Achille Cagna - Un bel sogno

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– Tuttʼaltro, nella carriera che percorre, si trova di sovente a contatto colle signore, ma nessuna che io sappia gli inspirò qualche cosa più di un poʼ di cortesia. – È troppo concentrato nellʼarte sua della quale egli se nʼè formata una amante; non vive che per la musica.

– Ma, ribatteva Laura, non mi sembra vero che un giovinotto, unʼartista non celi in seno qualche fiammetta…

– Eppure credimi la è proprio così; diamine io che gli sono sempre ai fianchi, dovrei saperlo. Di giorno non esce che per le sue lezioni, del resto se ne sta sempre al pianoforte. Se talvolta a forza di preghiere si lascia trascinare in qualche concerto o serata musicale, fa propriamente un sacrifizio. Egli non ama la società; è nemico dei clamori; per chi non lo conosce sembra un selvaggio, ma chi lo frequenta riconosce in lui un giovane pieno di talento e di modestia.

– Lo credo perchè me lo dici, sclamò Laura, ma pare davvero impossibile che un giovane così amabile e distinto non cerchi qualche conforto in unʼaffetto – Si è tanto felici quando si ama.

– Ma mia cara, per uno della tempra di Ermanno lʼamore si trova ma non si cerca.

– Chissà che un giorno…

– Sarà difficile, e sinceramente non gliene farei augurio…

– Perchè mai?

– Mio Dio, la fedeltà è tanto rara al giorno dʼoggi, ed Ermanno è una di quelle nature che amando si legano corpo ed anima…

– In questo caso, che male ci sarebbe?

– Che male? il ciel lo guardi! Se per disgrazia sʼinnamorasse, e venisse poi deluso, credo che si darebbe alla disperazione.

– Ma cugino mio, non tutte le donne sono leggiere, ve nʼha di quelle che possono dedicare lʼintera loro vita al culto di un solo ed unico affetto.

– Sì ve ne sono tali donne, ma nei Romanzi…

– Oh! senti, non dubitare così, ciò mi fa dispiacere; secondo voi altri noi saressimo lʼincostanza personificata.

– Via via, cuginetta, non adirarti meco; se vuoi che ci creda, crederò; ma solamente per farti piacere.

Di questo passo si giunse al pubblico passeggio, ivi lʼordine della comitiva si sciolse; Letizia si unì a Laura, Alfredo prese il posto di Letizia accanto alla zia a cui chiese:

– Ebbene è ella stanca della passeggiata?

– Tuttʼaltro, non mi sono neanche accorta dʼaver fatto tanta strada, mi trovo in sì buona compagnia!..

Il complimento era diretto ad Ermanno, che glie lo restituì nel modo il più lusinghiero.

– Nipote, disse madama Ramati ad Alfredo, quando ti verrà occasione di recarti a Milano, tʼimpegno a condur teco il signor Ermanno; ha promesso di venire.

Ermanno sorrideva con aria di rifiutarsi, e madama soggiunse:

– Sicuramente, badi che io conto con scrupolo sulle promesse, o che verrà colle buone, o le faremo venire per forza.

– Si accerti, o signora, rispose Ermanno, non vi sarà questa necessità. – Mi procurerò un giorno questo piacere.

Le due giovinette intanto si erano di molto allontanate; pareva che parlassero di qualche cosa ben importante, perchè si portarono alla distanza da non essere udite. – Laura volgevasi spesse volte indietro; indi si rimetteva a parlare gesticolando in modo che tradiva la sua contentezza. Che mai diceva essa alla cugina per discorrere con tanta enfasi? e perchè Letizia ascoltava col labbro atteggiato ad un sorriso malizioso? – Le donne, e le ragazze specialmente, abusano spesso di confidenza verso le loro amiche; un primo amore, il primo palpito del cuore, è un peso troppo grave per una fanciulla, perchè possa celarne il segreto. È vano pretendere che ella debba tenersi per sè le impressioni che la agitano, e nel seno di unʼamica versa tutto il suo mistero.

Le confidenze divengono una necessità nella donna che ama per la prima volta. Lʼuomo è egoista della sua felicità, la donna ne è ambiziosa; lʼuomo la nasconde con tutta cura, la cela agli sguardi di tutti; la donna invece prova una grande compiacenza nel rivelarla, e tradisce il secreto in tutti i suoi atti.

