Giuseppe Garibaldi - I Mille
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Lina e Marzia abbandonando la loro assisa maschile, aveano indossato le vestimenta più confacenti alle loro bellissime forme, cioè la sottana ed il farsetto, così graziosamente allacciato dalle vezzose forosette della conca d’oro. Due rossi fazzoletti di seta che per caso si trovarono nel vicino borgo di Misero i cannoni , furono fantasticamente avvolti a quelle teste da modello, nascondendo non totalmente le ricchissime capigliature, giacchè il sesso gentile ama, com’è naturale, di mostrare i tesori che natura profuse sulla creatura prediletta.
Solo i calzari delle due eroine avevano militare, o piuttosto, cacciatrice fisionomia, poichè nel borgo suddetto non si trovarono calzature fatte da donna.
I volontari contemplavano meravigliati le superbe donzelle che sì fiere avean veduto sul campo di battaglia, ora orgogliose d’essere prescelte ad ardua e pericolosa impresa, e poi si guardavan l’un l’altro stupefatti.
Nullo, perdutamente innamorato della Lina – da lui conosciuta nelle natíe ed alpestri valli – supplicava invano il comando dei Mille, di lasciarlo andare in compagnia della bella coppia.
E P… non meno di lui invaghito della Marzia manifestava lo stesso proponimento. Alla vigilia di serii combattimenti però, non si volle privare il corpo di due sì valorosi ufficiali.
Una contadina del borgo anzidetto fu destinata ad accompagnarle come guida. – E così munite di adeguate istruzioni Lina e Marzia s’incamminarono verso la capitale della Sicilia, le di cui altiere torri scorgevansi alla distanza di poche miglia, dominando la superba metropoli dei Vespri ed il littorale Mediterraneo.
CAPITOLO XI
ITALIA
Italia, Italia, tu, cui feo la sorte
Dono infelice di bellezza…
… Nè te vedrei del non tuo ferro cinta
Pugnar col braccio di straniera gente
Per servir sempre, o vincitrice, o vinta.
Ed eccomi ancora a trattare del pugnale, quantunque mi ripugni ricominciare con tale terribile argomento.
E perchè dunque vi costituite tiranni? Perchè da secoli questa mia terra deve servire di lupanare a quanti malandrini porta l’Europa?
Perchè essi vengono a mangiarci i frutti, a beverci il vino, che costarono il sudore della nostra fronte?
Perchè? Perchè? arrossisco nel pensare a tanti altri perchè, che solo il pugnale può vendicare!
E voi, amabili ed umani dominatori dell’Occidente e del Settentrione, qual’armi avete concesso ai vostri Iloti italiani, perchè non dovessero servirsi d’un ferro, per vendicare un oltraggio od un disonore?
Oggi ancora, ladroni spudorati, voi infestate le nostre terre che tenete a ruba da varii secoli, – sotto il falso pretesto di religione che non avete, e di diritto divino con cui burlate il mondo. – Ditemi voi: se più legali sono i vostri furti e le vostre violenze, od il ferro italiano che qualche volta – segna le vostre schifose fisonomie?
Ditemi, s’eran legali i vostri assassinii, commessi contro i Messicani, tra cui l’italiano generale Ghilardi fucilato proditoriamente dal servo del 2 Dicembre, Bazaine, contro i Romani del 49 e del 67, contro i Veneti, i Bassi, i Ciceroacchi con due figli e nove compagni, i martiri di Belfiore, ecc. ecc., tutti onesti, tutta gente di cui più valeva un capello che tutta l’anima vostra, carnefici del genere umano!
E verrà un giorno in cui l’Italia purgata dei suoi Tersiti, e dei suoi impostori che l’addormentano e la corrompono, vi tratterà non più coi guanti bianchi – come siete usi ad esser trattati in questo sventurato paese, ma da assassini vi tratterà, come siete, impiegando i mezzi che adoperano i popoli per redimersi da tiranni e da ladri, cioè: pugnale, fuoco, veleno.
