Vittorio Bersezio - La plebe, parte IV

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La plebe, parte IV: краткое содержание, описание и аннотация

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Maurilio mestamente le ripetè quanto a lui medesimo aveva detto poc'anzi Giovanni.

La ragazza lo ascoltò fredda, immota, si sarebbe detto quasi indifferente. Quand'egli ebbe finito, essa fece un moto della testa che significava insieme ringraziamento e congedo, e disse semplicemente, ma la sua voce tremava un pochino:

– La ringrazio.

Il giovane uscì, e Virginia abbigliatasi e comandato alla fante si abbigliasse per accompagnarla, voleva accorrere presso di Francesco a vederlo, confortarlo, apprendere co' suoi occhi medesimi la fatal verità.

– S'egli morisse, pensava, ed io non potessi manco più dargli un addio!

Era per uscire, come vedemmo, quando s'incontrò collo zio che ne la impedì, conducendola seco nello studiolo.

– Aspettami qui un istante, le disse: devo dare pochi ordini e poi sono da te.

Ebbe a sè il figliuolo, e comunicatogli la sovrana decisione, comandò che immediatamente si recasse nella cittadella, dove già erano trasmessi gli ordini opportuni per riceverlo. Ettore non rispose una parola: s'inchinò e fu sollecito a recarsi in fortezza. Eravi diffatti già aspettato, ed a lui – vedete gioco del caso! – toccò appunto quella camera nella quale due giorni prima era stato rinchiuso come prigioniero politico il suo rivale ed avversario Francesco Benda.

– Virginia: cominciò così a parlare alla nipote il marchese di Baldissero, poichè fu rientrato nello studiolo, dove la ragazza stava attendendolo. Hai tu confidenza in me? Ti pare che io la meriti intiera e compiuta la tua fiducia?

La giovane stava dritta presso il camino e guardava fisamente la fiamma che volteggiava sulle legna nel focolare. Anche sulle sue guancie, precisamente come una fiamma, andava e veniva a volta a volta una vampa di rossore, un'onda di sangue che coloriva la sua pallidezza un istante, e spariva. Ella era levatasi dalle spalle il mantello e gettatolo comecchessiasi sopra una seggiola, s'era tolto del paro il cappellino e lanciatolo a quel modo. Le sue chiome abbondanti color d'oro, coi ricci cascanti sul niveo collo chinato, splendevano alla luce della lampada che era stata accesa sulla caminiera. Al di sopra della lampada pareva chinarsi sopra di lei il grande crocifisso d'avorio dalle braccia tese, e il riflesso rosato del lume dava a quel volto mite e sofferente scolpito dall'artista un'espressione che sembrava pietà.

Alle parole dello zio, Virginia alzò il capo reclinato, e guardando con franchezza e intenerimento insieme la bella figura del vecchio gentiluomo, rispose con voce vibrante d'emozione:

– Oh zio! Ella è l'unica persona al mondo in cui io possa aver fiducia e debba. E non vi ha alcuno che più la meriti di Lei.

Il marchese le pigliò una mano.

– Io ho fatto sinora tutto il mio possibile, perchè meno aspra e funesta ti fosse la tremenda sciagura a cui ti volle condannare il Signore: quella di non aver più nè padre, nè madre.

Virginia alzò gli occhi al soffitto, come se volesse lanciare uno sguardo fino al cielo a cercarvi cari perduti.

– Mia madre! esclamò essa coll'affetto di chi invoca in supremo bisogno un aiuto. Baldissero lasciò andare la mano della nipote, si passò la propria destra sulla fronte, e continuò con accento più sordo:

– Tua madre io l'ho amata cotanto!.. Eppure!..

S'interruppe come chi ha pronunziata parola che non doveva, e s'affrettò a riprendere:

– Ella aveva ogni fiducia in me… fin ch'io rimasi al suo fianco… Ah! s'io non mi fossi allontanato, i miei consigli, il mio amore le avrebbero risparmiato indicibili affanni. Or bene, Virginia, in nome di tua madre medesima io ti prego a non voler mai tener celato a me quello di cui ti sentiresti obbligo di rendere istrutta tua madre.

Virginia tornò a chinare la testa in aria più perplessa che confusa.

