Pietro Giannone - Istoria civile del Regno di Napoli, v. 6

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Istoria civile del Regno di Napoli, v. 6: краткое содержание, описание и аннотация

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La novità di questo fatto fece restare tutta quella città attonita, massimamente non essendo chi avesse ardire di volere sapere gli autori di tal omicidio. La Regina ch'era di età di diciotto anni, sbigottita non sapea che farsi: gli Ungheri aveano perduto l'ardire, e dubitavano d'essere tagliati a pezzi se perseveravano nel governo: talchè il corpo del Re morto ridotto nella chiesa, stette alcuni dì senza essere sepolto: ma Ursillo Minutolo gentiluomo e Canonico Napoletano si mosse da Napoli, ed a sue spese il fece condurre a seppellire nell'Arcivescovado di Napoli nella cappella di S. Lodovico, dove essendo stato sin all'età del Costanzo in sepoltura ignobile, Francesco Capece abate di quella Cappella, ed emulo della generosità di Ursillo, gli fece fare un sepolcro di marmo, e trasferita poi dall'Arcivescovo Annibale di Capua la sagrestia in quella Cappella, fu riposto nel muro avanti la porta della stessa sagrestia, dove oggi ancor si vede.

La vedova Regina si ridusse subito in Napoli, ed i Napoletani con que' Baroni, che si trovavano nella città andarono a condolersi della morte del Re, ed a supplicarla, che volesse ordinare a' Tribunali, che amministrassero giustizia; poichè Fra Roberto e gli altri Ungheri abbattuti non aveano ardire di uscire in pubblico. La Regina ristretta co' più savi e fedeli del Re Roberto suo avolo, perchè si togliesse il sospetto che susurravasi, d'aver ella avuta anche parte all'infame assassinamento, commise con consiglio loro al conte Ugo del Balzo, che avesse da provvedere ed investigare gli autori della morte del Re, con amplissima autorità di punir severamente quelli, che si fossero trovati colpevoli. Questi dopo aver fatti morire due Gentiluomini Calabresi della camera del Re Andrea ne' tormenti, fece pigliare Filippa Catanese col figlio e la nipote, e dopo avergli tutti e tre fatti tormentare gli fece tanagliare sopra un carro, e la misera Filippa decrepita morì avanti, che fosse giunta al luogo, dove avea da decapitarsi 182 182 Cost. lib. 6. .

Dall'altra parte, essendo arrivata in Avignone la notizia di tal fatto al Pontefice Clemente, riputando, che s'appartenesse a lui ed alla Sede Appostolica la cognizione di questo delitto, cominciò a procedere anch'egli contro i colpevoli. In prima generalmente gli scomunicò, interdisse, dichiarò infami, ribelli e proscritti; (Questa prima Bolla di Clemente VI spedita in Avignone nel primo di febbraio 1346 si legge presso Lunig 183 183 Tom. 2 pag. 1111. ), ma per la lontananza del luogo riuscendo inutili tutte l'inquisizioni per liquidar le persone, diede con sua Bolla, spedita in Avignone nel 1346 quinto anno del suo pontificato, commessione a Bertrando del Balzo G. Giustiziere del Regno, Conte di Montescaglioso e d'Andria, con amplissima facoltà di procedere contro i colpevoli; ed in questa Bolla, ch'estratta dal regal Archivio vien rapportata da Camillo Tutini 184 184 Tutin. de' M. Giustizieri, fol. 62. V. Baluz. loc. cit. , si leggono fra l'altre queste parole: Nos nolentes, sicut nec velle debemus, tam horribile et detestabile, ac Deo, et hominibus odiosum facinus, cuius cognitio prima ad nos, et Romanam Ecclesiam in hoc casu pertinere dignoscitur, relinquere impunitum etc. 185 185 Prima Vita Clem. VI apud Baluz. tom. 1 pag. 247. Contra alios vero dictus Papa fecit processus, et fulminavit sententias quantum ratio dictabat, et justitia suadebat. Ed avendo con permissione anche della Regina, fatta diligente inquisizione, trovò colpevoli, come complici, cospiratori ed autori del delitto, Gasso di Dinissiaco Conte di Terlizzi, Roberto di Cabano Conte di Evoli e gran Siniscalco del Regno, Raimondo di Catania, Niccolò di Miliezano, Sancia di Cabano Contessa di Morcone, Carlo Artus e Bertrando suo figliuolo, Corrado di Catanzaro, e Corrado Umfredo da Montefuscolo. E poichè alcuni di essi dimoravano nel Regno, la di cui presura era difficile, e per la protezione che vantavano de' Reali, e perchè s'erano afforzati nelle loro Terre; il Conte Bertrando ebbe ricorso alla Regina, perchè con suo general editto si comandasse all'Imperadrice di Costantinopoli, ed a Lodovico di Taranto suo figliuolo, che sotto fedele e sicura custodia gli trasmettesse Carlo, Bertrando e Corrado d'Umfredo; e similmente comandasse al Principe di Taranto, al Duca di Durazzo e loro fratelli, a tutti i Conti e Baroni, e spezialmente a' cittadini napoletani, che nel caso dall'Imperadrice suddetta non si fossero quelli trasmessi, che detti Regali e Conti, e tutti gli altri con tutte le loro forze si conferissero nelle Terre e luoghi ove coloro fossero, per imprigionargli, offerendo anche egli di andarvi in persona, affinchè di essi si prendesse la debita vendetta; e di vantaggio, che scrivesse a' Vescovi, Vicari e loro Ufficiali, che con effetto mandassero in esecuzione gl'interdetti e le scomuniche fulminate dal Papa contro di loro, con dichiarare le terre ove dimoravano interdette, i loro fautori e ricettatori scomunicati, e che gl'interdetti suddetti tenacemente si osservassero ed ubbidissero. La Regina a tenor di queste dimande a' 7 ottobre di quest'anno 1346 fulminò un severo editto, che fu istromentato per mano di Adenolfo Cumano di Napoli Viceprotonotario del Regno, di cui mandò più autentici esemplari per tutte le città e province del Regno, ed in Napoli gli fece affiggere ne' portici del Castel Nuovo e della G. C. perchè a tutti fosse noto e palese. L'editto è parimente rapportato dal Tutini, dentro di cui si vede anche inserita la riferita Bolla di Clemente.

