Giuseppe Garibaldi - I Mille
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Un giorno in via Maqueda, tutte le classi della splendida capitale della Sicilia tornavano dal passeggio della Favorita; – tutte le classi, sì, – perchè quantunque poco menomata in potenza la famiglia dei feudali, i popoli, sono fuori da quel servilismo, che nel Medio Evo, non permetteva ad un plebeo di passeggiare accanto ai favoriti dal privilegio.
Nella folla accalcata in quella seconda strada di Palermo, pavoneggiavasi il sanguinario Ministro del Re di Napoli, con scorta numerosa de’ suoi satelliti, armati fino ai denti. – Tali non compariscono in pubblico gli agenti dell’autorità, ove la libertà non è vana parola.
Il policeman dell’Inghilterra, o degli Stati Uniti ispira fiducia all’onesto cittadino, e non timore come il sinistro cagnotto della tirannide – il bravo dei signorotti moderni.
Maniscalco dunque, attorniato da’ suoi, scoteva l’altero suo capo, e gettava sulla moltitudine uno sguardo di disprezzo, e la moltitudine, come se raccogliesse la sfida dell’insolente, calcavasi sulla siepe di sgherri che corazzava il malvivente, premevala, e dal seno di quell’onda di popolo scaturiva una di quelle figure, che la poesia dipinge dominatrici delle tempeste, sieno esse di genti o di elementi.
Tale Colombo – dopo di aver dominato il pelago che divide i due mondi – dominava gl’indisciplinati suoi seguaci in una tempesta d’insubordinata diffidenza al suo genio.
Come lo scopo del grandissimo navigatore fu realtà, la manifestazione d’odio dei discendenti del Vespro e la lama d’un pugnale, sguizzava nell’aere come una fiamma e si conficcava nel petto del disprezzatore delle genti, e lo rovesciava nella polve.
Maniscalco cadeva, ed il suo sangue irrigava una terra che non era degno di calpestare.
Il feritore poi, che alcuni dissero essere un fantasma, ma che certamente era uomo che sprezzava il pericolo, non fuggì, non accelerò il passo; ma in un orgasmo che fece stupire gli astanti, e paralizzò, ammutolì gli sgherri, pria sì baldanzosi, il feritore, dico, strappò da sè l’involto di carta che lo copriva da capo a piedi, ne sparse i brandelli sul terreno, e come per miracolo si confuse nella folla, ove fu impossibile di rintracciarlo per quante indagini se ne facessero.
I Governi ed i preti adoperano ogni mezzo perverso per corrompere le genti, e riescono sovente ad attrarre nelle loro reti qualche sciagurato, ma la massa delle popolazioni in Italia abborre la delazione, ciò sia detto in onore del nostro popolo, e se la miseria od il vizio precipitano alcuno nell’infamia, certo il delatore nel nostro, benchè infelice paese, sarà sempre generalmente in orrore.
Io ho veduto il popolo di Palermo nella gloriosa rivoluzione del 60 correr in cerca dei sorci (spie) con un accanimento indescrivibile.
Chi sa quanto il coraggioso assassino avea lavorato per tagliare, cucire, pitturare cotale abbigliamento di carta somigliante ai panni da poter comparire in pubblico senza essere riconosciuto.
Era una vendetta, meditata, certamente.
E fin ora non si conosce la causa dell’attentato, nè chi lo perpetrava.
Era lo sconosciuto qualcuno dei torturati da Maniscalco? qualcuno dei feriti nell’onore? Poichè i cagnotti dei tiranni sono generalmente gente lasciva, ed il capo degli sgherri, come già abbiamo accennato, avea fama di tale – od era alcuno di coloro che preferiscono la morte al vergognoso servaggio del loro paese?
Assassino: lo chiamarono i giornali borbonici e tale lo chiamerebbero pure altri giornali non borbonici.
Assassino! e veramente io non vorrei che si uccidesse l’uomo dall’uomo, e sono contrario alla pena di morte sotto qualunque forma.
Assassino, dunque, fu il feritore di Maniscalco e Torquemada ed Arbues ed i bruciatori delle creature umane sono santificati! ed il dominatore del Tirolo che appiccò Mantovani, Ungheresi, Piemontesi! il Reggitore della Polonia passando la vita alla distruzione di quel popolo, sottoponendo al knouth sino i bambini e le donne! – ed il Magnanimo che crede oggi di coprir colla sua veste d’Agnello le macchie di sangue di tre popoli, sono Maestà!
