Emilio Salgari - Le meraiglie del Duemila
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«Harry,» disse il signor Holker, rivolgendosi verso il gigante «prendi queste due persone, e portale sul Condor. Bada di non stringerle troppo.»
«Sì, padrone.»
«Sono pronti i materassi?»
«E anche la tenda.»
«Sbrigati, ragazzo mio.»
Il signor Holker spostò il letto e mise le mani su una piastra di ferro di forma circolare, munita d’un anello.
«Deve essere qui sotto il sotterraneo contenente i milioni del mio antenato e del signor Brandok» disse.
«Vi saranno ancora?» chiese il notaio.
«Solo noi potevamo sapere che i due addormentati ve li avevano posti, e poi noi abbiamo veduto che tutto era in ordine qui dentro, quindi nessuno può esservi entrato.»
Passò la leva portata dal macchinista nell’anello e alzò, non senza fatica, la piastra.
Essendo già calate le tenebre, accese una lampada elettrica e scorse una scaletta scavata nella viva roccia.
Scese giù, seguito dal notaio e dal sindaco e si trovò in una celletta di due metri quadrati contenente due casseforti d’acciaio.
«Sono qui dentro i milioni» disse.
«Li fate portare sul vostro Condor?» chiese il notaio.
«Appartengono al mio antenato ed al signor Brandok. Essendo vivi, non ho più alcun diritto su queste ricchezze… Harry!»
Il negro che era già tornato, dopo aver portato via Toby e Brandok, scese nel sotterraneo.
«Aiutami» gli disse Holker.
«Basto io, signore» rispose il gigante. «I miei muscoli sono solidi e le mie spalle larghe.»
Prese la cassa più grossa e la portò via.
«Signori,» disse Holker, quando anche la seconda fu levata «la vostra missione è finita. Il signor Brandok ed il mio avo sapranno ricompensarvi presto della vostra gentilezza.»
«Ce li condurrete un giorno?» chiese il notaio.
«Ve lo prometto.»
«Siete ormai certo che essi tornino in vita?» domandò il sindaco.
«Io lo spero, dopo un buon bagno nell’acqua tiepida. Fra quattro ore io sarò a Nuova York e domani vi darò mie notizie.»
Uscirono dal sepolcreto e dalla cinta, chiudendo il cancello e si diressero verso il margine della rupe che si affacciava sull’oceano, dove si vedeva vagamente e fra le tenebre, una massa nera che agitava sopra di sé delle ali mostruose.
«Accendi il fanale, Harry» disse il signor Holker.
Uno sprazzo di luce vivissima si sprigionò, illuminando tutta la cima della rupe e la massa che si agitava presso il margine.
Era una specie di macchina volante, fornita di quattro ali gigantesche e di eliche grandissime, collocate al di sopra di una piattaforma di metallo, lunga e stretta, difesa all’intorno da una balaustra. Nel mezzo, collocati su un soffice materasso e riparati da una cortina, si trovavano il dottor Toby e Brandok, coricati l’uno presso l’altro. Il negro stava invece all’estremità della piattaforma, dietro ad una piccola macchina, munita di parecchi tubi.
«Arrivederci presto, signori» disse Holker, salendo sulla piattaforma e sedendosi presso i due risuscitati.
«Buon viaggio, signor Holker» risposero il notaio ed il sindaco. «Dateci domani notizie del dottore e del signor Brandok.»
«A cento miglia all’ora, ragazzo mio» disse Holker al negro. «Ho molta fretta.»
Le ali e le eliche si misero in movimento e la macchina volante partì con velocità fulminea, passando sopra l’isola di Nantucket e tenendo la prora verso il sud-ovest. Il signor Holker esaminava intanto il dottore Toby ed il suo compagno, appoggiando spesso la mano sui loro petti e tastando di quando in quando anche i polsi.
La vitalità tornava lentamente nei due addormentati. Il loro polso cominciava già a battere, assai debolmente però, ma ancora non respiravano ed il cuore rimaneva muto.
«Vedremo dopo il bagno» mormorava il signor Holker. «Morti non sono, quindi non devo disperare. Quale sorpresa per loro quando riapriranno gli occhi! Rivivere dopo cent’anni! Quale meraviglioso filtro ha scoperto il mio antenato! E, cosa inesplicabile, non sono invecchiati!»
