Anton Barrili - L'undecimo comandamento - Romanzo

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L'undecimo comandamento: Romanzo: краткое содержание, описание и аннотация

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– Vado ad avvertire il padre priore; – disse fratello Giocondo. – Intanto farò mettere le loro valigie nella foresteria.

– Benissimo! – rispose l'arcangelo in vacanza; e parve (mi scusi l'ombra dell'Ariosto, se guasto un verso all' Orlando ) e parve Gabriel che dicesse: ave.

Prima di andarsene di là, il frate converso diede una sbirciata ai due viaggiatori.

– Sarà un bel fratino, in fede mia! – diss'egli tra sè. – Ma lo accetterà il priore, che vuole la seconda vocazione? Speriamo che il su' babbo ne abbia per due; – soggiunse, pensando al più vecchio dei nuovi venuti. – Quello là è uomo da prendere di primo acchito il posto di cantiniere. – Il parlatorio era, come tutti i parlatorii di frati, una stanza seminuda e fredda. – Nè i laici regolari, che avevano preso il posto dei Camaldolesi, si erano dati pensiero di abbellire quella parte dell'edifizio; una tavola di noce contro il muro, otto seggioloni in giro, un quadro scorniciato alla parete, erano tutti gli arredi della stanza. Il quadro rappresentava Mastino II della Scala; un uomo dalla barba di color castano, con un berrettone di pelo in testa, il sorcotto rosso sulla maglia di ferro, e la faccia veduta di profilo, forse per lodevole intendimento del pittore di far sapere alla posterità che quel pessimo arnese non aveva il tipo greco. Che diamine faceva Mastino II nel parlatorio di San Bruno? Quel che fanno tanti vecchi ritratti nelle case moderne. Avanzi di eredità trapassate più volte, compre fatte da un antenato in un momento di buona luna, non si sa il più delle volte chi siano; o quando si sa, resta il dubbio intorno alla strada che hanno fatta per giungere in casa.

Non c'era da guardar nulla, in quel ritratto, almeno cent'anni più giovane del suo originale. Veduto il nome di Mastino II, che era scritto a lettere gialle nel fondo del quadro, secondo il costume del quattrocento, il più giovane dei due viaggiatori si volse all'altro, e sorrise ammiccando, come se volesse prendersi spasso di lui.

– È proprio così? Non si ritorna indietro? – gli chiese quell'altro, con un piglio malinconico che faceva un bizzarro contrasto con la sua florida cera.

Il giovine aggrottò le ciglia in atto di chi non vuol sentire osservazioni ed è lì lì per escire dai gangheri.

– Zio, te l'ho detto; o fai a modo mio, o mando giù un veleno. Bada a te, di qui non si sfugge.

– Ma vedete un po'! – disse quell'altro, salutato col nome di zio. – Son dilemmi da farsi?

– Eh, sicuramente; quando si ha a fare con un ostinato come te!.. Al polo, no; all'equatore nemmeno…

– Ma era un'impresa da matti! – esclamò il povero uomo.

– Non esciamo dunque di strada; – ribattè il giovine, crollando la testa con un piglio d'autorità consapevole; – eccoci a casa nostra, nel convento dei matti. – Con quel biondo cherubino non si poteva vincerla nè impattarla. Lo zio fece come Giacobbe nella sua pugna con l'angelo; si diede per vinto ed alzò gli occhi al cielo, in atto di offerta e di rassegnazione, ma non senza aver data una sbirciatina malinconica all'occhiello del soprabito, che sarebbe rimasto vergine del brigidino commendatorio. E sospirò, tra un'occhiata e l'altra.

L'uscio del parlatorio si aperse e fratel Giocondo annunziò la venuta del priore. Lo zio, ricordandosi d'essere stato capitano della guardia nazionale, assunse un'aria dignitosa, se non a dirittura marziale. Il nepote scosse leggiadramente la sua zazzerina bionda, compose le labbra ad un sorrisetto malizioso e volse gli occhi all'entrata, per ricevere la prima impressione.

C'era un fil di ridicolo in quella condizione di laici che volevano parer frati. Ma bisogna dire ad onor loro che non si curavano affatto di ciò, e che la noncuranza prendeva carattere di dignità. Vivevano in quella solitudine non cercando nessuno; chi ci andava doveva accettarli come volevano essere. Frati o non frati, avevano scritta sulla porta del monastero la sentenza inventata dal Rabelais: Fais ce que voudras , e non si occupavano d'altro.

