Giuseppe Garibaldi - I Mille

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Le genti della Trinacria frattanto accorrevano ad ingrossar le fila dei Mille. Alcamo accoglieva i vincitori con tutto l’entusiasmo di cui sono capaci quei fervidi Meridionali. – Partinico fece di più: vedendo i nemici che sì crudeli eran stati cogli abitanti, ora sbandati e fuggenti, quella popolazione diede loro addosso, e sino le donne trucidarono di quei disgraziati.

Miserabile spettacolo! noi trovammo i cadaveri dei soldati Borbonici per le vie divorati dai cani!!!

Eran pure cadaveri d’Italiani che, se educati alla vita dei liberi, avrebbero servito efficacemente la causa del loro oppresso paese, ed invece come frutto dell’odio suscitato dai loro perversi padroni, essi finivano straziati e mutilati dai loro proprii fratelli con tale rabbia da far inorridire i Torquemada.

Dalle belle pianure d’Alcamo e di Partinico la colonna ascendeva per Borgetto sull’altipiano di Renne, da dove dominava la conca d’oro e la Regina dei Vespri – che confesso – se fra le sue cento città, Italia avesse una mezza dozzina di Palermo – da molto tempo lo straniero non calpesterebbe questa nostra terra. – E certo il Governo dei birri e delle spie o marcerebbe diritto o il diavolo se lo sarebbe portato via.

Renne sarebbe una posizione formidabile, se nello stesso tempo ch’essa domina lo stradale da Palermo a Partinico non fosse dominata dalle alture immediate a mezzogiorno e tramontana che appartengono ai monti irregolari che circondano la ricca vallata della capitale. Renne è famosa nella campagna dei Mille per due giorni di copiosa pioggia, passati senza il necessario per affrontare le intemperie, ove fu assai incomodata la gente, ma ove quel pugno di prodi provò: esser disposto ai disagi siccome a disperate battaglie.

CAPITOLO IX

I PRECURSORI

E tu onore di pianto Ettore avrai
Ove fia santo e lagrimato il sangue
Per la patria versato, e finchè il sole
Risplenderà sulle sciagure umane.

(Foscolo).

Prima del 5 maggio partivano da Genova due giovani con destinazione alla Trinacria. L’uno bellissimo e castagno di capigliatura, apparteneva a nobile famiglia dell’isola; l’altro avea la bellezza del plebeo meridionale, con una capigliatura d’ebano, un volto regolare ma bronzato, tarchiato e robustissimo. – Egli era, a non ingannarsi, uno di quella casta che la fortuna condanna a menar le braccia per la sussistenza, e che qualche volta stimolati da istinti generosi o dall’ambizione d’innalzarsi, si lanciano al di fuori dell’area in cui la sorte sembrava volerli circoscrivere; e, se coadiuvati dal genio, si vedono transitare dall’infimo della condizione umana ai gradini superiori. – Tali i Cincinnati, i Mario ed i Colombo.

L’Italia incontrastabilmente – paese di non comune intelligenza in tutte le classi – ha forse troppi di questi nobili plebei ambiziosi di migliorare od innalzare la propria condizione: ciocchè, senza dubbio, è causa d’aver essa in proporzione un’esorbitanza di cittadini repugnanti alle manuali occupazioni.

Per esempio, ho veduto in America dei giovani Italiani letterati, ridotti a non trovar impiego e quindi alla miseria; mentre i nostri operai, contadini, carpentieri, ecc., appena giunti eran cercatissimi, impiegati subito con splendidi salari, e vivevano perciò una vita agiatissima.

Nella propensione nostra quindi di salire nella scala umana, v’è bene e male – dipendendo dalla fortuna, accertare o no, l’uno o l’altro. – Comunque io consiglierò sempre a’ miei concittadini d’imparare un’arte manuale qualunque – ove troveranno sempre più robustezza che nelle occupazioni di scrivanie – e più sicurezza di guadagnar la vita in ogni parte del mondo – sopratutto poi, non dimenticar la massima di spender nove quando si possiede dieci.

Nell’anima dei due però, che si lanciavano a morte quasi sicura, v’era la devozione eroica dei Leonida e dei Muzio Scevola. – Rosolino Pilo e Corrao ponno giustamente chiamarsi i precursori dei Mille; e noi li trovammo in Sicilia dopo di una traversata portentosa, facendo propaganda emancipatrice, e solleticando i coraggiosi figli dell’Etna a sollevarsi colla promessa di pronti soccorsi dal continente.