Laura col solo suo modo di camminare, appoggiata, anzi abbracciata a Letizia, palesava il suo amore. – Le due ragazze dopo di aver passeggiato sole per qualche tempo, si rivolsero agli altri, e Letizia chiamò:

– Signor Ermanno, ascolti una parola.

– Ai loro ordini, rispose il giovane avvicinandosi; non aveva ancora parlato, che già esse si erano attaccate alle sue braccia.

– Siamo stanche, disse Laura appoggiandosi a lui, abbiamo bisogno di un cavaliere…

– E dove trovarlo migliore? sclamò Letizia.

– Signorine, rispose Ermanno sorridendo, non vorrei che mi canzonassero…

– Ce ne guardi il cielo!

– Era per parlare un poco anche con lei, che lʼabbiamo chiamato, mormorò Laura.

– Comʼè bella questa sera illuminata dalla luna, veramente poetica.

– Passerei la notte passeggiando, disse Laura.

– Sola?

– Oh no, avrei paura.

– Come sono soavi queste notti illuminate mestamente, disse Letizia con accento declamatorio; e dire che vi son taluni che negano il romanticismo; con che cuore, io nol so. – Come non accendersi di poesia allo spettacolo malinconico e soave di una bella sera dʼestate? Parmi di essere trasportata a quei beati tempi in cui i trovatori erravano le notti solinghi e addolorati sotto le finestre di un castello di gotica architettura; parmi di sentirne i patetici canti, gli appassionati versi dʼamore.

Tutto ciò fu detto da Letizia con un tuono ironico, con unʼespressione così maliziosa, che Ermanno non ebbe più dubbio alcuno sulle confidenze che Laura poteva averle fatte. In quanto a Laura, essa non aveva neanche compresa sillaba della chiaccherata di sua cugina, perchè la sua mente viaggiava in quellʼistante a più alte regioni.

Piegata mollemente sul braccio di Ermanno, lasciava libero sfogo al pensiero abbandonandosi al languore della fantasia come alle illusioni di un sogno.

A poco a poco quella graziosa testolina si piegò sulla spalla del giovane, ed i biondi capelli agitati dalla brezza della sera, sfioravano dolcemente la guancia di lui. – Più volte ella gli aveva stretto il braccio nel suo, ed egli rispondeva collo stesso linguaggio.

La conversazione si ripigliò un poʼ più calma, Letizia moderò alquanto il suo spirito permettendosi solo di quando in quando di scherzare sulla distrazione della cugina.

Si parlò di molte cose, di poesia, di musica, di amore, di stelle, di fiori, ed anzi a proposito di fiori, dobbiamo dire che sebbene Laura fosse molto distratta non lasciò sfuggire inosservato un fiorellino che usciva da una siepe elevandosi sugli altri come per farsi cogliere. – Appena ella lo vide, allungò la mano, lo colse senza incomodarsi perchè presentavasi sul suo passaggio; quel fiore passò naturalmente dalle mani della giovinetta a quelle di Ermanno, e tutto ciò senza che la maliziosa Letizia se ne avvedesse.

A quellʼidea così gentile, a quellʼatto così eloquente nel suo silenzio, Ermanno fu tocco di gioja; non era più una creatura umana che egli si sentiva al fianco, era qualche cosa di soprannaturale, un angelo da cui si elevava un profumo tale di poesia, che lo commoveva in ogni fibra.

Alfredo chiamava al ritorno; si rifece la strada allo stesso modo, questa volta però erano tutti riuniti.

– Signori miei, diceva Alfredo, non possiamo negare dʼaver fatto una bella passeggiata.

– Oh! sì davvero verso il Campo Santo, rispose ironicamente Letizia.

– E il passeggio più ameno che abbiamo; questa bella strada fiancheggiata da cipressi, quellʼedificio in fondo che chiude la vista, queste statue, tutto costituisce un insieme armonioso.

– Insomma il Cimitero è ciò che vʼha di più bello in Brescia, osservò madama Ramati sorridendo.

– Non dica così zia; già si sa che Brescia non è Milano, ma è senza dubbio una bella città.

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