Pietro Giannone - Istoria civile del Regno di Napoli, v. 6

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Di Benedetto XII suo successore scrissero ancora, che fosse un Papa avarissimo, duro, crudele, diffidente e tenace: che si dilettava di buffoni, di conversazioni licenziose ed inoneste: che fosse lussurioso, che si giacesse con più meretrici, e che fortemente innamorato della sorella del Petrarca, tanto facesse, che l'ebbe a sua voglia, e che la stuprasse 148 148 V. Baluz. in Notis PP. Aven. t. 1 p. 825. : che fosse un gran bevitore di vino, tanto che da lui nacque proverbio nelle brigate, che quando volevano passar con allegria il tempo tra boccali e pransi, costumavano di dire: Bibamus Papaliter 149 149 Vita 8 Bened. XII apud Baluz. t. 1 p. 240. . Quindi, essendo egli morto in Avignone nell'anno 1342 fu chi al suo sepolcro componesse questi versi.

Iste fuit Nero, laicis mors, vipera Clero,
Devius a vero, cuppa repleta mero 150 150 Vita 7 Bened. XII apud Baluz. l. c. .

Non meno che a Benedetto, imputavano a Clemente VI queste bruttezze, e che egli non meno, che il suo predecessore si contaminasse con meretrici. Ma assai più lo resero favola del Mondo per quella sua Bolla, che nel terzo anno del suo Pontificato pubblicò in Avignone, dove considerando la brevità della vita umana, restrinse il tempo del Giubileo a cinquanta anni; poichè per maggiormente animare qualunque sorta di persone da tutte le parti del Mondo a venire in Roma, anche senza richiedere licenza da' loro Superiori, gli assicurava, che se forse per istrada venissero a mancare, tanto avrebbero guadagnate le indulgenze e remission de' loro peccati, e le loro anime sarebbero state condotte subito in Cielo; e perciò comandava agli Angioli di Dio, che senza dimora alcuna gl'introducessero alla gloria del Paradiso: Et nihilominus (sono le parole della Bolla 151 151 Questa Bolla si legge presso Baluz. in 5 vita Clement. VI to. 1 p. 312, presso Cornelio Agrippa, ed altrove. ) prorsus mandamus Angelis Paradisi, quatenus animam illius a Purgatorio penitus absolutam in Paradisi gloriam introducant .

Quindi parimente s'avanzarono a dire, che per li Papi d'Avignone, e per la loro scellerata vita, fossero sorte in questo secolo tante eresie, e tanti errori; e che si fosse data occasione a Giovanni Oliva Frate Minore studiando l'Apocalisse farne un Comentario, e adattando quelle visioni al suo secolo, ed alla vita corrotta degli Ecclesiastici, d'aprire la strada a' suoi seguaci di riputare la Chiesa d'Avignone da Babilonia, e perciò di promettere una Chiesa nuova più perfetta sotto gli auspicj di S. Francesco, come colui, che avea stabilita la vera Regola Evangelica, osservata da Cristo, e da' suoi Appostoli; prorompendo da poi in altre bestemmie, pubblicando il Papa essere l'Anticristo, la Chiesa d'Avignone la Sinagoga di Satana, e che perciò non si dovea prestar più ubbidienza a Giovanni XXII, nè considerarlo più come Papa.

Dall'altra parte gli Scrittori franzesi, pur troppo amanti del lor paese, e degli uomini della loro Nazione, non possono senza collera sentire ciò, che i nostri Italiani scrissero di questa traslazione, e de' loro Pontefici avignonesi. Negli ultimi nostri tempi il più impegnato in lor difesa si vede essere Stefano Baluzio 152 152 Baluz. in Praefat. ad vitas PP. Aven. , il quale fa vedere quanto a torto gl'Italiani comparano quella traslazione all'Esilio Babilonico: che debba più tosto darsi la colpa a' Romani, i quali avendo ridotta Roma in una perpetua confusione piena di tumulti e di fazioni, costrinsero Clemente V a trasferire la sua Sede in Francia, la quale è stata sempre il sicuro asilo de' romani Pontefici: che agl'Italiani ciò non piacque, non per altro, se non perchè venivano ad esser privati de' comodi e guadagni, che lor recava la Corte di Roma; che se si dovesse in ciò dar luogo alle querele, più tosto la Francia dovrebbe dolersi di questo trasferimento in Avignone, la quale ne ricevè danni grandissimi, a cagion che li perversi Italiani, che quivi si portarono, corruppero i costumi de' Franzesi, i quali quando prima vivevano colla loro simplicità, menando una vita molto frugale, trasferita la Corte in Francia, appresero dagl'Italiani il lusso, le astuzie, le simonie, gl'inganni, ed i loro perversi costumi: tanto che Niccolò Clemange 153 153 Nicol. de Clemang. cap. 27 de corr. Ecol. statu. soleva dire, da quel tempo essersi introdotta in Francia la dissolutezza.

