Emilio Salgari - La regina dei Caraibi

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«Grazie della tua affezione e delle tue cure, mia brava fanciulla,» disse il Corsaro, posando una mano sul capo della giovane indiana. «Il Corsaro Nero non ti scorderà.»

«Allora mi vendicherà!» esclamò l’indiana mentre un cupo lampo balenava nei suoi grandi occhi neri.

«Cosa vuoi dire?»

In quell’istante si udì al di fuori rimbombare un colpo di moschetto, poi la voce di Carmaux a tuonare:

«Badate!… Vi è una bomba dietro alla porta!…»

Il Corsaro Nero vedendo la sua spada appoggiata ad una sedia vicina, l’afferrò e fece nuovamente atto di gettarsi giù. La giovane indiana lo trattenne, cingendolo con ambe le braccia.

«No, mio signore,» gridò ella, «vi ucciderete!…»

«Lasciami andare!»

«No, capitano, voi non lascerete il letto,» disse Carmaux entrando. «Gli spagnuoli non ci tengono ancora.»

«Ah! Sei tu, mio bravo?» disse il Corsaro. «Siete tutti valorosi, lo so, eppure troppo pochi per difendervi da un assalto generale. Non voglio mancare al momento opportuno.»

«E le vostre ferite?»

«Mi sembra di potermi ancora reggere, Carmaux. Le hai esaminate?»

«Sì, capitano. V’hanno dato una stoccata superba un po’ sotto al cuore. Se la lama non avesse incontrata una costola vi avrebbe attraversato il corpo.»

«Non è grave però.»

«Questo è vero, signore, – rispose Carmaux. – Io credo che in una dozzina di giorni potrete ricominciare a dare stoccate.»

«Dodici giorni! Sei pazzo, Carmaux?»

«Vi sono due buche da turare. Un po’ più sotto vi hanno fatto un secondo occhiello, molto meno profondo del primo forse, però più doloroso. Quelle due stoccate le avete pagate con usura perchè ho veduto giù, presso il portone, tre morti e due feriti.

«E voi ne avete date? – chiese il Corsaro.

«Abbiamo gettato a terra una mezza dozzina d’uomini, non ricevendo in cambio che poche graffiature. Noi eravamo convinti che voi ci aveste seguiti, per ciò avevamo continuata la carica per sbarazzarvi la via. Quando ci accorgemmo che voi invece eravate rimasto indietro, cercammo di tornare sui nostri passi. Gli spagnuoli, che avevano fatto il loro piano per isolarvi, ci diedero addosso per impedirci di accorrere in vostro aiuto.»

«Come avete saputo che io mi trovavo qui?»

«Fu questa brava fanciulla ad avvertirci.»

«Ed ora?»

«Siamo assediati, capitano.»

«Sono molti i nemici?»

«L’oscurità non mi ha permesso ancora di valutare il loro numero,» disse Carmaux. «Sono convinto che siano in molti.»

«Sicchè la nostra situazione è grave.»

«Non lo nego, tanto più che dobbiamo difenderci anche entro la casa. Gli spagnuoli possono entrare servendosi del passaggio segreto.»

«Il pericolo maggiore sta precisamente in quel passaggio,» disse la giovane indiana. «Don Pablo ha la chiave della porta di ferro.»

«Mille balene!» esclamò Carmaux. «Se i nemici ci assalgono d’ambo le parti non so se potremo resistere a lungo.»

«Ci basterebbe peròpoter resistere otto o dieci ore. Il signor Morgan, non vedendoci tornare a bordo, s’immaginerà che qualche cosa di grave è avvenuto e manderà a terra un forte drappello per venirci a cercare.

«Potrete resistere fino all’alba? Gli spagnuoli possono scalare le finestre e forzare contemporaneamente il passaggio segreto.»

«Signore,» disse la giovane indiana che non aveva perduta una sola sillaba di quella conversazione. «Vi è un luogo dove potreste resistere a lungo.»

«Qualche cantina?» chiese Carmaux.

«No, nella torricella.»

«Mille balene! Vi è una torricella in questa casa? Allora noi siamo salvi! Se è molto alta noi potremo fare dei segnali all’equipaggio della Folgore.»

