Anton Barrili - L'undecimo comandamento - Romanzo

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L'undecimo comandamento: Romanzo: краткое содержание, описание и аннотация

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– Ha detto questo, il priore? – domandò la signora Morselli.

– Per l'appunto, signora, e m'è sembrato abbastanza gentile. Non pare anche a lei?

– Sì, per un uomo che sfugge le donne, non c'è male. Continui, la prego.

– Questa, dissi io, è l'opinione della comunità; ma personalmente, quale concetto si formano delle donne? – "Signore mio, personalmente si sfuggono; si sono sfuggite. Ognuno di noi è venuto qua con la seconda vocazione. Si meraviglia di questa mia distinzione? Pure è naturalissima. Ogni uomo ha due vocazioni, nella sua gioventù. La prima, che è vera o falsa, senza che a tutta prima si possa discernere; donde vengono i tardi pentimenti, le smanie e le lunghe agonie del chiostro. Sant'Antonio, romito volontario nella Tebaide, raccolto da mane a sera nelle sue sante meditazioni, vedeva ad ogni tratto il demonio che assumeva tutte le forme de' suoi desiderii soffocati e delle sue ambizioni represse. Santa Teresa sofferse indicibili tormenti, rimpianse più volte il suo voto, e l'ardente misticismo della sua vita e le cagioni della sua morte provarono qual grande sacrificio avesse fatto, e certamente superiore alle sue forze. Non è da fidarsi della prima vocazione. Perciò, la società moderna fa bene a sopprimere, in quel modo che può, tutti gli ordini monastici, fondati sulla indissolubilità d'un voto pronunziato prima del tempo. La seconda vocazione è vera, perchè essa càpita all'uomo esperto nelle battaglie della vita, ed egli vi si abbandona con piena cognizione di causa. Non mi dicano male di questa vocazione e non muovano guerra a' suoi legittimi affetti; lascino a tutti i cuori feriti, a tutte le anime deluse, il loro rifugio nella solitudine, il loro conforto nella pace di un fraterno ritrovo." – "Come è vero!" gridai. La mia esclamazione gli piacque, poichè egli continuò, infervorandosi: – "Voi dunque lo vedete, o signore, ci siamo raccolti in parecchi, tutti colpiti dai medesimi disinganni. Eravamo tre, da principio, come la prima compagnia di san Bruno, e ci eravamo affratellati nei nostri dolori. Non già i dolori dei vent'anni, che son passeggeri come i nembi di primavera; bensì i dolori dei trenta, che hanno una radice più profonda e si nutrono nell'amara esperienza del mondo." – "Scusate, – interruppi, – voi qui parlate dei dolori che reca all'uomo un affetto infelice; ma l'uomo non vive soltanto per l'amore; c'è l'ambizione, potente diversivo; c'è il desiderio di esser utile al suo simile. La politica, per esempio…" – Non mi lasciò finire. E per quanto io m'immagini di far dispiacere al nostro ottimo signor sottoprefetto…

– Dica pure, dica pure! – rispose il cavalier Tiraquelli, a cui era dedicata quella sospensione rettorica.

– Sì, – ripigliò il duca di Francavilla, – a giudizio del mio interlocutore la politica e il desiderio di adoperarsi a pro' del suo simile, sono altrettante afflizioni di spirito. – "È vero, – mi rispose, – ad una certa età l'uomo incomincia a sentire questi filantropici stimoli, d'esser consigliere comunale, deputato, amministratore d'opere pie, membro d'un consiglio agrario, capitano della guardia nazionale…"

– Signor Prospero, – disse il sottoprefetto, interrompendo, non senza un perchè, il duca di Francavilla, – questa è per noi.

– Anzi, tutta per me; – replicò il signor Prospero. – Ma io non me ne lagno. Continui, signor duca, continui. —

Il duca di Francavilla rimase a tutta prima un po' sconcertato; ma intese benissimo che il sottoprefetto voleva offrirgli un appiglio a correggere con le sue note il discorso del priore di San Bruno.

– Non son io che parlo, è il priore; – disse egli; — relata refero , e ambasciatore non porta pena. Non è vero, signor Gentili?

– Gliel ho già detto; continui. Capitano della guardia nazionale lo ero così poco, che il giudizio di questo priore dei matti non potrebbe neanche risguardarmi. Del resto, io non sono un ambizioso pentito, – soggiunse con amabile ipocrisia il signor Prospero, – e senza mestieri di farmi frate.