Sostengono ancora i Franzesi, che la residenza dei Papi in Avignone non iscemò in conto alcuno la possanza della Santa Sede, anzi che quivi si conservò con sommo onore ed unione: e che non servitù, ma protezione e riverenza ebbero da' loro Re. Che la vita e costumi de' Papi avignonesi comparati a quelli de' Papi di Roma, che ressero ivi la Sede Appostolica prima di questa traslazione, e da poi che quella fu restituita in Roma, furono meno peggiori, e meno scandalosi. Non doversi prestar intera fede a Giovanni Villani ed agli altri Scrittori italiani, che lo seguirono come appassionati; nè doversi l'esterminio de' Templarj attribuire al disegno che Clemente V ed il Re Filippo il Bello fecero d'occupare i loro beni, ma ai loro enormi delitti, ed esecrande eresie provate con reiterate confessioni de' rei. Ed il Baluzio nelle Note da lui fatte alle Vite de' Papi Avignonesi, adopera tutti i suoi talenti in purgar Clemente V da ciò, che gl'imputa il Villani: difende parimente Giovanni XXII, assolve Benedetto XII dallo stupro, che se gl'imputa della sorella del Petrarca, e dalla vinolenza. Si studia di far apparire apocrifa la Bolla di Clemente VI del Giubileo, ed in brieve prende con ardore la difesa di tutti que' Papi, che in Francia dimorarono.

Ma quantunque gl'Italiani nudrissero sentimenti contrarj a quelli de' Franzesi, a' nostri Regnicoli però fu uopo seguitare l'esempio de' loro Principi, ed allontanandosi da tutto il resto d'Italia, secondare i Franzesi. I nostri Re della Casa d'Angiò, siccome si è potuto osservare da' precedenti libri di quest'Istoria, erano grandemente obbligati a' Papi d'Avignone, e per conseguenza gli furono ossequiosissimi, e come leggi inviolabili erano i loro voleri prontamente eseguiti. Appena Clemente V diede avviso al re Carlo II della risoluzione presa, ed eseguita in Francia contro i Templarj, con richiedergli ch'egli lo stesso facesse eseguire ne' suoi Dominj, che subito questo Re lo ubbidì, e di vantaggio scrisse al Principe d'Acaja, che eseguisse parimente egli nel Principato d'Acaja quanto il Papa avea ordinato, con carcerare incontanente tutti i Templarj, ed occupare i loro beni, e tenergli in nome della Sede Appostolica 154 154 Chiocc. M. S, giurisd. tom. 8. .

Il Re Roberto avea maggiori obbligazioni col Pontefice Clemente, come s'è detto, e non men col suo successore Giovanni XXII . Questo Papa, prima d'esserlo, fu nudrito in Napoli nella Corte di Roberto, e dopo la morte di Pietro de Ferraris succedè egli al posto di Cancelliere del Re 155 155 Baluz. in Notis ad Vitas PP. Aven. tom. I p. 796. , e da poi a sua istanza fu fatto Vescovo d'Avignone: ed asceso al Pontificato si mantenne fra loro una stretta amicizia e corrispondenza. Quindi ciò che la Germania, e gli altri Stati d'Europa, per la contenzione che Giovanni ebbe con Lodovico Bavaro, non potè soffrire di questo Pontefice, presso di noi fu legge inviolabile. Egli c'introdusse le Regole della Cancelleria , e tutti i modi da lui inventati per cumular danari, furono nel Regno di Roberto prontamente eseguiti. Per questa ragione a questi tempi il nome de' Nunzj, e Collettori Appostolici si legge più frequente nel Regno; e la lor mano stesa anche sopra i beni delle Chiese vacanti.

§. II. De' Nunzj, ovvero Collettori Appostolici residenti in Napoli

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