Emilio Salgari - Le due tigri

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La baleniera era a pochi passi, guardata dai malesi.

Sandokan fece collocare a poppa la bajadera dalle cui labbra non era piú uscito alcun lamento, piantò la torcia sulla prora e diede il segnale della partenza.

Yanez si era seduto sull’ultima panca, di fronte alla giovane e la osservava attentamente, ammirando, involontariamente forse, la bellezza di quel viso e la luce profonda di quegli occhi nerissimi, scintillanti come carboncini.

– Per Giove! – mormorava fra sé. – Non ho mai veduto una fanciulla cosí bella. Come si trovava fra le mani di quei sanguinari settari?

Sandokan quasi avesse indovinato il pensiero del suo amico, si era rivolto alla fanciulla che gli sedeva presso.

– Sei anche tu una seguace di Kalí? – le chiese.

La bajadera scosse il capo, sorridendo tristemente.

– Come mai ti trovavi allora assieme con quei bricconi?

– Mi hanno comperata dopo la distruzione della mia famiglia, – rispose la danzatrice.

– Per fare di te una bajadera?

– Le danzatrici sono necessarie nelle cerimonie religiose.

– Dove abitavi?

– Nella pagoda, sahib.

– Ci stavi volentieri?

– No, e come hai veduto ho preferito seguirti piuttosto che tornare nella pagoda dove si compiono dei misteri atroci per soddisfare l’insaziabile sete di sangue della dea.

– A quale scopo avevano mandato te e le tue compagne contro di noi?

– Per impedirvi di seguire il manti.

– Ah! Tu conosci quello stregone? – chiese Sandokan.

– Sí, sahib.

– È un capo dei Thugs?

La fanciulla lo guardò senza rispondere. Una profonda angoscia si era diffusa sul suo bel viso.

– Parla, – comandò Sandokan.

– I Thugs uccidono chi tradisce i loro segreti, sahib, – rispose la fanciulla con voce tremante.

– Sei fra persone che sapranno difenderti contro tutti i Thugs dell’India. Parla: voglio sapere chi è quell’uomo che noi abbiamo invano inseguito e che pur ci è tanto necessario.

– Siete nemici degli strangolatori, voi?

– Siamo venuti in India per muovere loro guerra, – disse Sandokan, – e punirli dei loro misfatti.

– Sono cattivi, è vero, – rispose la fanciulla. – Non sono che degli assassini.

– Dimmi dunque chi è quel manti.

– L’anima dannata del capo dei Thugs.

– Di Suyodhana! – esclamarono ad una voce Yanez e Sandokan.

– Voi lo conoscete?

– No, speriamo di conoscerlo e molto presto, – disse Sandokan. – Yanez, quell’uomo ci è piú che mai necessario e non andremo nelle Sunderbunds senza averlo prima catturato.

Parlerà il vecchio, te lo assicuro, dovessi strappargli le confessioni coi piú atroci tormenti.

La bajadera guardava la Tigre della Malesia con spavento, misto a una profonda ammirazione e certo si chiedeva in cuor suo chi poteva essere quell’uomo cosí audace da sfidare la potenza dei formidabili settari di Kalí.

– Sí, – disse Yanez. – Quell’uomo ci è necessario. Ma tu, fanciulla, non sai dirci dove hanno il loro covo i Thugs? Si dice che siano tornati nei sotterranei di Rajmangal. È vero?

– Lo ignoro sahib bianco, – rispose la bajadera. – Ho udito a parlare del ritorno del «padre delle sacre acque del Gange», ma non so dove egli possa trovarsi, se nella jungla delle Sunderbunds o altrove.

– Sei mai stata tu in quei sotterranei? – chiese Sandokan.

– Vi ho compiuta là dentro la mia educazione di bajadera, – rispose la giovane, – poi mi hanno destinata alla pagoda di Kalí e di Darma-Ragia.

– Non sai dove potremmo trovare il manti? Abita nella pagoda o in qualche altro luogo?

– Nella pagoda non l’ho veduto che poche volte… Ah! Sí, voi potreste rivederlo e presto.

– Dove? – chiesero Yanez e Sandokan a un tempo.

– Fra tre giorni si compirà, sulle rive del Gange, un oni-gomon a cui devono prendere parte le bajadere e le nartachi della pagoda di Kalí ed il manti certo non vi mancherà.