Mandò ancora la Regina, perchè di lei si togliesse affatto ogni sospetto, il Vescovo di Tropea in Ungaria al Re Lodovico suo cognato a pregarlo, che volesse avere in protezione lei vedova, ed un picciolo figliuolo, che l'era nato dal re Andrea suo marito, di cui nel riferito editto fassi anche memoria, chiamato Caroberto Duca di Calabria 186 186 Baluz. tom. 2 Vitae PP. Aven. pag. 689 e 690 rapporta due epistole di Clemente scritte alla Regina, che lo richiese di levar al fonte il parto; ed il Papa commise agli Arcivescovi di Napoli, di Bari e di Brindisi, o altro Prelato ad elezione della Regina di farlo in suo nome, siccome fu tenuto al fonte dal Vescovo Cavillocense Cancelliere di Giovanna. . Ma questa missione riuscì infruttuosa alla regina Giovanna; poichè re Lodovico persuaso già, che ella fosse consapevole e partecipe della morte d'Andrea, gli rispose, secondo che rapporta Antonio Buonfinio con una epistola di questo tenore: Impetrata fides praeterita, ambitiosa continuatio potestatis Regiae, neglecta vindicta et excusatio subsequuta, te viri tui necis arguunt consciam, et fuisse participem. Neminem tamen Divini, humanive judicii poenas nefario sceleri debitas evasurum .

CAPITOLO I

Seconde nozze della Regina Giovanna con Luigi di Taranto. Il Re d'Ungaria invade il Regno, e costringe la Regina a fuggirsene, e a ricovrarsi in Avignone: vi ritorna da poi, e coll'aiuto e mediazione del Papa ottiene dall'Unghero la pace

Al ritorno del Vescovo, la Regina fece palese a tutti quelli del suo Consiglio la risposta, e tutti giudicarono, che l'animo del Re d'Ungaria fosse di vendicarsi della morte di suo fratello, e compresero ancora, dall'aver incolpata Giovanna, per aver ritenuta e continuata la potestà regia, ch'egli pretendesse, che il Regno fosse suo: siccome ne diede anche manifesti indizi, quando pretese dal Papa l'investitura del Regno per Andrea suo fratello, non già come marito della regina Giovanna, ma come erede di Carlo Martello suo avolo. Giudicarono perciò tutti, ch'era necessario che la Regina si preparasse alla difesa; e perchè la prima cosa che avea da farsi era di pigliar marito, il quale avesse potuto con l'autorità e con la persona ostare a sì gran nemico, Roberto Principe di Taranto ch'era venuto a Napoli a visitarla, propose Lodovico suo fratello secondogenito, essendo Principe valoroso, e nel fiore degli anni suoi. A questa proposta applausero tutti gli altri più intimi del Consiglio, ed essendo già passato l'anno della morte di Re Andrea, per le novelle che s'aveano degli apparati del Re d'Ungaria, si contrasse il matrimonio subito, senz'aspettare dispensa del Papa.

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