CAPITOLO IV. ASSEDIATI NELLA TORRICELLA

Cinque minuti dopo il Corsaro Nero, portato a braccia dai suoi fidi marinai, si trovava nella torricella della casa del signor de Ribeira. Anche la giovane indiana aveva voluto seguirlo, non ostante i consigli di Carmaux, a cui spiaceva molto esporre quella brava giovane ai pericoli d’un assedio. Quella torricella era una piccola costruzione, non molto alta e non molto resistente, divisa in due stanzette circolari e comunicanti, per mezzo d’una scala di legno, coi solai della casa. Quantunque non si elevasse molto, dalle finestre del piano superiore si dominava non solo tutta la cittadella, bensì anche il porto, in mezzo al quale si trovava ancorata la Folgore.

Carmaux, fatto adagiare il suo capitano su di un vecchio letto fuori d’uso, si era affrettato ad affacciarsi alla finestrina che guardava verso il porto. Vedendo i fanali della Folgore, non potè trattenere un grido di gioia.

«Per centomila balene!» esclamò. «Da questa fortezza noi potremo scambiare dei segnali colla nostra nave. Ah! miei cari signori spagnuoli, noi vi daremo ancora molto filo da torcere.»

«L’hai veduta la mia nave?» gli chiese il Corsaro, non senza una certa commozione.

«Sì, capitano,» rispose Carmaux che era rientrato.

«Allora bisogna cercare di resistere fino all’arrivo dei rinforzi che ci manderà Morgan.»

«Questa piccola fortezza non mi pare in cattivo stato.»

«Occupatevi della scala.

«Compare sacco di carbone e Wan Stiller stanno già spezzandola. Anzi ho raccomandato loro di portar qui i rottami.

«Cosa vuoi farne Carmaux?»

«Ci servirà per accendere un bel fuoco sulla torricella. Il signor Morgan comprenderà il segnale, spero.»

«Basterà accenderlo tre volte con un intervallo di cinque minuti,» disse il Corsaro. «Morgan saprà subito che noi siamo in pericolo e che abbiamo bisogno di aiuti.»

In quel momento udirono, giù nella via, un fracasso indemoniato. Pareva che delle persone cercassero di sfondare qualche porta o qualche finestra.

«Sono i nostri uomini che demoliscono la scala?» chiese il Corsaro.

«No, capitano,» rispose Carmaux che si era affacciato alla finestrina della torre. «Sono gli spagnuoli.»

«Forzano l’entrata?

«Sfondano la porta servendosi d’una trave.»

«Allora fra poco saranno qui.»

«Troveranno un osso duro da rompere,» rispose Carmaux. «Andiamo a barricare il passaggio della torricella. Mille balene!»

«Che hai? – chiese il Corsaro.

«Un assediato senza viveri è un uomo morto. Prima di barricarci pensiamo a procurarci qualche cosa da porre sotto i denti.»

«Non preoccupatevi,» disse la giovane indiana. «Ci penso io a procurarvi dei viveri.»

«La piccina ha del fegato, – disse Carmaux vedendola scendere tranquilla come se dovesse compiere una cosa semplicissima.

«Seguila,» gli disse il Corsaro. «Se gli spagnuoli la sorprendono a portarci dei viveri, potrebbero ucciderla.»

Carmaux snudò la sciabola e scese dietro alla giovane, deciso a proteggerla a qualsiasi costo. Wan Stiller e Moko, armati di scure, stavano per tagliare la scala onde impedire agli spagnuoli di salire al piano superiore, nel caso che fossero riusciti a sfondare la porta della torretta.

«Un momento, amici,» disse loro Carmaux. «Prima i viveri, poi la scala.»

«Aspettiamo i tuoi ordini,» rispose Wan Stiller.

«Intanto vieni con me. Cercheremo di provvederci di buone bottiglie. Don Pablo deve averne di quelle molto vecchie che faranno bene al nostro capitano.»

«Vi è qui una cesta che sembra fatta appositamente per contenerle,» disse l’amburghese, impadronendosi d’un grande paniere che si trovava in un angolo della stanzetta.

Lasciarono il loro rifugio ridiscendendo negli appartamenti di don Pablo. La giovane indiana era già entrata in una stanza dove si conservavano le provviste della casa e, riempito un paniere di ogni specie di vivande, tornava frettolosamente nella torretta.

Carmaux e Wan Stiller vedendo molte bottiglie polverose allineate su d’uno scaffale, s’affrettarono ad impadronirsene. Tuttavia ebbero anche il buon senso di prendere due secchi ripieni d’acqua.

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