Vittorio Bersezio - La plebe, parte IV

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Per la nobile figliuola dei Baldissero già cominciava la crudele epoca delle delusioni; dalle serene regioni dell'ideale dove s'inebriava di vaghe chimere l'anima sua, veniva ella precipitando nell'aspro mondo della realtà, e per affarsi a questo nuovo ambiente ond'era avvolta conveniva le si strappassero dintorno le antiche abitudini, dalla mente le antiche idee e le si venissero facendo a poco a poco, quasi direi, una nuova carne, un nuovo spirito. Bene l'aveva il suo amante chiarita dapprima delle proprie condizioni, ed adombratole il destino ch'egli poteva offrirle; ma come avrebbe potuto dipingerle con esatti colori la verità, mentre egli medesimo non era tuttavia ben conscio di questa stessa verità? Inoltre cosiffatti discorsi tenuti di fuggita in ratti colloquii, fra due proteste d'amore, usciti dall'appassionato labbro dell'uomo che vi ama, come potrebbero agli occhi d'una innamorata fanciulla, inesperta del mondo, vestire le giuste sembianze della realtà? Aurora, dietro i detti di Valpetrosa, aveva si pensato ad un'esistenza modesta, ritirata, anche povera; ma rallegrata pur sempre dalla divina luce di quel loro amore, ma vista traverso quell'immenso desiderio comune di unire le loro sorti, codesta esistenza si lumeggiava di certe poetiche tinte, si ornava del pregio d'un sacrifizio nobilmente sostenuto, onde si compiacevano lo spirito romanzesco e il generoso istinto di quella eletta e leggiadra creatura. Ella non aveva menomamente pensato, perchè non poteva in nessun modo supporle, alle piccole volgari contrarietà d'una vita domestica in ristrette condizioni, alle fastidiose tribolazioni d'una lotta intestina, alle punture di spillo d'una suocera inasprita; e quando la si trovò in mezzo a tutto ciò, ebbe in fondo all'anima una pena ed uno scoraggiamento, cui, volendo nascondere, sentì più forti, e che, se non furono un pentimento, s'accostarono di molto ad un rimorso.

Durava tuttavia, e nelle stesse proporzioni, l'amor suo per l'uomo a cui aveva sacrificato ogni cosa; ed egli si mostrava e mantenevasi degno pur sempre di tanto affetto. Se Valpetrosa avesse potuto dare tutto il suo tempo, o la maggior parte almeno, al dolcissimo compito di circondare dell'amor suo l'anima e l'esistenza della sua giovane sposa, qual traversìa, qual contrarietà avrebbe ancora avuta tanta forza da penetrare sino al cuore di lei, difeso da sì cara e potente armatura? Ma le bisogne della congiura esigevano imperiosamente il tempo, le cure, la mente tutta di Maurilio Valpetrosa, che nella rischiosa intrapresa aveva impegnati la sua più dominatrice idea, le sue più forti aspirazioni, il più solenne suo giuramento. Aurora, per forza trascurata, rimaneva sola, in casa, senza trammezzo nessuno, alla presenza della suocera ostile, al contatto delle uggiose volgarità, all'inevitabile paragone del suo presente col passato.

Si ritraeva ella nella camera coniugale, così infaustamente disertata dal marito, e si affondava nelle più dolorose meditazioni dei suoi casi. La sua colpa, della quale il trasporto dell'amore le aveva dapprima velata la gravità, allora le appariva d'una inesprimibile enormezza. Vedeva la faccia sdegnata di suo padre improntata d'una severità che non perdona; le pareva d'udire suonare da quel labbro superbo la maledizione sul suo capo; pensava eziandio a sua madre morta, e si figurava con ispavento vederla ella stessa, che pure l'aveva amata cotanto, sorgere dal suo sepolcro e lanciarle un'inesorabil condanna. Correva allora a prendere quel rosario d'agata che aveva portato seco, unico ricordo della spenta genitrice, e lo baciava implorando perdono, e, gettatasi in ginocchio, pregava. Poi piangeva, e correva il suo pensiero all'amoroso fratello colaggiù nella Spagna. Che cosa avrà detto del fallo di sua sorella? pensava la misera. Certo si sarà unito ancor egli a tutti gli altri a condannarla e maledirla. Sentiva coll'immaginativa il coro di riprovazione che aveva dovuto levarsi nella nobile società torinese, in tutta la cittadinanza, allo spargersi della scandalosa novella della sua fuga; arrossiva e tremava, tutto sola, a questo pensiero, e si copriva colle mani la faccia e si diceva con infinito tormento: – «Nessuno, nè anche mio fratello, non ha diritto di impor silenzio a quelle voci che affermano il mio disonore.»

