se non viene subito, questo povero conte muore.
– Eccolo: odo della gente entrare.
La porta si era aperta ed un vecchio, vestito interamente di seta nera, seguito da un giovane che portava una cassetta, erano comparsi. Erano il medico e il suo aiutante.
– Signor Escobedo – disse la marchesa, andando incontro al vecchio – Vi raccomando quel signore: è il conte di Sant’Iago. Fate il possibile per strapparlo alla morte.
– Oh! È il terribile spadaccino, marchesa? – chiese il medico. Quando si tratta di colpi di lama, l’affare è sempre serio. Vediamo.
S’accostò al letto, mentre il suo aiutante apriva la cassetta contenente parecchi ferri chirurgici, e diede un lungo sguardo al ferito, il quale non aveva ancora ripreso i sensi.
– Ferita grave, è vero, signor Escobedo? – chiese la marchesa.
– Una stoccata terribile, marchesa – rispose il medico, facendo una smorfia e tentennando il capo. – Il suo avversario doveva avere un pugno ben solido.
– Sperate di salvarlo?
– Non posso darvi una risposta sicura, marchesa. Ritiratevi tutti a lasciatemi solo col mio aiutante. È necessario operare subito.
La marchesa, il maggiordomo e i servi si affrettarono a sgombrare.
– Una pinza forte, Maurico – disse il dottore quando furono soli, volgendosi verso l’aiutante.
– Volete estrarre la lama, dottore?
– Non posso certo lasciargliela nel petto!
– Non morrà subito?
– È quello che purtroppo temo. La punta deve aver offeso gravemente il polmone.
In quel momento il conte emise un profondo sospiro e alzò le braccia, posando le mani sul pezzo di lama che gli usciva dal petto.
– Sta per tornare in sé – disse il medico, il quale si era curvato sul ferito.
Il capitano emise un altro sospiro piú lungo del primo e che terminò con una specie di rantolo, poi alzò lentamente le palpebre e fissò il dottore con uno sguardo velato.
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