Emilio Salgari - La perla sanguinosa
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«Nessuno per ora, – rispose Jody. – Bisogna che attendano la mia guarigione se vorranno servirsene, non essendovi alcuno che possa surrogarmi. La mia malattia non guarirà se non quando voi sarete in piedi.»
«Come hai fatto, Jody, a gonfiare le gote in quel modo? – chiese Will. – Sei mostruoso.»
«Una cosa da nulla, signor Will. Mi sono graffiato profondamente, con uno spillo, le mucose della bocca e da un forzato compiacente mi sono fatto soffiare dentro con una paglia, finché le gote sono diventate grosse come palloni. Tenete bene in mente questa ricetta; potrebbe esservi utile un giorno per farvi mandare all’ospedale.»
«Non ne avremo più bisogno, spero, – disse il quartiermastro, con voce grave. – Tutto è pronto, vero?»
«Non mi trovereste qui, signor Will, se fosse altrimenti. Vi avevo avvertito che mi sarei dato per ammalato appena terminato il cilindro. L’ho finito ieri sera ed avendo saputo poco fa che vi si voleva far provare il gatto a nove code , mi sono prontamente ammalato per essere qui insieme a voi.»
«Ah! Tu credevi che infliggessero anche a me quell›atroce supplizio?»
«Sì, signor Will, avendovi veduto chiudere nella cella assieme a Palicur. Sono lieto che vi abbiano risparmiato.»
«Dunque?» chiese sotto voce il pescatore di perle, che li aveva ascoltati attentamente, cogli occhi ardenti.
«Non aspetto che voi,» disse Jody.
«Sei riuscito a sottrarre dei viveri?» chiese il quartiermastro.
«Sono tre settimane che nascondo un paio di gallette al giorno e che accumulo noci di cocco.»
«Dove?»
«In una cavità della scogliera.»
«E armi?»
«Ho potuto sottrarre un paio di pistole e duecento cartucce dall›armeria, senza che i guardiani se ne siano accorti. D›altronde nessuno avrebbe sospettato di me.»
«Vi è carbone nella scialuppa?»
«Ne avremo per un paio di giorni, signor Will. Poca cosa davvero, che c’impedirà di andare molto lontano, ma ho preparato un albero e nascosto due coperte che ci serviranno da vela.»
«Armerò io la scialuppa e la faremo egualmente filare,» disse il quartiermastro.
«E dove andremo?» chiese Palicur con una certa inquietudine.
«Per me, purché si vada, non m›importa affatto del luogo, – rispose il mulatto. – L›India o la Birmania fa lo stesso.»
«Non temere, Palicur, – disse il quartiermastro, che s›era accorto della profonda angoscia che torturava il cuore del pescatore. – Noi andremo a Ceylon, prima di tutto, se non verremo catturati in alto mare.»
«Vi sono delle isole sul nostro itinerario ed in caso di pericolo ci getteremo alla costa. Io conosco le Nicobar, signor Will, – rispose il malabaro. – Ciò che deve preoccuparci è il modo di potercene andare.»
«Da queste finestre alla spiaggia non vi sono che duecento passi,» disse Jody.
«E quattro sentinelle, mio caro.»
«La sera che voi prenderete il largo esse saranno ubriache, signore. Voi sapete che sono amico di tutti i guardiani e che nella mia qualità di macchinista addetto alla scialuppa del governatore, godo di favori speciali e di una certa libertà, oltre che di una paga che voi non avete e che mi permette di acquistare qualche bottiglia di gin.»
«Sappiamo che tu sei un uomo fortunato.»
«Sì, a paragone degli altri, signor Will, – rispose il mulatto. – Non si tratta quindi, per voi, che di segare un paio di sbarre delle inferriate e di calarvi sul tetto del magazzino che sta sotto di noi.»
«E chi le segherà?»
«Voi, signor Will. Vi ho costruito una macchinetta che taglierà il ferro come se fosse legno e senza produrre rumore; un giocattolo meraviglioso, ve lo assicuro.»
«Se tu sei riuscito a fabbricare il cilindro della macchina, non dubito che tu sia stato capace d’inventare qualche congegno straordinario. Sei un meccanico di prima forza.»