Ma pure il fratello, ella sperava, sapeva che non si sarebbe congiunto cogli altri ad imprecare su di lei. Egli l'amava tanto! Se c'era anima al mondo in cui potesse entrare un sentimento di compassione per essa, insinuarsi un generoso impulso di perdono, era quella. Dov'essa Io avesse pregato intercessore fra lei e suo padre, non egli si sarebbe rifiutato all'opera pietosa. E se a lui scrivesse?.. Ah! no; era inutile. Intercessione veruna non avrebbe giovato mai a placare la giusta collera paterna, ch'ella immaginava seco stessa tremando. Quando erasi partita aveva pure pensato un istante di lasciare pel padre un motto che umilmente supplicasse perdono; e non aveva nemmanco osato vergarlo. Ora gli parve che pur tuttavia al fratello potesse e dovesse assolutamente dirigere una parola; scrisse a Madrid e stette ansiosamente aspettando risposta.

Infelice! Ella non prevedeva quanto crudeli e fatali avrebbero avuto ad essere le conseguenze di questa sua lettera.

Pel superbo marchese era stata la fuga della figliuola una ferita crudele e profonda; non tanto per l'amore ch'egli avesse ad Aurora, il quale in verità era temperatissimo, e veniva dopo altri affetti e sentimenti parecchi, quanto per l'orgoglio che giudicò l'onore della stirpe gravemente offeso. Suo primo impulso era stato correr dietro egli stesso ai fuggitivi, strappare dalle braccia del rapitore la figliuola e gettarla in un monastero, lui ammazzare come si fa del ladro che si coglie nell'atto di rubare; ma la riflessione lo trattenne. La sua condizione sociale, il suo grado, la età non gli consentivano di questi partiti spicciativi; non a lui sì apparteneva raggiungere e punire i colpevoli; egli, supremo capo della famiglia, doveva avvisare e decidere ciò che occorresse per vendicarne l'offesa e lavarne la macchia, ma un altro doveva essere di quella il braccio vendicatore, l'individualità esecutrice. Si diresse alla Polizia per avere esatti ragguagli sull'essere di quel Maurilio Valpetrosa e sul luogo dove si sarebbe potuto afferrarlo, e scrisse a suo figlio in Ispagna. Gli apprese ogni cosa e comandò venisse in patria tosto: quel che gli toccasse di far poi, non disse nemmanco, sicuro che il figliuolo avrebbelo ben saputo discernere da sè.

Il fratello d'Aurora, appena ricevuta la lettera paterna, non mise tempo in mezzo, e benchè sua moglie l'avesse reso da pochi giorni padre d'un figliuolo (che fu quell'Ettore, uno dei principali personaggi del nostro racconto) partissi alla volta del Piemonte, risoluto a vendicar l'onore della famiglia, punire il rapitore e tornare poi tosto presso la moglie.

Ma frattanto, appena divulgatasi per Torino la notizia del ratto d'Aurora, un altro erasi presentato al marchese padre, per assumere questa parte di vendicatore. Era un giovane gentiluomo, il conte di Castelletto, amico del fratello d'Aurora, che non aveva nascosto un rispettoso amore per quest'essa, che fra i nemici di Valpetrosa contava quindi per primo, cui tutte le condizioni di famiglia, di fortuna, d'età facevano degno sposo della fanciulla, e che quindi nella società aristocratica era già da tempo considerato come il futuro marito di madamigella di Baldissero. Chiesto un colloquio da solo a solo col marchese, ed intromesso alla superba presenza di costui nel suo riposto gabinetto, il giovane, senza preamboli, colla franchezza di un carattere schietto ed impetuoso, coll'accento di chi ha preparate e studiate le precise parole da dirsi, così parlò:

– Signor marchese, io amava immensamente – l'amo tuttavia – madamigella Aurora; non posso permettere che l'infame suo rapitore goda del suo delitto, respiri ancora in questo mondo. Ella può – deve contentarsi di punirlo colla sua maledizione e col suo disprezzo; non io: nè s'acqueterebbe pure suo figlio se qui fosse. Ho la superbia di credere che nessun altro ne può prender le veci, può aspirare a sostituirlo, meglio di me. Sono dunque venuto a pregarla, per l'amicizia che mi lega a suo figlio, per l'amore che nutro verso quella infelice, di volermi permettere che io mi consideri come della famiglia e prenda il desiderato incarico della sua vendetta.

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