Carlo Botta - Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo I
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- Название:Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo I
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Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo I: краткое содержание, описание и аннотация
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Sedeva a questi tempi, come abbiam già detto, sulla cattedra di san Pietro il sommo pontefice Pio VI, destinato dai cieli a sostenere il colmo della prospera, e dell'avversa fortuna. Il suo antecessore Clemente XIV da povero fraticello salito, per le virtù sue, alla grandezza del papato, aveva in tanta sublimità conservato quella semplicità di costumi, e quella modestia di vita, alle quali nella solitudine dei chiostri s'era avvezzato. Ciò parve a molti, in una Roma, nel primo seggio della Cristianità, ed in tanta non solo curiosità d'indagine, ma ancora inclinazione alla miscredenza, che nei popoli di quell'età molte evidentemente apparivano, cosa altrettanto intempestiva, e pericolosa, quanto era in se lodevole, e virtuosa; perchè ove gli argomenti non persuadono, le virtù non muovono, e per ultimo rimedio si deve por mano alla pompa, imperciocchè gli uomini facilmente credono esser la ragione dove vedono la grandezza: ed il rispettare è principio del persuadersi.
Questi pensieri tanto operarono nella mente dei cardinali, che, morto Clemente, chiamarono papa il cardinal Braschi, che già fin quando era tesoriero della camera apostolica aveva mostrato in tutte le azioni non ordinario splendore. Veramente erano in lui, forse più che in altr'uomo de' suoi tempi, molto notabili l'eccellenza delle forme, la facondia del discorso, la finezza del gusto, la grandezza delle maniere, procedendo in ogni affare con tanta grazia giunta a tanta maestà, che e la venerazione verso la persona sua, ed il rispetto verso la sede ne venivano facilmente conciliati. Vero è, che tale generosa natura dava spesso, come suol avvenire, nell'eccesso contrario; perchè s'era bello d'aspetto, voleva anche comparir tale, forse più che al suo grado s'appartenesse; l'eloquenza sua sentiva talvolta di eccessiva squisitezza, e la grandezza peccava non di rado di vanità; del resto arbitrario e sdegnoso, sopportava malvolentieri che altri ai voleri suoi si opponesse. Queste erano le qualità di papa Pio. Circa i costumi, e' furono non che non meritevoli di riprensione, degni di lode; e certe voci corse in questo proposito, piuttosto alla malvagità dei tempi che seguirono, che a verità debbonsi attribuire.
Ognuno crederà facilmente, che un pontefice di tal natura, sentendo altamente di se, doveva anche altamente sentire dell'autorità sua, e delle prerogative della sedia apostolica. Nè mancavano incentivi a queste inclinazioni. Covava allora fra quei cardinali, che non erano o dall'ignoranza offesi, o dall'ozio, o dalle morbidezze ammolliti, un disegno d'una suprema importanza per l'Italia, e quest'era di ridurla unita sotto un governo confederato, di cui fossero parte tutti i principi italiani, e capo il sommo pontefice. Principal autore di questo consiglio era il cardinal Orsini, uomo di natura piuttosto strana che no, ma dottissimo in materia canonica, ed assai caldo zelatore delle prerogative romane; se ai più pareva, che Gregorio VII avesse troppo detto e troppo fatto, pareva all'Orsini, ch'ei non avesse nè detto, nè fatto abbastanza. ( Gorani, Mémoires secrets des Cours d'Italie, t. II ) Pure, siccome da cosa nasce cosa, se il pensiere dell'Orsini circa la lega italica fosse stato ridotto in atto, avrebbe partorito effetti importanti, e dai papi potuto nascere la salute d'Italia, come pur troppo spesso n'è nata la rovina; perchè non sempre ebbero i papi il dovuto rispetto all'autorità temporale dei principi italiani; ed i principi italiani hanno sempre amato invidiarsi fra di loro, e chiamare, per ultimo rimedio, i forestieri in Italia piuttosto che pensare alla preservazione della comune madre. Quali effetti ne siano risultati e per loro, e per tutti, il mondo se gli ha veduti, e gl'Italiani non piangeran mai tanto, che non resti loro a piangere molto più.
Tornando ora al proposito nostro, non potendo Pio allargare, come avrebbe voluto, nè il dominio, nè l'autorità, perchè l'opinione era contraria, cercò di acquistar fama di splendido sovrano. Debbesi per prima e principal opera mentovare il prosciugamento delle paludi Pontine, se non a final termine condotto, certamente per la maggior parte eseguito con ispesa tanto enorme rispetto a stato sì angusto, con costanza tanto mirabile, che pochi esempi si leggono nelle storie degni di ugual commendazione.