Due individui e non più sbarcavano sulla loro terra – proscritti e condannati a morte – spargendo la loro santa propaganda, e senza esitare dirò: con tanta sicurezza come sulla terra d’asilo!

Sappilo, tirannide! e sappi che questa non è terra da spie! Tu hai perduto il tuo tempo, impiegando ogni specie di corruzione! Qui – su questi frantumi di lava – il tuo potere, brutto di sangue e di vergogna, è effimero!

Butta giù quella tua maschera di Statuto, a cui nessuno più crede, e mostrati col tuo ceffo deforme da Eliogabalo o da Caracalla – qui altro non è che questione di tempo – d’anni – che dico? forse di giorni. – Che s’intendano questi ringhiosi discendenti della discordia e della grandezza, e come nel Vespro, in poche ore, verun vestigio resterà più delle vostre sbirraglie.

Rosolino Pilo in una scaramuccia coi Borbonici – mentre i Mille facevano alcune fucilate nelle vicinanze di Renne – fu colpito da un piombo nemico, mentre si accingeva a scrivermi dalle alture di S. Martino, e stramazzò cadavere.

Italia perdeva uno dei più forti di quella brillante schiera, che col loro coraggio e nobile contegno menomano alquanto le sue umiliazioni e le sue miserie.

Corrao, men fortunato di Rosolino, dopo d’aver pugnato valorosamente in ogni combattimento del 60, morì di piombo italiano per gare individuali.

Il generoso popolo della Sicilia, io spero, non dimenticherà quei suoi due prodissimi concittadini.

CAPITOLO X

LE DUE EROINE

La donna bella, buona e coraggiosa
È un vero portento della natura.

(Autore conosciuto).

Nel campo di Renne, ove i Mille eran sequestrati da piogge dirotte, v’era mestieri di notizie certe sulla situazione di Palermo. – Quell’invitta popolazione fremente, di quel fremito che fa tremar la tirannide corazzata d’acciaio ed assiepata da baionette, era tenuta dopo l’eroico tentativo del 4 aprile nel più assoluto e rigoroso stato d’assedio.

Poche eran le comunicazioni colla campagna, e quelle poche persone a cui era permessa l’uscita dalla città dovevano garantire il Governo che nulla da loro avea da temere di congiure o d’intelligenza coi patrioti di fuori – al solito chiamati briganti.

Ma mal si governa colla tirannide e peggio ancora con popoli che hanno tradizioni come quella dei Vespri – la più terribile delle lezioni data dai popoli ai loro oppressori – e che non trova paragone in nessun tempo ed in nessuna delle storie delle Nazioni.

Italia! terra dei morti – secondo uno di quei grandi che vengono nominati tali, perchè nacquero tra generazioni di piccoli. – Italia, dico, depressa oggi, umiliata – e detto in onor del vero – anche disprezzata – conta dei fatti che nessun popolo della terra uguaglia.

1º Giunio Bruto, condannando a morte i proprii figli perchè creduti implicati in una congiura contro lo Stato.

2º Manlio, dittatore, facendo decapitare in sua presenza il valoroso suo figlio vincitore d’un gigante latino che avea sfidato a pugna singolare i migliori dell’Esercito Romano, perchè avea trasgredito il divieto dittatoriale di non uscire dalle fila. Questi due fatti d’insuperabile disciplina sono forse la chiave di quella severissima disciplina romana che condusse le Legioni su tutto l’orbe conosciuto, e di cui si trovò un saggio sotto le ceneri di Pompei, d’un legionario che coll’arma al piede lasciossi coprire dalle ceneri senza muoversi.

3º E i Vespri? Un popolo che conta i Vespri ne’ suoi annali, può durar poco nel servaggio. – E ricordatelo bene voi che nei tempi presenti (1870) cercate di imbavagliarlo con delle concessioni e delle carezze più o meno scellerate e sempre gesuitiche. – Voi che nascondete le ugne d’acciaio degli antichi signorotti sotto uno straccio di carta che presto, speriamolo, per il decoro dell’Italiana famiglia, vedremo svolazzare nel letamaio delle genti rigenerate.

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