Vittorio Bersezio - La plebe, parte IV
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Ora le donne di quello stampo perdonano assai poco altrui che le abbiano per indifferenti, meno ancora che le si trovino uggiose. Gli amori di Valpetrosa e di Aurora ebbero quindi intorno una schiera di nemici congiurati a loro danno.
Un bel giorno il vecchio marchese ricevette in mezzo agli scherzi agrodolci d'una leggiadra signora la rivelazione delle pretese sopra la figliuola dei Baldissero di quel forestiere che non si sapeva come fosse nato e che sentiva orribilmente di liberale le mille miglia lontano. Il marchese era amico dei mezzi spicci ed assolutisti, ordinò che Aurora non sarebbe uscita più in quelle occasioni nè andata in quei luoghi, dove e quando ci era probabilità potesse incontrare quel cotale: ebbe a sè suo figlio e senza scendere a spiegargliene il motivo, gli comandò rompesse ogni attinenza con quel Valpetrosa e sopratutto si guardasse bene dall'accoglierlo ancora una volta in casa. Il figliuolo rispettosamente volle opporre a questo comando, non resistenza, sibbene qualche considerazione soltanto; ma a' suoi cenni il vecchio marchese non ammetteva pure un indugio nell'ubbidienza: e siccome gli parve che il figliuolo non avesse troncato secondo suo ordine ogni relazione con colui e continuasse eziandio a frequentare quel circolo di liberali che a lui erano cari come il fumo negli occhi, domandò al re ed ottenne che l'erede del suo nome e del suo titolo fosse mandato sollecitamente a Madrid, come addetto a quell'ambascieria.
Il fratello d'Aurora partì e sventuratamente, senza aver nulla appreso nè nulla scoperto del reciproco amore di Valpetrosa e di sua sorella; e intanto fra questi, come sempre avviene, gli ostacoli frapposti ne accrescevano l'impeto e la fiamma della passione. Col denaro che il giovane milanese spendeva così liberalmente, gli fu facile acquistare degli alleati, dei complici nella casa stessa del marchese di Baldissero, intorno alla fanciulla da lui amata, e questi furono una cameriera specialmente addetta al servizio della marchesina Aurora e lo stesso intendente che aveva tutta la fiducia del marchese, il signor Nariccia. Questi non aveva tanto preso il suo tempo dagli affari della nobil casa che lo pagava, da non poter pensare tuttavia a mandare innanzi per suo conto certi traffichi con cui preludiava a quella sua condotta d'usuraio ch'egli impudentemente chiamava professione di banchiere. Valpetrosa che era venuto a Torino con molte lettere di credito per somme assai vistose, aveva pensato accorto partito il rivolgersi a questo cotale per lo sconto e la conversione in denari di quegli effetti, e Nariccia il quale aveva visto in ciò un buon guadagno, vi si era prestato con una certa premura, con una facilità, con uno zelo, che pel forestiero riescirono come una fiorita gentilezza ed avviarono fra di loro una certa fiduciosa attinenza che ben poteva dirsi amichevole.
Nariccia era diventato proprio il banchiere di Valpetrosa; egli teneva di costui in deposito le somme tutte in conto corrente, e veniva rifornendolo tratto tratto di denaro, mentr'egli per le tratte stategli rimesse era al di là di guarentito lucrandovi ancora interessi e sconto e diritto di commissione, e va dicendo.
Di questa guisa era capitato che al giovane venisse un giorno la infelice idea di confidare il suo amore a quest'uomo e cercare da lui consiglio ed aiuto. Nariccia per sapere il segreto di Valpetrosa, non aveva bisogno di questa confidenza, perchè era troppo accorto osservatore egli stesso e la cosa erasi fatta troppo oramai palese a troppi perchè la ignorasse, ma fece tuttavia come se la gli giungesse la più nuova del mondo. Al giovane, il quale, credendolo molto addentro nelle grazie e nei segreti del marchese, lo interrogava se dovesse mai avventurarsi a fare al marchese la domanda della mano di Aurora, egli rispose, ciò che era pure la giustissima verità, come il vecchio, superbissimo nobile, non avrebbe altrimenti accolto che quale un oltraggio siffatta richiesta da chi non potesse vantare tutti i voluti quarti di nobiltà, pensasse che direbbe a Valpetrosa quando questi avesse dovuto confessare di essere figliuolo d'un fabbricante di pannilana! Il giovane amante d'Aurora che era di umore vivacissimo e di spiriti più che audaci, decise in conseguenza non esporsi alla superba ripulsa, a cui non egli sarebbe stato capace di rispondere con calma, e giurò pur tuttavia che la fanciulla, a dispetto di tutto e di tutti, gli avrebbe appartenuto.
