Emilio Salgari - Il figlio del Corsaro Rosso
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– Forse avete ragione.
– Lasciate dunque in pace le pelli vive o morte, e giochiamo dei dobloni o delle piastre. Quelle almeno non hanno peli né da vendere né da uccidersi
– Puntate?
– Cento piastre – rispose il giovane gentiluomo.
– Volete rovinarmi?
– No, perché sono un pessimo giocatore, signor di Sant’Iago; e poi non ho mai avuto fortuna né alle carte, né ai dadi.
– L’avrete con le belle signore, con le marchese soprattutto – disse il capitano quasi con rabbia.
– In mare non ho incontrato che navi, montate per lo piú da corsari, e quelle non mi regalavano baci, ve l’assicuro. Al mio saluto rispondevano invece con palle di buon calibro che facevano sudar freddo i miei uomini.
– Ma in terra, sí però.
– Signor di Sant’Iago, io sono entrato in questo salotto per giocare qualche migliaio di piastre e non già per chiacchierare. Dovreste saperlo che gli uomini di mare non amano parlar molto… Cento piastre?
– Sia! – rispose il conte di Sant’Iago con un gesto sprezzante.
– Volete essere il primo?
Il capitano, invece di rispondere, prese il bossolo d’oro, fece saltellare i dadi: poi li rovesciò sul tavolino.
– Tredici! – disse. – Ecco un numero che porterà fortuna.
– Siete superstizioso?
– No, tuttavia questo tredici mi ha dato una scossa al cuore.
– Allora morrete molto presto – disse il conte de Miranda ridendo.
– Per mano di chi?
– Non sono mai stato uno stregone, io.
– D’un rivale?
– Può essere.
– Non lo credo, perché ne ho ucciso uno la settimana scorsa, per il semplice motivo che mi dava ombra.
– Avete la mano troppo lesta, signor di Sant’Iago.
– Che fora sempre quando stringe una spada.
– Veramente anche la mia non è tarda – ribattè il giovane. Il capitano degli alabardieri lo guardò fisso fisso, come se cercasse di comprendere bene il senso di quelle parole, poi disse:
– Tocca a voi.
Il conte de Miranda prese a sua volta il bossolo e fece rotolare i dadi sul tappeto.
– Quattordici! Che combinazione! – esclamò. – Caramba! Un tredici e un quattordici.
Che cosa significano questi due numeri cosí vicini l’uno all’altro?
Il capitano degli alabardieri si era passata una mano sulla fronte aggrottata. Una viva preoccupazione traspariva dal suo viso.
– Che cosa ne dite voi, signor di Sant’Iago? – chiese il giovane.
– Che voi avete vinte le mie cento piastre.
– Di quelle non mi occupo: io parlo dei due numeri.
– Nemmeno io sono uno stregone.
– Continuate?
– Sí: voglio vedere come si combineranno i nuovi numeri. Vi propongo tre colpi di cinquecento piastre ciascuno.
– Sta bene: a voi.
Il capitano riprese il bossolo e, dopo aver agitato nervosamente i dadi, li fece saltare sul tappeto.
Un’imprecazione a malapena repressa gli sfuggí, mentre la fronte gli s’imperlava di sudore.
– Tredici ancora! – aveva esclamato. – È col diavolo che io gioco?
– Veramente sono vestito come lui! – disse il conte de Miranda, sempre ilare.
– Giocate, per Dios!
– Dodici! – esclamò il giovane.
Il capitano sussultò.
– Il tredici chiuso fra il dodici ed il quattordici! – disse, battendo un pugno sul tavolino.
– Non trovate strano tutto ciò, conte?
– Infatti è una cosa che dà a pensare.
– E il numero fatale l’ho io!
– Ma mi avete vinto cinquecento piastre, una somma che può consolare anche un capitano degli alabardieri.
– Avrei preferito perderle, purché fosse uscito un altro numero.
– Né io, né voi possiamo comandare ai dadi. Continuiamo.
La partita fu ripresa, ed il conte d Miranda vinse le altre mille piastre, con un quindici e con un diciassette, contro un quattordici ed un sedici.
