Michele Amari - Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II

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CAPITOLO II

Ibrahim-ibn-Ahmed non solamente avviluppò in questa guisa la condizione politica della colonia, e poi sciolse il nodo con orribile catastrofe, ma, non sazio di quel sangue musulmano, venne ei medesimo in Sicilia a sterminare gli ultimi avanzi de' Cristiani; prosegui la vittoria in Calabria; e minacciava tutta la terraferma d'Italia, quand'ei morì com'Alarico sotto le mura di Cosenza. Pertanto debbo dir di costui più particolarmente che non abbia fatto degli altri principi affricani. Il voglio anche perchè l'indole d'Ibrahim, sembra fenomeno unico nella storia morale dell'uomo, nè si può definir con parole, nè delinear con qualche tratto. Unico fenomeno parve a quei che il videro da presso; i quali, facendosi a spiegarlo e non trovandovi modo con la psicologia del Corano, ebbero ricorso alle teorie dei materialisti che già penetravano appo gli Arabi, miste alla filosofia greca; supposer quest'uomo invasato di non so che bile negra: malinconia, come la chiama tecnicamente Ibn-Rakîk. 94

“Niun dee misfare fuorchè il principe. La ragione di questo è che, ove gli ottimati e i ricchi si sentan possenti nei beni della fortuna, uom non vivrà sicuro dalla loro insolenza e malvagità. Se il re cessi di calcarli, ecco che si fidano; gli resistono; gli traman contro! In vero il succo vitale del principato è la plebe. 95Il signor che lasciassela opprimere, perderebbe l'utile ch'ei ne ricava; ed altri sel godrebbe, rimanendo a lui il sol danno.” 96Così parlava Ibrahim-ibn-Ahmed, vantandosi di abbattere la nobiltà arabica dell'Affrica: teorie e gergo molto ovvii, che rivelan sempre il tiranno di buona scuola. Sagacissimo fu veramente Ibrahim nelle cose di stato; uom di mente vasta e savia, quando non l'offuscava la sete del sangue. Ebbe genio alieno dalle scienze, dalle lettere e dalla poesia, ch'erano state in onore appo i suoi maggiori: e qualche versaccio ch'ei fece, come nato e cresciuto in una corte arabica, somiglia forte a quelli di Carlo d'Angiò, per la insipidezza e l'arroganza. 97In fatto di religione si mostrò osservatore del culto, più che delle pratiche di devozione; si ridea della morale quando non gli andava a' versi; ma era sopratutto intollerantissimo verso gli altri. Visse senz'amore, nè amicizia. Seguì voluttadi nella prima gioventù, e presto gli vennero a tedio; e allora incrudelì nelle donne più rabidamente che negli uomini; e le abborrì di strano e sospetto abborrimento. Violava in tutti i modi le leggi della natura.

A venticinque anni salì al trono per uno spergiuro. Mohammed, suo fratello, venendo a morte, lasciava il regno al proprio figliuolo bambino; commettea la tutela a Ibrahim; faceagli far sacramento di non attentar mai ai dritti del nipote, nè metter piè nel Castel Vecchio, ove quegli dovea soggiornare con la corte. E Ibrahim, nella moschea cattedrale del Kairewân, dinanzi gli adunati capi di famiglie di sangue aghlabita e i magistrati e notabili della capitale, giurollo solennemente; ripetè cinquanta fiate il tenor del giuramento, com'era usanza nelle cause criminali. Sepolto il fratello (febbraio 875), cominciò a regger lo Stato, ben diverso da lui, con somma forza e giustizia. Indi i cittadini del Kairewân a pregarlo di prendere a dirittura il regno: il che ricusò, pretestando suoi cinquanta giuramenti; e di lì a poco, noi sappiam come si fa, i buoni borghesi tornarono a supplicare più fervorosi, e Ibrahim non seppe dir no. Uscito di Kairewân alla testa del popolo in arme, occupava il Castel Vecchio; si facea gridar principe; e prestare omaggio di fedeltà dai notabili d'Affrica e da non pochi di casa d'Aghlab. Con tutta la bruttura dello spergiuro e della commedia che servì a ricoprirlo, Ibrahim non va chiamato usurpatore. Il dritto di primogenitura non era allignato mai appo gli Arabi; la designazione del principe antecessore, era abuso; la investitura del califo, ormai vana cerimonia; e il popolo, che potea deporre ed eleggere, partecipò alla tumultuaria esaltazione non sforzato, forse mezzo raggirato e mezzo no. Gli umori delle città contro l'aristocrazia militare, ci persuadono che la cittadinanza abbia francamente parteggiato per Ibrahim.