Nariccia medesimo, divenuto suo confidente e consigliere, fu quello che lo aiutò ad entrare in intimi rapporti con Modestina Luponi, la cameriera di Aurora, e seppe in questo modo tutto quello che avvenne fra i due giovani amanti. Tre mesi dopo la partenza del fratello di Aurora per la Spagna, la nobile figliuola dei Baldissero, posseduta da una irrifrenabile passione, aveva fatto padrone di sè, del suo avvenire, dell'onor suo il seducente giovane, il quale coll'intensità e la sincerità dell'amor suo meritava pure un tanto di lei sacrifizio.
La rivoluzione intanto era prossima a scoppiare. Valpetrosa doveva, secondo gli accordi presi coi congiurati, recarsi alla sua città natale e spingerla ad insorgere contro lo straniero per concorrere alla gran causa della libertà e dell'indipendenza della patria. Per lui separarsi da Aurora, e per quest'essa l'essere lontana dal suo amante era insopportabile pure al solo pensiero: egli parlò di fuga; la fanciulla resistette alcun tempo, esitò di molto, ma cedè finalmente. Stava per diventar madre, e questa sua condizione non poteva più celarsi a lungo oramai. La vergogna, il timore della tremenda collera paterna, la mancanza assoluta di persone affezionate in cui confidare e da cui prendere consiglio non le lasciarono campo a pure veder possibili altri partiti, acconsentì, ed una notte usciva ella furtivamente dal palazzo di Baldissero colla Modestina sua cameriera, complice e mezzana, e salita in una carrozza ferma ad una cantonata vicina, nella quale Valpetrosa stava aspettandola, partivasi con lui alla volta di Milano.
Ella dalla casa paterna non recava con sè nulla, nè gioielli, nè denari (ed era stato il suo amante eziandio a voler così), fuor quelle poche robe che vestiva ed alcuni oggetti suoi particolari che le erano preziosi, fra cui un rosario d'agata, memoria di sua madre morta.
Prima cura di Valpetrosa, appena furono i fuggitivi fuori di ogni pericolo di venir raggiunti, innanzi di condurre Aurora in presenza di sua madre, fu quella di sposar la sua amante, di far consecrare dalla benedizione del sacerdote, ai piedi dell'altare di Dio, quell'unione che tra di loro già avevano giurato eterna; così che entrando nella casa della genitrice potesse dire a quest'essa senza punto menzogna:
– Ecco mia moglie. Abbila qual figliuola.
La madre di Valpetrosa era donna di senno, di prudente carattere, d'indole un po' asciutta, cui le molte traversie della vita che aveva dovuto sopportare avevano resa taciturna, cupa anzi che no, aspra talvolta eziandio. Amava ella immensamente suo figlio senza fallo; e inoltre in lui riconosceva il capo della famiglia, il proprietario delle domestiche sostanze, e il padrone di soddisfare come gli piacesse i suoi onesti desiderii; ma quest'autorità del suo Maurilio ella per prudenza e per affetto voleva temperata da' suoi richiami, dalle sue obbiezioni; e siccome il giovane, di carattere alquanto svagato e leggero, non soleva dare alle parole di lei tutto il rilievo che ella avrebbe voluto e che si meritavano, soleva la madre punirnelo con un broncio che si dileguava poi, ad ogni momento che il figliuolo volesse, sotto le carezze e le dolci parole di lui.
E sarebbe stato invero un gran bene per tutti che sul giovane la madre avesse avuto più impero ed autorevolezza da impedirgli col positivo cenno e non soltanto coi consigli, ascoltati scherzando il più sovente e dimenticati poi tosto, lo sciupio delle famigliari fortune. Ma questa autorità la buona madre non credeva d'averla, non seppe e non pensava neppure poterla acquistare. Le condizioni in cui era quando il matrimonio col padre di Maurilio la fece entrare in quella casa; le condizioni cioè d'una povera operaia che non aveva di ricchezze che la sua avvenenza e la sua virtù, congiunte alla sua indole un po' timida, un po' permalosa, l'avevano fin da principio messa in un certo stato di sommessione e di dipendenza riguardo al marito, uomo operoso e procacciante, volontà ferma ed imperiosa, natura audace e piuttosto inchinevole a piegare e guidare e dirigere a suo senno le individualità altrui, che più deboli lo avvicinassero. La moglie di fatti, di lui, delle cose e degli interessi domestici seppe quello soltanto che a lui piaceva comunicarle, ed egli aveva sempre trovato superfluo il comunicarle gran che. La fabbricazione e il commercio dei pannilana da lui esercitati parevano prosperare il meglio possibile e mercè i grossi guadagni venir formando alla famiglia un enorme patrimonio. Era credenza comune in tutta Milano; ed era anco quella della madre di Maurilio che non vedeva, non pensava, non prendeva manco la fatica di immaginare diverso e più in là.
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