– Ed ora, continuava lo zio, mettendo nelle sue parole maggiore caldezza d'affetto: ora se tua madre fosse qui, non avresti tu nulla da confidarle?

La ragazza parve il sul punto di parlare; poi si rattenne; mandò un'esclamazione e volse in là il viso arrossito.

– Tu hai dunque un segreto? seguitava il marchese coll'accento il più paterno: e questo segreto la tua determinazione di poc'anzi abbastanza lo rivela. Che cosa c'è di comune fra te e quel signore?

Virginia sollevò di nuovo la faccia con un'espressione piena di coraggio: guardò fermamente lo zio e disse colla franchezza d'una purissima coscienza e d'un nobile sentimento:

– Ci amiamo! Egli me lo svelò, io non glie lo nascosi.

– Sventurata! esclamò il marchese con accento in cui non c'era collera ma piuttosto dolore. E che speri tu?

– Nulla… Glie lo dissi… Egli, forse appunto per disperazione di ciò, volle morire… Non debbo io prima che scenda nella tomba consolarlo d'un addio?

Negli occhi le spuntarono due lagrime, ma la voce e l'aspetto non manifestarono la menoma debolezza.

– Sventurata! Sventurata! ripetè lo zio. È dunque destino che anche tu?..

S'interruppe di nuovo; parve recarsi sopra sè, e per un istante regnò in quel salotto il più assoluto silenzio. Virginia guardava lo zio con una specie di curiosa ansietà che le parole e i contegni di lui le suscitavano. Dopo un poco egli soggiunse:

– Tu sai che nella vita di tua madre fu un gran dolore, ma quale esso sia stato ignori tuttavia. Fu desiderio di quella povera donna che tu l'apprendessi un giorno, e me lasciò giudice del momento opportuno. Oh forse ho avuto torto a indugiare cotanto: e il racconto delle sciagure di lei avrebbe potuto servirti d'ammaestramento! Ma così mal volentieri, e ne intenderai il perchè, accosto quel discorso!.. Ora però non debbo più nulla tacerti. Siedi costì, Virginia, ed ascoltami. Udrai finalmente la storia di tua madre.

Virginia mandò un gridolino di desiderio, di soddisfazione insieme e di preghiera e di ringraziamento.

– Ah sì! esclamò giungendo le mani: ch'io l'oda finalmente!

Il marchese si raccolse, e cominciò poscia a narrare coll'accento di chi esponendo le più dolorose vicende della sua vita, sente riaprirsi le mal rimarginate piaghe del cuore.

Ma poichè non tutte le circostanze di quel funesto avvenimento poteva egli e doveva raccontare alla nipote, noi esporremo da parte nostra in termini più compiuti quel dramma, come già può essere narrato, senza pregiudicar l'interesse dei fatti avvenire, al punto in cui si trova lo svolgimento del nostro racconto.

CAPITOLO II

Si era verso la fine dell'anno 1820. Che si avesse a vedere qualche novità in Piemonte molti dicevano, parecchi speravano, pochi affatto credevano. Carlo Alberto principe di Carignano continuava ad essere il centro di quel movimento liberale che aveva preso proporzioni abbastanza considerevoli nell'aristocrazia piemontese, la quale aveva sognato un momento poter giungere a sostenere presso la monarchia sabauda e presso il popolo subalpino quella parte moderativa e di dominatrice influenza che da secoli è tenuta dalla nobiltà del sangue, del merito e del denaro nell'isola inglese. S'era visto i medesimi Borboni di Francia accettare una costituzione; perchè non l'avrebbero accettata anco i Savoia? Alcuni spiriti aristocratici, mossi senza saperlo dalla forza impellente del progresso, vagheggiavano la distinzione e l'autorità di una parìa ereditaria nella loro famiglia colla guarentigia d'una libera tribuna. Credevano con questo modo risuscitare sotto forme novelle contro il trono, il feudalismo schiacciato dalla monarchia assoluta, e non s'accorgevano che aprivano la strada ad un più forte, nuovo, invasore potere, quello della libertà che non poteva a meno di far capo alla sovranità popolare. Ma ciò scorgevano bensì alcuni dei più generosi e dei più ardenti patrioti; i quali, oltre alle libertà interne miravano ancora ad un altro sacrosanto scopo; quello dell'indipendenza della comune patria dallo straniero.

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