Severi, ma di rigor salutare, i primordii del regno. Trattando sempre dassè le faccende pubbliche, Ibrahim cessò i soprusi degli oficiali e governatori di province: rendea ragione ogni lunedì e venerdì nella moschea cattedrale del Kairewân, ascoltando con pazienza i richiami, e provvedendo immantinenti; diè di sua persona esempii di astinenza e pietà; ristorò la polizia ecclesiastica; sgombrò le strade dei ladroni che le infestavano; assicurò il commercio, spense i violenti e gli scapestrati. Si narra di lui che obbligasse la madre al pagamento di un debito, minacciando di lasciarla tradurre dinanzi il cadi: 98la madre, sola creatura umana rispettata da quel mostro. Attese molto alle opere pubbliche. A comodo dei cittadini, costruì un gran serbatoio d'acqua al Kairewân. Per magnificenza e pietà innalzò una moschea cattedrale a Tunis; e aggrandì quella del Kairewân; aggiuntavi inoltre una cupola che poggiava su trentadue colonne di marmo. Circondò Susa di mura. Compiè su la costiera del reame una linea di torri e posti di guardia, ordinata a far segnali coi fuochi, sì che in una notte potea tramandarsi avviso da Ceuta ad Alessandria di Egitto. 99Cotesta pratica antichissima era scesa con le tradizioni dell'impero infino ai Bizantini; i quali nella prima metà del nono secolo l'adoperavano a significare i tristi casi di lor guerre, da Tarso a Costantinopoli. 100E v'ha ragioni da credere ch'e' se ne fossero avvalsi anco in Sicilia, e che quivi avesserla appreso gli Arabi d'Affrica. 101

Innanzi ogni altra opera pubblica, Ibrahim avea costruito una cittadella, centro di gravità della tirannide ch'ei macchinava: fortezza ove porre sua corte e ordinar novelli pretoriani per disfarsi degli antichi, i liberti di casa aghlabita, ridotti nel Castel Vecchio, stati fin allora padroni del popolo e del principe. Fece por mano a' lavori il dugento sessantatrè (23 settembre 876 a 11 settembre 877), in luogo discosto quattro miglia dal Kairewân e chiamato Rakkâda, “Sonnolenta” come suona appo noi. 102Entro un anno, fornite le mura, innalzata una torre che addimandarono di Abu-'l-Feth, 103Ibrahim inaugurolla con sanguinoso tradimento. Era avvenuto che i liberti del Castel Vecchio tumultuassero contro di lui per aver fatto morire un di lor gente: e allora, ito loro addosso per comando d'Ibrahim il popolo della capitale, i liberti, vedendosi sopraffatti, avean domandato e ottenuto perdono. Ma il dì che dovean toccar lo stipendio, Ibrahim li chiama alla torre di Abu-'l-Feth; li fa entrare a uno a uno; disarmare; incatenare: e diè mano ai supplizii; ch'altri morì sotto il bastone, altri condannato a perpetuo carcere in Kairewân; altri bandito in Sicilia. 104In luogo dei liberti, comperò schiavi in grandissimo numero; prima negri, poi anco di schiatta slava: li vestì; li esercitò nelle armi; ne fece un grosso di stanziali, valorosi, induriti alle fatiche; 105massa di bruti della zona torrida e del settentrione disumanati dal servaggio e di più dalla disciplina. Così passarono i primi sei anni del regno; lodevoli del resto a detta di tutti i cronisti, i quali tenean forse necessaria la carnificina di Abu-'l-Feth. Poi sfrenossi a dar di piglio nella roba e nel sangue; peggiorando di anno in anno, come nota l'autore del Baiân . 106

Perchè, non bastando le entrate ordinarie dello stato a spesare gli stanziali, le fabbriche e la guerra che sopravvenne (an. 880, 881) contro un principe d'Egitto della dinastia usurpatrice dei Beni-Tolûn, era strascinato Ibrahim ai maltolti. L'anno dugento settantacinque (888-889) battè nuova moneta d'argento, che, rifiutata dai mercatanti del Kairewân, diè occasione a tumultuarie rimostranze, imprigionamenti, sollevazione: e Ibrahim, al solito, restò di sopra. Donde facea coniare altri dirhem e dinâr decimali, com'ei li chiamò, perchè i primi d'argento e i secondi d'oro stavano in valore come uno a dieci; e tolse di mezzo le buone monete dell'impero abbassida. 107Oltre questo espediente di finanza, ponea nuove gabelle; 108aumentava le tasse prediali e riscuoteale in danaro, non più in derrate; 109richiedeva i cittadini che apprestassero a servigio dello Stato loro schiavi e giumenti; in cento modi li espilava per accumular tesori. 110

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