Il padre Anacleto, degno priore di San Bruno, non era grave che a mezzo, e portava con disinvoltura cavalleresca la sua tonaca lunga, di color tabacco. Aveva la barba nera, finissima, un po' rada e corta sulle guance, i capegli riccioluti e lucenti, la fronte ampia, lo sguardo aperto, il naso diritto e fine, il labbro sottile e vermiglio. Il primo sentimento che destava a vederlo, era di schietta simpatia; il secondo di stupore e di curiosità. Come poteva essere che un uomo così giovane e d'aspetto così piacente si fosse dato ad un genere di vita, che era una rinunzia anticipata a tante allegre vittorie? Ma guardandolo attentamente, nel corso della conversazione, si notavano alcune rughe sottili sulla fronte, le quali talvolta si raccoglievano a fascio nel mezzo delle sopracciglia; si vedevano certe contrazioni improvvise di labbra, certe nubi di tristezza sugli occhi, e si capiva allora che quell'uomo era vissuto molto in breve spazio di tempo, e che le burrasche della vita potevano aver fatto assai più che solcargli la fronte, o adombrargli lo sguardo.

Aveva in mano la sua berretta di velluto, e la sporse avanti, in atto di salutare, mentre con una occhiata cercava di abbracciare i due visitatori e di coglierne a volo i pensieri.

– In che posso servire le Signorie loro? – dimandò, poichè li ebbe invitati a sedere.

Lo zio aperse le labbra per rispondergli, ma non gli venne fatto di spiccicare una sillaba. Perciò, rinunziando ad una impresa che vedeva superiore alle sue forze, si volse al nepote con la muta preghiera dello sguardo. L'arcangelo in vacanza crollò leggermente le spalle, in atto di stizza non potuta nascondere, per quella che gli pareva una insigne debolezza d'animo, e rispose tutto d'un fiato:

– Signore, siamo due che vogliamo ascriverci alla regola di San Bruno. – Il priore sorrise, e, con accento pacato che non escludeva un senso d'arguzia, ripigliò:

– Si dice San Bruno per mo' di dire. Ma sanno proprio le Signorie loro di che cosa si tratta? L'ordine è forse un tantino burlesco nella forma, poichè non siamo frati, ma è serio nella sostanza, poichè abbiamo una parola d'onore, la quale ci obbliga come il più solenne dei voti.

– Lo sappiamo; – replicò l'arcangelo. – Si vien qua per vivere fuori del mondo, non curando le sue vanità dolorose.

– È vero, – disse il priore, inchinandosi, – ma non è tutto il vero. Ciò ch'Ella dice, mio giovine signore, ognuno di noi potrebbe farlo da sè, ritirandosi per sua elezione a vivere in campagna. Qui, invece, viviamo uniti, foggiandoci il nostro piccolo mondo, riveduto e corretto, senza le noie del grande, ma con tutto il buono, con tutto l'utile che può trovarsi nella vita. Rinunziamo agli affetti pericolosi che lasciano tracce di dolore e di amarezza, ma vogliamo e pratichiamo la carità fraterna, che è un santo bisogno del cuore: rinunziamo alle ambizioni, ma ci dedichiamo allo studio, che affina l'intelligenza ed è poi il naturale ufficio dello spirito.

– Lo sappiamo, padre, e Le domandiamo di poterci dedicare con Lei a questo genere di vita.

– Ma badi; – osservò il priore. – È un genere di vita più alto, o più umile, secondo si guarda, ma certamente diverso da quello che si fa generalmente e a cui c'indirizza la nostra educazione e l'ardore delle nostre passioni. Perciò, a non aver pentimenti, è necessaria una vocazione sincera, e riconosciuta tale, mercè il confronto, che può farsi solamente quando si è vissuto a lungo tra gli uomini. Non basta un desiderio onesto di pace, o una poetica aspirazione alle squisite compiacenze della solitudine; è necessario che il desiderio sia profondo e l'aspirazione provata nei disinganni della vita. Che il mondo offra amarezze e dolori in molto maggior numero e quantità dei piaceri e delle consolazioni, è cosa nota oramai, e può esser creduta anche, sulla fede dei vecchi, da coloro che non ne hanno fatta la triste esperienza in sè medesimi. Ma altro è l'accettare per vera una massima, altro il conformarvi tutta quanta la vita. Si conosce il bene e si loda, ma ci si attiene al peggio, o ci si torna quando fa comodo. Da questo rifugio, invece, non si ritorna più indietro. Donde la conseguenza che ci si debba venire… (mi scusi, ma la franchezza è necessaria)… che ci si debba venire ad una età più matura, che non sia, per esempio, la sua.

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