Chiamano paludi Pontine una pianura di centottanta miglia quadrate, che si distende in lunghezza fino a ventisette, ed in larghezza fino a otto, più o meno, secondo i luoghi. Ella è terminata a greco dalle montagne della Spina, a piè delle quali sorgono le città di Terracina, Piperno, e Sezze; a maestro dalle colline di Velletri, e dai boschi della Cisterna, a libeccio; a scirocco, ed ad ostro dal mare.
Erano anticamente questi luoghi, e prima che diventassero tanto infami per aere pestilenziale, colti e salubri. Solo un piccolo padule vi si osservava vicino a Terracina. Fecevi nel quinto secolo di Roma il censore Appio la magnifica via, che ancora si chiama col suo nome. Ma spopolate le provincie per l'atrocità delle guerre, e fatti i terreni incolti, le acque stagnanti soprabbondarono, e sopraffecero ogni cosa. Poi Cetego consolo di nuovo prosciugando, le risanò. Ma le guerre civili le tornarono a peggior condizione; tanto che ai tempi d'Augusto la via Appia appariva sola in mezzo di quel vasto marese. Tentò Augusto, tentarono gl'imperadori suoi successori di ridurlo a sanità, e fecerlo; ma i Barbari, che sopravvennero, spensero, con tutti gli altri, anche questo segno dell'uman culto, e dell'opere d'ingegno. Così quelle pingui e vaste terre impaludate si rimasero fino ai tempi più moderni, in cui i pontefici romani Leone Primo, e Sisto Secondo applicarono l'animo a volerle prosciugare. Aprì il primo il gran portatore della torre di Badino, aprì il secondo il fiume Sisto, ch'è un canale artefatto, che attraversa le paludi per la lunghezza loro, ed è destinato a raccorre tutte le acque superiori per condurle al mare. Ma nè l'uno, nè l'altro di questi pontefici regnarono tempo, che bastasse a compir l'impresa. Sgomentaronsene i successori, o fecero tentativi inutili. Clemente XIII volle dare sfogo all'acque pel rio Martino, ma non potè, ritraendolo l'enormità della spesa. Finalmente non così tosto fu assunto al pontificato Pio VI, che pensò al prosciugamento delle Pontine. Quattro fiumi, l'Amazeno, l'Uffente, la Ninfa, e la Teppia, non trovando sfogo al mare verso Terracina, sono principalmente cagione dell'impaludamento. Rapini, ingegnere di grido, proposto da Pio alle opere, cavata la linea Pia, condusse le acque al mare pel portatore di Badino, cavò l'antico fiume Sisto, alveò l'Uffente, e l'Amazeno. S'abbassarono le acque, si scoversero i terreni, i colti si mostrarono dov'erano le paludi, la via Appia restituita ai viandanti. Tale fu l'opera egregia di Pio VI.
Non dimostrossi minore l'animo del pontefice negli ornamenti aggiunti all'antica Roma. Edificò la famosa sagrestia a lato alla chiesa di S. Pietro; opera certamente di molta magnificenza, ma forse di troppo minuta e troppo vaga architettura, se si paragona al grandioso stile della basilica di Michelagnolo. Dolsersi anche non pochi, che per fondare questo suo edifizio, abbia il papa ordinato, che si atterrasse l'antico tempio di Venere, al quale Michelagnolo aveva avuto tanto rispetto, che solo il toccarlo gli era paruto sacrilegio. Bellissimo pensiero di Pio altresì fu quello di persuadere, come aveva fatto già fin quando esercitava l'ufficio di auditore del Camerlingo, a papa Clemente, di ornar il Vaticano con un sontuoso Museo, il quale poi condotto a maggior grandezza da lui dopo la sua esaltazione, fu chiamato Pio-Clementino. Lo arricchì con gran numero di statue, busti, bassirilievi, ed altre anticaglie di gran pregio, alle quali non mancava mai il motto: dato dalla munificenza di Pio Sesto; vanità per certo molto innocente. Come nobile fu l'intento suo nel fondar il Museo, così nobile del pari fu il suo consiglio di volerne tramandare con eccellente rappresentazione di scritture, e di figure la memoria ai posteri. Nè fu meno commendabile l'esecuzione; imperciocchè, affidatane la cura, quanto alle figure, a Ludovico Mirri, e quanto ai comenti, ad Ennio Quirino Visconti, ne sorse quella bella descrizione del Museo Pio-Clementino, una delle opere più perfette, che in questo genere siano.
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