Il capitano si era alzato di cattivo umore, nel momento in cui i servi annunciavano che era la mezzanotte e che perciò la festa era finita.
– Vi manderò domani a bordo le millecento piastre che mi avete vinto, conte – disse il signor di Sant’Iago con voce secca.
– Non abbiate fretta – rispose il giovane.
– Mi accorderete una rivincita, spero.
– Quando vorrete.
– Non qui però.
– Perché?
– Non ho fortuna in questa casa.
– E non si può litigar liberamente; è vero, capitano? – chiese il de Miranda ironicamente.
– Può essere – rispose il capitano. – Buona sera, conte.
Ciò detto, uscí dal salotto ed entrò nella sala da ballo, dove dame e cavalieri si affollavano intorno alla marchesa di Montelimar per accomiatarsi.
Il comandante della Nuova Castiglia si era invece fermato, appoggiandosi allo stipite della porta.
Aspettava probabilmente che gli invitati se ne andassero.
Dall’espressione del suo viso si capiva che non era meno preoccupato del conte di Sant’Iago. Tormentava con la sinistra la guardia della sua spada e si torceva nervosamente i baffi. Quando la splendida sala fu quasi vuota, a sua volta avanzò verso la marchesa, la quale pareva che già lo cercasse con lo sguardo.
– Signora, – le disse inchinandosi – mi perdonerete se io non sono piú rientrato per fare un’altra danza con voi, ma mi ero impegnato in una grave partita al giuoco.
– Col capitano degli alabardieri? – chiese la bella vedova, con una certa ansietà.
– Sí, marchesa.
– Non avete questionato con lui?
– Niente affatto.
La marchesa respirò.
– Guardatevi da lui, signor conte – disse poi. – È un uomo pericoloso.
Il giovane batté una mano sulla guardia della spada.
– Quando al mio fianco sta questa lama, io non ho paura di tutti i capitani degli alabardieri di Spagna, di Francia o d’Italia! – disse.
– Marchesa, quando potrò rivedervi? Io devo chiedere a voi un’informazione che mi interessa.
– A me?
– Sí, marchesa.
– Allora domani farete colazione con me.
– Domani, – disse il conte, mentre sulla sua fronte passava come un’ombra – potrebbe essere troppo tardi.
– Contate di partire presto? Siete arrivato solamente stamane.
– È vero, marchesa: ma vi sono delle volte che non si può disporre del proprio tempo. Potrei rimanere, come potrei partire da un momento all’altro. Non vorrei andarmene però prima d’aver avuto un colloquio con voi.
– Non siete venuto per proteggere San Domingo da un attacco dei corsari della Tortue e dei bucanieri?
– Non posso rispondervi, marchesa.
– Eppure voi non dovete partire cosí presto. Sapete cavalcare, conte?
– Sí, marchesa.
– Domani ha luogo la corsa al gallo e desidererei che vi prendeste parte.
– Perché?
– La posta è un mio bacio che darò e riceverò dal vincitore.
Il conte de Miranda ebbe un leggero trasalimento.
– Checché accada, – disse poi – prenderò parte alla corsa. Buona sera marchesa; noi ci rivedremo, perché è necessario.
Baciò la mano alla bella vedova e uscí accompagnato da un valletto mulatto, il quale reggeva a stento un pesante doppiere d’argento. In quello stesso momento gli ultimi invitati lasciavano il magnifico palazzo di Montelimar.
CAPITOLO II. UN DUELLO TERRIBILE
– Il bacan tarda questa sera.
– Raddoppia la carica della pipa, mio caro Mendoza. Io vi ho cacciato dentro due dita e ora tira magnificamente. Che differenza ci trovi tu fra i gradini di questa chiesa e quelli del cassero o del castello di prora?
– Sulla Nuova Castiglia vi è almeno da bere, Martin.
– Piovono però anche delle bombe, Mendoza; e gli spagnuoli ne hanno di quelle non meno terribili delle nostre.
– Non dico il contrario, amico; tuttavia mi trovo sempre meglio lassú. Almeno vi sono cannoni per rispondere.
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