– Torno dunque con animo tranquillo al priore di San Bruno; – ripigliò il duca di Francavilla. – "Appunto nella politica, diceva egli, toccano all'uomo le delusioni peggiori. Che cos'è la politica, e in genere la passione dell'uomo per la cosa pubblica? Per gli uni è soddisfazione di vanità personale, o giuoco d'interesse; per gli altri uno sfogo d'amor patrio, sentimento nobilissimo tra tutti. Lascio i primi, che non meritano neanche la nostra indignazione, e bado solamente ai secondi. Che conforto è il loro? Che onesta soddisfazione derivano dal tempo e dall'ingegno che sprecano e dalle amarezze che ingoiano? La persuasione di aver fatto opera inutile, oltre che sospetta. E allora vi domando io, con che animo consigliare ad un galantuomo di star saldo nel suo ufficio di palo, che non arresta nulla, e sarà egli stesso travolto? Avete osservata mai, – soggiunse il priore, – la corrente d'un fiume, in un giorno di piena? Rami, tronchi d'alberi, quanto è caduto sotto il gorgo invasore, va via rapidamente a fior d'acqua. Un ramo, un fuscello, quel che volete, lentamente si allontana dalla via diritta. Un vortice ha turbato il suo corso, un fiotto lo ha mandato fuori di strada. E quel ramo, quel fuscello, tentenna un istante, indi a mano a mano si scosta. Sono molti con esso, nella corrente del fiume; parecchi, come attratti da una forza irresistibile, tornano al mezzo, per essere travolti dall'onda; altri se ne allontanano sempre più, e riescono ad afferrare il punto in cui l'acqua, risospinta dalla piena, si ristagna, offrendo a quei rami, a quei fuscellini, un rifugio, un asilo. Io ho sempre pensato che quei fuscellini possiedano un'anima, la coscienza e la volontà di non essere travolti dalla corrente." – "Scusate, – interruppi, – ma l'acqua stagnante è limacciosa, solo la corrente è limpida." – "Volete dire che il mio paragone non corre? – ripigliò il priore, sorridendo. – Sia pure; rivoltatelo, fate che il torbido sia nel mezzo della corrente e il limpido sui lati. Oppure, non vedete nel paragone che il tumulto e la calma." —

– Caspiterina, che sfarzo di ragionamento, per dirle che hanno seguito il rumores fuge di Catone e che odiano il mondo! – esclamò il ricevitore del registro.

– No, mio signore; – rispose il duca di Francavilla; – non odiano il mondo, a rigore di termini. Anche su questo capitolo, come su quello delle donne, ci hanno le loro idee capricciose. – "Il mondo non è brutto, – mi diceva per l'appunto il priore; – il crederlo tale è un errore di coloro che hanno già la mania suicida nel sangue. Il mondo è quello che è, un complesso di bene e di male, con sovrabbondanza di male o di bene, secondo gli umori e la condizione di chi giudica. In ogni sua parte, il mondo può offrire qualche allegrezza, o qualche consolazione, come può offrirne la vita, in ogni classe sociale. L'uomo di senno, in qualunque condizione egli sia, a qualunque classe appartenga, misura il pro e il contro della sua partecipazione, non già con gli occhi dell'egoista, che bada a sè, ma con quelli del generoso, che vuol fare tutto ciò che è utile altrui. E lo fa, all'occorrenza, non badando a speranze di premio, nè guastandosi il sangue, se le trova fallaci; lo fa, sopratutto, perchè giova al suo simile, e solamente nel caso in cui egli è persuaso di giovare. Tra tutte le fatiche una sola è grave, l'inutile. E l'uomo, governandosi in quella guisa, senza sdegno, senza debolezze, senza vani rimpianti, cerca di mettere al sicuro la sua parte di felicità. Non vedete Cincinnato, che coltiva i suoi campi, e prima e dopo i ripetuti onori del consolato, della dittatura e dello interregno? Scipione Africano è inescusabile davvero, perchè va troppo tardi a digerire nella quiete di Literno gli amari bocconi che gli hanno fatto inghiottire i suoi concittadini. Se ci fosse andato prima, non lo avrebbero trovato superbo, nè arrogante, e non gli avrebbero dato del ladro, o poco meno, come fecero, con molto accanimento, in pubblica assemblea; ed egli, educando fiori in riva al suo lago, esule volontario e benevolo, non sarebbe morto arrabbiato." – Così parlò, signore mie, il priore di San Bruno, con molta bontà e senza quel tono cattedratico, che io, compendiando le sue parole, ho dovuto dare al discorso.

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