Vittorio Bersezio - La plebe, parte I
Здесь есть возможность читать онлайн «Vittorio Bersezio - La plebe, parte I» — ознакомительный отрывок электронной книги совершенно бесплатно, а после прочтения отрывка купить полную версию. В некоторых случаях можно слушать аудио, скачать через торрент в формате fb2 и присутствует краткое содержание. Жанр: foreign_antique, foreign_prose, на итальянском языке. Описание произведения, (предисловие) а так же отзывы посетителей доступны на портале библиотеки ЛибКат.
- Название:La plebe, parte I
- Автор:
- Жанр:
- Год:неизвестен
- ISBN:нет данных
- Рейтинг книги:4 / 5. Голосов: 1
-
Избранное:Добавить в избранное
- Отзывы:
-
Ваша оценка:
- 80
- 1
- 2
- 3
- 4
- 5
La plebe, parte I: краткое содержание, описание и аннотация
Предлагаем к чтению аннотацию, описание, краткое содержание или предисловие (зависит от того, что написал сам автор книги «La plebe, parte I»). Если вы не нашли необходимую информацию о книге — напишите в комментариях, мы постараемся отыскать её.
La plebe, parte I — читать онлайн ознакомительный отрывок
Ниже представлен текст книги, разбитый по страницам. Система сохранения места последней прочитанной страницы, позволяет с удобством читать онлайн бесплатно книгу «La plebe, parte I», без необходимости каждый раз заново искать на чём Вы остановились. Поставьте закладку, и сможете в любой момент перейти на страницу, на которой закончили чтение.
Интервал:
Закладка:
– Io ho qui intorno al fronte un cerchio di ferro arroventato che m'arde e mi costringe in questa poca sfera lo spirito immortale… Oh! se potessi allargare il mio cranio!.. Se non fosse di questo cerchio, il mio spirito ha penne tali da pervolare tutto l'infinito degli spazi, di mondo in mondo, di sole in sole, di plaga in plaga di questo gran circolo della creazione che ha il centro dapertutto e la circonferenza in nessun luogo… sino ad andar posare il capo sulle ginocchia di Dio! Questo cerchio fatale che mi stringe la fronte, lo sapete? gli è il Zodiaco. I suoi segni mi danzano intorno un trescone d'inferno… Li sento che mi cantano: – «Tu se' schiavo qui, tu se' condannato alla nostra carcere… va là, va là che hai da gingillarti per un pezzo in una burlesca contraddanza fra il cancro e lo scorpione!» Pazienza! Fate fiammare la vaporiera. Io corro il mio regno su d'una via ferrata fatta sull'etere cosmico. Voglio visitare la Vergine che è l'innocenza, e la Libbra che è la giustizia; ma la seconda fu trovata coi pesi falsi, e la prima s'è acconciata a stare in via de' Pelliciai… Il mio regno! È quello del pensiero; quello dove si gettano i germi del vero, nasce il sofisma e si raccoglie la confusione… Inchinatemi. Io sono l'ingegno dell'umanità dagherotipato sulla lastra d'un uomo. Datemi la penna. Essa è il mio scettro; in mia mano avrà ad essere una spada d'Alessandro da troncare l'eterno nodo gordiano dell'astruso problema che è la società all'uomo, che è l'uomo a se stesso.
Selva affissandosi nella faccia contratta del vaneggiante, disse:
– Poverino! Qui c'è uno squilibrio delle forze intellettuali colle fisiche.
– In altri termini, soggiunse Romualdo, gli è pazzo per davvero.
– Non tardiamo a domandare un medico: disse Vanardi; e la sua osservazione fu trovata la più giusta.
Il medico, venuto sollecitamente, pronunziò:
– È una famosa febbre cerebrale, e bisogna in fretta in fretta salassare alla brava.
Rosa, la moglie del pittore, da quella buona donna che era, si piantò al capezzale del malato, e gli fece un'assistenza da suora di carità. Francesco Benda, senza pur dire una parola agli amici, provvide del suo ad ogni spesa. Il giovane fu salvo per allora; ma il medico, dando siffatta assicurazione a Giovanni Selva che ne lo interrogava con molto interesse, come quegli che aveva posta una subitamente profonda affezione nello sconosciuto; il medico soggiungeva:
– È salvo per ora; ma il germe del male non è distrutto. Quello è un organismo che porta seco un elemento potente di sua distruzione, il quale alla prima circostanza opportuna può scoppiare di nuovo ed accopparlo. Deve aver sofferto troppo.
Maurilio (poichè desso era il giovane raccolto da Selva), salvato di quella guisa dalla morte per opera di Giovanni prima, di tutti gli altri di poi, circondato d'ogni amorosa cura, entrò in quell'amichevole consorzio, ne divenne anzi parte essenziale, ne fu amato come si ama una buon'opera nostra, ed amò come glie ne faceva obbligo la riconoscenza che era il solo ripago ch'egli per allora di tanto bene fattogli potesse dare.
Quand'egli fu guarito del tutto, con una semplicità di nobile orgoglio, disse agli amici:
– Ora aiutatemi a trovar lavoro.
Selva gli propose di collaborare con lui nelle sue opere letterarie; Maurilio sorrise un po' amaramente.
– Io vorrei, diss'egli, un lavoro che fruttasse il pane; e la nostra letteratura del giorno d'oggi non è tale.
