Emilio Salgari - La rivicità di Yanez

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– Sí, Altezza; ed era tempo che le case, le moschee e le pagode finissero di bruciare.

«Ma vi è di piú. Ho scoperto, in certe rotonde che io da anni non visitavo, dei veri depositi di legna, e poi ho veduto i topi ritornare in gran numero.»

– Abbiamo qui abbastanza carne, sicché possiamo fare a meno per ora di quei rosicchianti niente affatto piacevoli.

– Non potete dire, Altezza, che bene arrostiti siano cattivi.

– No, ma sono sempre topi. Hai scoperto altro?

– Sí, un passaggio che mette in una vasta cantina. È ancora troppo caldo, ma fra ventiquattro ore io credo che noi tutti potremo percorrerlo.

– E gli elefanti ed i cavalli?

– Quel passaggio sarà la salvezza della vostra cavalleria grossa e leggera, sahib – disse il baniano. – Di notte noi usciremo e andremo a fare raccolta di foglie e di erbe. Gli uomini di Sindhia non ci inquieteranno. Sono troppo poltroni.

– Tu dunque non vedi la nostra situazione disperata?

– Oh no!… Con quei terribili guerrieri che ha condotto il vostro amico e con quelle armi non meno terribili, noi finiremo col lasciare l’amico Sindhia con un buon palmo di naso.

– Sei ottimista.

– Non sono mai stato pessimista, e non ho mai avuto da dolermene.

– Gli elefanti ed i cavalli peraltro da ventiquattro ore non mangiano.

– Domani mattina avranno una colazione abbondante. Il fuoco non può aver rovinato tutte le piantagioni che si estendevano intorno alla capitale.

Mettete a mia disposizione venti di quei terribili uomini, ed io rispondo di tutto, Altezza.

– Te ne concedo anche quaranta con un paio di mitragliatrici.

– No, le mitragliatrici non passerebbero; e poi possono essere piú utili a voi che a noi.

– Puoi aver ragione – rispose Yanez, il quale appariva, malgrado il suo carattere sempre vivace ed allegro, assai preoccupato. – Quando andrai ad esplorare quel passaggio?

– Appena caduta la notte, signore. È necessario che si raffreddi ancora un po’.

– Io ti accompagnerò con Tremal-Naik. Sandokan intanto veglierà alla foce del fiume nero.

– L’impresa potrebbe essere pericolosa assai, Altezza.

Un sorriso sdegnoso sfiorò le labbra dell’uomo che i malesi ed i dayaki chiamavano la Tigre bianca.

– Ho provato ben altri pericoli a Mompracem, a Labuan, nel Borneo ed anche qui – disse.

– Lo so, Altezza. Voi avete ucciso, insieme col vostro amico, il capo degli strangolatori delle Sunderbunds durante l’assalto di Delhi. Tutti sanno, anche in India, che siete degli uomini capaci di rovesciare degli imperi.

– Hai finito?

– Sí, Altezza.

– Concludi.

– Questa sera, giacché lo desiderate, andremo a cercare il cibo ai cavalli ed agli elefanti insieme con voi.

– Siamo intesi.

In quel momento giungeva il flemmatico olandese con un nuovo panciotto ed una nuova casacca di flanella bianca leggerissima e la grossa pipa in bocca.

– Ebbene, dottore, come vanno le vostre coltivazioni?

– Benissimo, signore – rispose Wan Horn. – Ho osservato poco fa le bottiglie dei bacilli del tifo, ed ho constatato che nulla hanno sofferto durante il viaggio. Si sviluppano meravigliosamente sotto questo clima.

– Sicché dopo i bacilli del colera andrete a inondare il campo o i campi di Sindhia con quelli del tifo – disse Yanez sempre ironico.

– Inondare? Eh, via, è un po’ troppo, Altezza – rispose l’olandese. – E poi non so se si presenterà un’altra occasione.

«Il rajah non mi riceverebbe certamente due volte. Mi farebbe fucilare dai suoi ultimi rajaputi.»

– Non oserei mandarvi da lui come parlamentario per la seconda volta – rispose Yanez. – Sindhia è un barbaro che non rispetta nessuna persona.