– Che cos’è questo oni-gomon? – chiese Sandokan.

– Si brucerà la vedova di Rangi-Nin sul cadavere del marito, il quale era uno dei capi dei Thugs.

– Viva?

– Viva, sahib.

– E la polizia anglo-indiana lo permetterà?

– Nessuno andrà ad informarla.

– Credevo che quegli orribili sacrifici non si compissero piú.

– Il numero è ancora assai grande, non ostante la proibizione degli inglesi. Se ne bruciano ancora molte delle vedove, sulle rive del Gange.

– Conosci il luogo ove verrà arso il cadavere e la donna?

– Si trova all’estremità d’una jungla, presso una vecchia pagoda rovinata, e che era anticamente dedicata a Kalí.

– E credi che il manti interverrà alla lugubre cerimonia?

– Sí, sahib.

– Fra tre giorni tu potrai camminare e ci condurrai colà. Tenderemo al manti un agguato e vedremo se riuscirà ancora a sfuggirci. Mio caro Yanez, decisamente noi siamo fortunati.

In quel momento la baleniera giungeva sotto la poppa del praho.

– Giú la scala! – gridò Sandokan agli uomini di guardia.

Salí rapidamente sulla tolda e cadde fra le braccia d’un uomo che lo attendeva sulla cima della scala.

– Tremal-Naik! – esclamò il formidabile capo dei pirati.

– Che ti aspettava ansiosamente, – rispose l’indiano.

– Buone nuove, amico mio, non abbiamo perduto il nostro tempo.

Seguimi nella cabina.

Capitolo VII. UN DRAMMA INDIANO

La giovane bajadera, che era stata trasportata in una delle cabine del quadro e medicata prontamente da Yanez e da Sandokan, tre giorni dopo era, se non completamente guarita, almeno in grado di condurre i suoi protettori alla vecchia pagoda dove doveva aver luogo l’oni-gomon.

Durante quei tre giorni si era mostrata sempre contentissima di trovarsi in quella comoda ed elegante cabina e fra quei nuovi protettori, dei quali aveva subito abbracciata con entusiasmo la causa, fornendoli di preziosi particolari sulla sanguinosa associazione dei Thugs. Non aveva però potuto dire nulla della nuova «Vergine della pagoda», la piccola Darma, della quale fino allora non aveva mai udito parlare. Dimostrava poi una speciale riconoscenza pel sahib bianco, come chiamava il flemmatico Yanez che si era creato suo infermiere e che amava volentieri parlare con lei, la quale si spiegava in un inglese perfetto, ciò che dimostrava una educazione elevata e piuttosto rara fra le bajadere.

Quella cosa aveva anzi colpito anche Tremal-Naik, che nella sua qualità d’indiano e soprattutto di bengalese, conosceva meglio d’ogni altro le danzatrici del suo paese.

– Questa fanciulla, – aveva detto a Yanez e a Sandokan, – deve avere appartenuto a qualche alta casta. La finezza dei suoi lineamenti, la tinta quasi bianca della sua pelle e la piccolezza delle sue mani e dei suoi piedi, lo indicano.

– Cercherò d’interrogarla, – aveva risposto Yanez, – deve esservi lí sotto qualche istoria interessante.

Nel pomeriggio, mentre Sandokan e Tremal-Naik sceglievano gli uomini che dovevano prendere parte alla spedizione, Yanez era disceso nel quadro per visitare la ferita.

La fanciulla pareva che non provasse piú alcun dolore. Coricata su una comoda e soffice poltrona, sembrava immersa in un dolce sogno, a giudicarla dal sorriso che le coronava le piccole e rosse labbra e dalla dolcezza dei suoi occhi.

Vedendo comparire il sahib bianco, si era levata appoggiandosi alla spalliera e fissando su di lui uno sguardo penetrante.

– Il sahib bianco mi fa piacere, quando lo vedo, – disse con voce armoniosa. – È prima a lui che al sahib abbronzato che devo la libertà e fors’anche la vita.

– Il sahib bronzino, come tu lo chiami, – rispose Yanez sorridendo, – è buono e forse piú di me. Devi l’una e l’altra cosa ad entrambi. Come va la tua ferita, fanciulla?

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