E non fate cipiglio – signori vermi della società umana – a tali felici augurii per il mondo, poichè grassi, pistagnati, indorati come siete, siete più nocivi dell’insetto che rode le radici della pianta alimentaria, e dell’avvelenatore rettile, che uccide quasi istantaneamente l’umana creatura.
Sì! voi oppressori delle genti e sostenitori della menzogna, siete la peste del mondo!
È duopo rammentar sovente tutto ciò ai dormenti nostri concittadini: acciò smentiscano i soddisfatti, perchè con pancia piena spacciano massime che son tutte menzogne e paroloni di libertà, di indipendenza e di unità italiana con solo di vero: miseria e degradazione!
E finalmente: non è il Buonaparte con complici il Governo italiano ed i preti, il mantenitore del brigantaggio nell’Italia meridionale?
E non sono i despoti, i fomentatori delle rivoluzioni nel mondo?
Io sfido che si provi il contrario.
CAPITOLO XII
MANISCALCO
L’immacolato tricolor, dolenti
Sì, noi macchiammo, per veder risorti
Della Romana Italia, i macilenti
Nipoti a un fascio e ad un cammin consorti.
Or dimmi: hai tu dell’Italo fidente
Appagata la speme – e le proterve
De’ suoi tiranni, soldatesche hai spente —
Birri un dì noi vedemmo e genti serve
Su quest’afflitta terra – e fatalmente
De’ servi e birri, noi vediam caterve.
Ammiratore della rigida, non uguagliata da nessun popolo della terra, antica disciplina romana, io, sono quindi amante dell’ordine, cioè – vorrei vedere i popoli prosperi, liberi, felici – ed i loro reggitori, occupati non d’altro che del loro benessere – garanzie sicure queste della quiete pubblica.
Non reggitori simili agli odierni d’Italia, speculando sulle miserie della nazione, rovinandola per soddisfare a depravati capricci, non più tollerati dalla società moderna – e per impinguare numerosa caterva di satelliti che lor fan corona.
Sì! ordine vogliam noi, uomini della libertà e del progresso – cioè: Repubblicani.
Ordine! ordine! e chi lo disturba quest’ordine che l’umanità richiede – siete voi, persecutori delle genti! perturbatori della condizione normale dei popoli – voi! per gozzovigliare alle spese altrui – e far infelici le nazioni che speravano da voi un governo umano e riparatore.
Sì, voi potenti per astuzia e per l’imbecillità altrui, millantate ordine, colla coscienza di mentire – rovesciando, distruggendo ogni più sacra cosa; e facendo della famiglia umana una caterva di sventurati e di spie!
L’ordine che voi volete è la quiete – quella quiete che brama l’assassino nel godimento della roba depredata.
E Maniscalco era uno di quei vili istromenti che la tirannide poltrona, paurosa e codarda, spinge fra le moltitudini per spiarle, torturarle, assassinarle, quando fia duopo, per mantenere l’ordine che disturbano alcuni affamati servi.
Essi, istrumenti, hanno il genio della corruzione, della perversità, e sanno scegliere nella folla i loro seguaci, che distinguono a cert’aria di famiglia, agli inerenti vizii inseparabili di tale bordaglia: vizii ch’essi vogliono soddisfare al prezzo di qualunque infamia, e riconoscibili poi a certa peculiare impronta famigliare alla gente dello stesso marchio.
In Palermo, Maniscalco munito di pieni poteri, ed accrescendo di potenza in ragione inversa del credito de’ suoi padroni – credito da tiranni, che sulla terra dei Vespri si scioglie tanto presto, quanto la neve al contatto della rovente lava de’ suoi vulcani – un perverso come Maniscalco – su cui posava tutta la fiducia del Borbone in Sicilia – s’era certamente permesso ogni specie di dissolutezza, di delitti e crudeltà: la purezza delle vergini, la santità dei matrimonii, tutto andava in un fascio davanti alle libidini dello scellerato. La cuffia del silenzio, e quante torture avevano inventato i Torquemada, erano impiegate per strappare dagli sventurati prigionieri i segreti delle congiure dal dispotismo suscitate.
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