Aveva una bella calligrafia. Si fece scrivano. Ebbe la fortuna di conoscere un causidico che gli diede atti di lite da copiare. La sua sollecitudine nel lavoro e la nitidezza della sua scrittura valsero a fargliene avere di molto di questa bisogna; e fra il copiare e il tener le ragioni di qualche mercatante, dandoci dentro al lavoro giorno e notte, era giunto a guadagnarsi dalle ottanta alle cento lire al mese.
Risanato, Maurilio non era mai più venuto in propositi che somigliassero a quei suoi farnetichi del primo giorno; ed ogni qualvolta Selva aveva voluto metterlo in siffatti discorsi, egli o s'era allontanato, od aveva pregato lo lasciasse tranquillo.
Parlava di rado; talvolta calava a sorridere e barzellettare; era buono, affettuoso, gentile il più spesso; ma a tratti, senza un visibile perchè, si faceva aspro, triste e scontroso. Allora la sua taciturnità s'accresceva, come pure la scarna pallidezza delle sue guancie, stava in sè, solo il più che potesse, presso che l'intiera notte vegliava passeggiando, quasi non mangiava, e si dava per disperato all'opera manuale del copiare. Sulle prime gli amici avevano cercato svagarlo e rompergli quegl'insulti splenetici di indefinita, profonda melanconia, ma poi, visto che gli era peggio, lo compativano, tolleravano, e vedendolo soffrire, soffrivano ancor essi.
Quando l'avevan visto, oppresso da troppo lavoro, starne le tante ore col petto incurvato al tavolino, in danno della sua salute, ne l'avevan voluto dissuadere, ma invano: gli avevano offerto con insistenza il loro aiuto, ed invano eziandio.
– Lasciatemi fare: diceva egli. Ne ho bisogno. La mano si affatica, ma la testa riposa. Se fossi stato robusto da tanto, avrei preso volentieri in mano la stiva dell'aratro, e sarei stato più utile al mondo.
Selva lo rimproverava alcune volte di che, con tanto ingegno quanto era il suo, nulla facesse, nulla imprendesse, nulla tentasse da recar fama al suo nome e giovamento al mondo.
All'udir menzione della fama lo strano giovane sorrideva compassionevolmente e recitava i versi di Dante: «Non è il mondan rumore altro che un fiato, ecc.»
– Che cosa cale a me della fama? Il mio nome è nulla , voglio essere tale. Non è un nome degno di risuonare nei secoli. Giovamento al mondo? quello sì lo vorrei. Ma se niente opero gli è perchè niente mi si presenta ch'io possa fare utilmente. Intanto penso.
Ma da qualche tempo l'occasione pareva venuta di poter fare alcuna cosa. Un'opera lentamente preparata era sul punto di vivamente intraprendersi con infinito ardore e colle più lusinghiere speranze. Gli amici tutti di Maurilio si erano ad essa consecrati col più vivo trasporto dell'anima; ed ancor esso vi si era accinto, ma con un certo maggior riserbo che non era freddezza ma quasi una preoccupazione di quesito diverso e forse anco superiore.
Quale fosse quest'opera lo vedremo tosto.
Entriamo intanto nella stanza che ho detto, la quale era appunto quella abitata da Maurilio, e vediamo insieme i quattro amici raccolti.
CAPITOLO XII
Maurilio rispose appena al saluto degli amici, gettò a casaccio sopra un attaccapanni il suo mantello fradicio e il suo cappello coperto di neve, e s'accostò al fuoco di cui guardava la fiamma vivace con una specie di desìo e d'amore. Senza profferir parola staccò dalla parete una pipa, la caricò di tabacco, l'accese con un ramoscello di legna ardente che tolse dal fuoco, sedette presso presso al camino, pose i suoi piedi bagnati nella calda cenere ed appoggiando i gomiti alle ginocchia, la faccia alle mani, stette lì, avvolgendosi nelle nubi di fumo della sua pipa, fissando lo sguardo nelle capricciose oscillazioni della fiamma crepitante.
Romualdo, Selva e Vanardi parevano ancor'essi sopra pensiero. Una certa aspettazione inquieta si dipingeva nelle loro franche ed aperte sembianze. Non parlavano, non lavoravano, non leggevano. La loro allegria naturale scorgevasi esser trattenuta e doma da qualche preoccupazione più che grave.
Dopo un poco Giovanni Selva si alzò e venne presso al camino ad accendere ancor egli il suo sigaro che gli si era spento in bocca.
Si chinò verso il fuoco per raccattar colle molle un pezzetto di brace accesa, e guardò di sottecchi la faccia scura di Maurilio, che si arrostiva immobile al calore di quella vampa.
Читать дальшеИнтервал:
Закладка:
Похожие книги на «La plebe, parte I»
Представляем Вашему вниманию похожие книги на «La plebe, parte I» списком для выбора. Мы отобрали схожую по названию и смыслу литературу в надежде предоставить читателям больше вариантов отыскать новые, интересные, ещё непрочитанные произведения.
Обсуждение, отзывы о книге «La plebe, parte I» и просто собственные мнения читателей. Оставьте ваши комментарии, напишите, что Вы думаете о произведении, его смысле или главных героях. Укажите что конкретно понравилось, а что нет, и почему Вы так считаете.