«Bene, grazie! Continuo, – disse il mulatto. – Io sarò sulla riva ad attendervi e v›indicherò il luogo ove dovrete rifugiarvi.»
«E tu?» chiesero ad una voce Will e Palicur.
«Io non posso lasciare subito il penitenziario. Come potrei accendere la macchina senza che i guardiani se ne accorgano? Devo aspettare che il sole sia alzato.»
«È vero, – disse il quartiermastro, dopo un momento di riflessione. – Continua.»
«Se anche mi vedono accendere la macchina di giorno, nessuno se ne preoccuperà, non avendo essa il cilindro che, come sapete, tolgono sempre per paura che io scappi. Appena ho la pressione, metto il mio, corro a raccogliervi e via in alto mare. Ci daranno la caccia, lo so, ma noi saremo lontani allora, forse alla piccola Andamana.»
«Senza di te noi non riusciremo mai a darcela a gambe,» disse Will.
«Ed io senza di voi, signore, finirei chissà dove non essendo mai stato marinaio,» rispose il mulatto.
«Tieni d›occhio il Guercio.»
«Quel maledetto cingalese?»
«Egli deve aver udito qualche cosa di quanto abbiamo detto stamane io e Palicur. Sospetta la nostra fuga, quel cane d›uno spione, e ci sorveglierà strettamente.»
«Mi guarderò da lui, signor Will. lo credo che non dubiti di me almeno finora. Se vorrà poi darmi qualche noia, gli scucirò il ventre con un colpo di coltello.»
«Zitto, – disse il quartiermastro. – Ecco il medico che viene. Cacciamoci sotto le coltri e fingiamo di essere più ammalati di quello che siamo realmente.»
4. Le manovre sospette del Guercio
Cinque giorni dopo, il mulatto, le cui gote si erano ormai completamente sgonfiate pel semplice motivo che aveva lasciato chiudersi la leggera ferita senza farvi più soffiare dentro, lasciava l’infermeria per riprendere il suo posto nella scialuppa a vapore del penitenziario.
Pienamente d’accordo col quartiermastro della Britannia che era l’anima della fuga, perché senza di lui sarebbe stata una vera follia slanciarsi alla ventura attraverso l’Oceano Indiano, pericolo che solo un uomo di mare esperimentato può affrontare, il mulatto aveva affrettato la guarigione per ultimare gli ultimi preparativi e possibilmente ingrossare la provvista di viveri, onde non farsi cogliere dalla fame in pieno oceano.
Come abbiamo detto, il mulatto, nella sua qualità di macchinista, godeva d’una certa libertà. Poteva verso il tramonto recarsi a pescare i grossi crostacei che sono così numerosi sulle scogliere delle isole Andamane, usando della grossa scialuppa a vapore del direttore del penitenziario, a fuochi spenti però onde non ne approfittasse per prendere il largo.
Dichiaratosi guarito, aveva ripreso senz’altro le sue consuete abitudini, in attesa che il malabaro si rimettesse a sua volta completamente in gamba.
Con infinite precauzioni era riuscito a sottrarre dei viveri dal magazzino, nel quale aveva libero accesso, dovendo sovente imbarcare delle piccole partite di generi alimentari per portarle ai forzati che lavoravano nei cantieri un po’ lontani, e in tal modo aveva ingrossato la provvista, nascosta in un profondo cavo della scogliera che si estendeva dinanzi al penitenziario, dove egli soleva recarsi a pescare. Una mezza cassa di biscotto, alcuni chilogrammi di pesce secco e dei legumi erano andati ad impinguare la provvista senza che nessuno, fino allora, se ne fosse accorto.
La sera del terzo giorno della sua uscita dall’infermeria però, mentre tornava dal mare e spingeva faticosamente innanzi la scialuppa, avendo la macchina spenta perché priva del cilindro, fu non poco sorpreso nel vedere seduto sulla spiaggia il Guercio, che egli credeva si trovasse in uno dei cantieri stabiliti in mezzo alla foresta.
«Buona sera, Jody, – gli disse il cingalese, con un accento leggermente beffardo, che non sfuggì al mulatto. – Che cosa hai pescato di buono lungo la scogliera?»
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