– Aveva già minacciato di trattenermi.

– E non sareste piú tornato vivo, ve lo assicuro. Quell’uomo è crudele come il fratello che egli stesso ha ucciso con un colpo di carabina durante un banchetto.

– È un pazzo, signore. I liquori lo hanno rovinato.

– Lo so che è un alcoolizzato pericoloso. Dunque voi mi dicevate che occorrono almeno quarant’otto ore prima che i bacilli si sviluppino e compiano la loro distruzione?

– Forse anche meno, Altezza.

– Per Giove!… Questo è un nuovo genere di guerra.

– Che darà dei risultati meravigliosi – rispose freddamente l’olandese. – Altro che le vostre carabine, le vostre mitragliatrici ed i vostri kampilangs!… Vedrete, vedrete!

E quel brav’uomo che si proponeva di assassinare, con le sue strane colture, se ne andò colle mani sprofondate nelle ampie tasche, fumando come una vaporiera.

– A questa sera, allora – disse Yanez al cacciatore di topi.

– Sí, Altezza. Conosco ormai la via e non mi smarrirò.

– E potremo noi oltrepassare la linea dei bastioni senza essere veduti?

– Io lo spero – rispose il baniano. – D’altronde non andremo senz’armi o muniti di semplici bastoni.

Yanez stette un momento silenzioso, colla fronte aggrottata, poi si diresse verso il falò che ardeva sulla riva destra del fiume fangoso, per comunicare a Sandokan le buone nuove.

CAPITOLO IV. L ‘ASSEDIO

Non fu che dopo la mezzanotte che Yanez ed il cacciatore di topi, seguiti dall’erculeo rajaputo e dai dodici montanari di Sadhja, si misero in marcia per tentare di procurare degli alimenti alle povere bestie, le quali, durante la giornata, avevano barrito e nitrito senza interruzione.

Si erano muniti di due torce ed erano tutti armati di carabine, di pistole e di scimitarre.

Il drappello costeggiò per oltre due miglia il pigro fiume nero che frusciava invece di gorgogliare, poi entrarono in una delle tante rotonde destinate a raccogliere le acque.

Il cacciatore di topi aveva già fatto un segno su una parete per non ingannarsi, quindi poteva ormai procedere tranquillo attraverso le gallerie superiori che si estendevano sopra l’immensa arcata e che si diramavano per la città.

– Quanto impiegheremo a giungere in quella cantina? – chiese Yanez.

– Appena una mezz’ora – rispose il baniano. – Non faremo che una semplice passeggiata, poiché le gallerie che io ho scoperte sono tutte ampie e non avremo bisogno di curvarci per passare.

– Bada di non smarrirti.

– Oh, no!… Nella mia testa vi è una specie di bussola che mi guida.

– Si perdono anche i marinai talvolta.

– Non io – rispose il cacciatore di topi con voce ferma.

– Si sarà raffreddata la cantina?

– Io lo spero. Quando vi sono entrato non vi era una tale temperatura da non poter resistere.

– A quest’ora troveremo una temperatura meno ardente.

– Anche qui non regna piú un gran caldo – disse Yanez. – Si suda un po’, questo è vero, però non dobbiamo dimenticare che siamo nel gran paese del sole.

Cosí parlando avevano attraversato un ampio corridoio, cosparso di sabbia asciutta che spandeva un odore nauseabondo quantunque fosse bianchissima, ed erano giunti in un’altra rotonda, capace di contenere anche trenta persone.

Doveva essere stata anche quella abitata dai piú miserabili abitanti della capitale, poiché anche là dentro si vedevano mucchi di luridi stracci che dovevano aver servito come letti, delle foglie secche e dei pezzi di legna accatastati con una certa cura.

– Ancora due e poi sboccheremo nella cantina, o meglio nel sotterraneo scavato sotto qualche grande palazzo – disse il baniano.

– Anche questo fogliame secco può servire pei cavalli se non per gli elefanti – disse il Maharajah, il quale tutto osservava minutamente.

– L’avevo pensato anch’io, Altezza – rispose il cacciatore di topi.

– Nelle altre rotonde ne hai veduto?

– Sí, e anzi l’ultima è ben provvista.

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