Assai più coperti d’omicidii dell’assassino di Maniscalco, ma infine Maestà!
CAPITOLO XIII
IL 4 APRILE
Palermo!
Son le tue zolle sante ed i tuoi colli
Templi ove l’uom che ne respira l’aura
Se non risente dignità – la creta
Sortiva dello schiavo!
Come si ponno narrare i fatti del 60 senza un ricordo all’infelice, ma eroico tentativo del 4 d’aprile, in cui un pugno d’uomini risoluti sfidò la potenza Borbonica nella capitale della Sicilia e fu comunque sia il primo episodio della gloriosa epopea?
Io lascio ai meglio informati di me l’incarico di rammentare per la Storia i nomi dei forti che vi presero parte, confessando di ricordare solo il nome di Riso, uno dei martiri dell’impresa portentosa.
Il convento della Gancia servì di ricettacolo ai cospiratori – e fu in quel memorabile giorno il campo di battaglia ove gli stessi sostennero una disugualissima pugna contro gli oppressori della patria.
Il convento della Gancia, sì, in cui i frati, benchè frati, ricordavano d’esser uomini ed Italiani, contrariamente a quelle iene di Roma, di cui la storia è una serie d’assassinii, di prostituzione, di tradimento.
I preti dei Messicani al tempo di Cortez, i sanguinarii druidi dei Celti al tempo dei Romani ed i Papas Greci ai nostri tempi, tutti si consacrano ai più orribili martirii sostenendo le cause del loro popolo.
Ed il prete italiano? Sempre traditore al suo paese, fosse esso invaso dai Turcomanni!
Il contegno dei poveri frati della Gancia fu lodevolissimo.
Essi non pugnarono, non macchiaronsi di sangue, ma identificaronsi colle aspirazioni d’un popolo generoso ed oppresso, lo favorirono e ne divisero i pericoli e le miserie.
L’inviolata quiete di cui godè il Clero in tutte le peripezie tempestose di quella prolissa campagna del 60 si dovè senza dubbio al patriottismo di quei pochi religiosi che – ad esempio di Cristo – si schierarono nelle fila degli schiavi 12 12 Qui m’è caro ricordare il Padre Pantaleo, che col suo coraggio ed i suoi talenti, come letterato e libero pensatore, diventò caro a tutti e gettò nelle fila dei giovani sacerdoti quello spirito d’emancipazione dalla menzogna che nobilita l’uomo, e che tanto bene avrebbe fatto già a non essere l’Italia governata da cupido gesuitismo.
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L’impresa del 4 aprile mosse gli uomini di cuore che dopo la fallita impresa della capitale presero la campagna, congiungendosi alle squadre di quegli ammirabili picciotti sempre pronti a misurare i loro poveri fucili colle armi perfezionate dei soldati della tirannide, sempre pronti, senza dimandarne la causa, a correre in sostegno dei concittadini impegnati contro mercenari nostrani o stranieri.
E qui in onore del vero devo accennare che in nessuna parte d’Italia ho trovato tanta accostevolezza da uomo a uomo, da campagna a città, quanto nella Trinacria.
Sono certo che non vincendo, i Mille, dopo di aver bruciato ed abbandonato il naviglio, essi avrebbero scelto la sorte dei Leonida o dei Fabi. Ma dovunque nella penisola, essi non avrebbero trovato l’incrollabile fedeltà, ed il sostegno che a loro sacrarono i nobili discendenti del Vespro.
In nessuna parte del mondo fuori della Sicilia sarebbe stata possibile una marcia come quella dalla Piana dei Greci a Marineo, da Marineo a Missilmeri; da questo a Gibiltossa e finalmente dall’ultimo punto a Palermo nella notte dal 26 al 27 maggio all’insaputa del nemico.
Si ricordino quindi i reggitori moderni, che invece di tanto occuparsi nel rovinare le popolazioni con tasse, imposte, macinati e il diavolo – per gozzovigliare nel vizio e nella lussuria – essi non dovrebbero accrescer l’odio che han seminato a piene mani tra coteste energiche popolazioni del mezzogiorno. Odio, che aumenta in ragione geometrica. Odio, che non domeranno con tutti i birri della terra, che riuscirà forse impotente una o dieci volte per ora, ma che trascinerà finalmente il paese in uno di quei cataclismi che le venture generazioni ricorderanno con raccapriccio.
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