Il Condor intanto continuava la sua corsa fulminea. Aveva passato l’isola e correva sopra l’oceano, mantenendosi ad un’altezza di centocinquanta metri.
La sua lampada mandava sempre un lungo sprazzo di luce che si rifletteva sulle onde.
A mezzanotte, verso ovest, si scorsero a un tratto delle ondate di luce bianca che salivano a grande altezza.
«Nuova York, padrone» disse il negro.
«Di già?» rispose Holker. «Hai superato le cento miglia all’ora, mio buon Harry. Sbrighiamoci, e bada di non urtare qualcuno.»
Si era alzato e guardava verso quelle luci.
«Arriveremo presto» mormorò.
Venti minuti dopo il Condor correva sopra un raggruppamento di case immense, di torri e di campanili.
Descrisse alcuni giri in aria, proiettando il fascio di luce sui tetti delle case, poi calò su una vasta terrazza di metallo, situata sulla cima d’un palazzo di venti piani.
«Siamo giunti, padrone» disse il negro.
«Prendi i due addormentati e portali nella mia camera. E silenzio con tutti!»
LE PRIME MERAVIGLIE DEL DUEMILA
Erano trascorse altre due ore, quando il dottor Toby pel primo aperse finalmente gli occhi, dopo cent’anni che li aveva tenuti chiusi.
Dopo una immersione durata un quarto d’ora, in una vasca piena di acqua tiepida, aveva già cominciato a dare qualche segno di vita e a perdere la tinta giallastra, nondimeno era stata necessaria una nuova iniezione del filtro misterioso perché il cuore riprendesse finalmente le sue funzioni.
La rigidità dei muscoli era rapidamente scomparsa ed il colorito roseo era tornato sul suo volto in seguito alla ripresa della circolazione del sangue.
Appena aperti gli occhi, il suo sguardo si fissò sul signor Holker che gli stava presso, occupato a soffregar il petto di Brandok.
«Buongiorno…» gli disse il pronipote, accostandoglisi rapidamente.
Toby era rimasto muto; nondimeno i suoi occhi parlavano per lui.
Vi era nel suo sguardo dello stupore, dell’ansietà, fors’anche della paura.
«Mi udite?» chiese Holker.
Il dottore fece col capo un segno affermativo, poi mosse le labbra a più riprese, senza che potesse emettere alcun suono. Certo la lingua non aveva ancora riacquistata la sua elasticità dopo essere stata per tanti anni immobilizzata.
«Come vi sentite? Male forse?»
Toby fece un gesto negativo, poi alzò le mani facendo dei segni assolutamente incomprensibili pel signor Holker. Ad un tratto le abbassò puntandole verso il signor Brandok, che stava coricato in un letto vicino.
«Mi chiedete se il vostro compagno è vivo o morto, è vero?»
Il dottore accennò di sì.
«Non temete signor… zio, se non vi rincresce che vi chiami con questo titolo di parentela, poiché appartengo alla vostra famiglia come discendente di vostra sorella… Non temete, anche il vostro compagno sta per tornare alla vita e fra poco riaprirà gli occhi. Provate molta difficoltà a muovere la lingua? Vediamo, zio… sono dottore anch’io al pari di voi.»
Gli aprì la bocca e tirò parecchie volte quell’organo, che pareva si fosse atrofizzato, ripiegandolo poi in tutti i sensi, per fargli riacquistare la perduta agilità.
«Agisce ora?»
Un suono dapprima confuso uscì dalle labbra del dottor Toby, poi un grido:
«La vita! La vita!».
«Mercé il vostro filtro, zio.»
«Cent’anni?»
«Sì, dopo cent’anni di sonno» rispose Holker «non credevate certo di poter tornare vivo.»
«Sì! Sì!» borbottò il dottore.
In quell’istante una voce fioca chiese:
«Toby? Toby?».
Il signor Brandok aveva aperto gli occhi e guardava il suo vecchio amico con uno stupore facile a comprendersi.
«Toby!» ripeté per la terza volta, tentando di rizzarsi sul guanciale.
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