Edward Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 2
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Ma benchè, nel trattamento de' suoi infelici rivali, soddisfacesse Aureliano la propria superbia, mostrò per essi tuttavia una generosa clemenza, raramente esercitata dagli antichi vincitori. I Principi, che con infelice successo aveano difeso il lor trono, o la lor libertà, erano sovente strangolati in prigione, subito che la pompa trionfale saliva sul Campidoglio. A questi usurpatori, la cui disfatta gli avea convinti del delitto di tradimento, fu permesso di passare la vita nell'opulenza, ed in un onorevol riposo. L'Imperatore regalò a Zenobia una bellissima villa a Tibure ovvero Tivoli, lontana quasi venti miglia dalla Capitale; la Regina della Siria divenne a poco a poco una Matrona Romana; le figliuole di lei si maritarono con persone di famiglie nobili, e la sua discendenza non era ancora estinta nel quinto secolo 82 82 Vopisco nella Stor. Aug. p. 199. Hieronym. in Chron. Prosper. in Chron. Baronio suppone che Zenobio, vescovo di Firenze ai tempi di S. Ambrogio, fosse della famiglia di lei.
. Tetrico ed il suo figliuolo furono ristabiliti nel loro grado e nei loro beni. Eressero sul Monte Celio un magnifico palazzo, ed appena fu terminato, invitarono a cena Aureliano. Fu egli al suo ingresso dilettevolmente sorpreso da un quadro rappresentante la loro singolare istoria. Erano essi dipinti, prima in atto di offrire all'Imperatore una corona civica e lo scettro della Gallia, e di poi in atto di ricever dalle mani di lui gli ornamenti della Dignità Senatoria. Ebbe quindi il padre il governo della Lucania 83 83 Vopisco nella Stor. Aug. p. 222. Eutropio, IX. 13. Vittore Juniore. Ma Pollione nella Stor. Aug. p. 196 dice che Tetrico fu fatto Censore di tutta l'Italia.
, ed Aureliano, che presto ammesse il deposto Monarca alla sua amicizia e conversazione, familiarmente gli domandò, se non era più desiderabile l'amministrare una Provincia dell'Italia, che il regnare di là dall'Alpi? Il figliuolo continuò lungamente ad essere un rispettabil membro del Senato; nè vi fu alcuno tra la Nobiltà Romana più stimato da Aureliano, e dai successori di lui 84 84 Stor. Aug. p. 197.
.
La pompa del trionfo di Aureliano fu così lunga e sì varia, che quantunque cominciasse all'alba, pure la lenta maestà della processione non salì sul Campidoglio prima dell'ora nona; ed era ormai sera quando tornò l'Imperatore al palazzo. La festa fu allungata con teatrali rappresentanze, i giuochi del Circo, la caccia delle fiere, i combattimenti dei gladiatori, e le battaglie navali. Furono all'esercito ed al popolo distribuiti liberali donativi; e varie istituzioni, o grate o utili alla città, contribuirono a perpetuare la gloria di Aureliano. Una considerabil porzione delle sue spoglie Orientali fu consacrata agli Dei di Roma; il Campidoglio, ed ogni altro tempio rilucevano per le offerte della sua fastosa pietà; e il solo tempio del Sole ricevè quasi quindicimila libbre di oro 85 85 Vopisco nella Stor. Aug. 222. Zosimo l. I. p. 156. Egli vi collocò le immagini di Belo e del Sole, che portate avea da Palmira. Fu questo dedicato nel quarto anno del suo regno ( Euseb. in Chron. ), ma fu sicurissimamente cominciato dopo il suo avvenimento al trono.
. Quest'ultimo era d'una magnifica struttura, eretto dall'Imperatore sulla falda del Monte Quirinale, e dedicato, subito dopo il trionfo, a quel Nume, che Aureliano adorava come padre della sua vita e delle sue fortune. La madre di lui era stata una sacerdotessa inferiore in una cappella del Sole: una particolar devozione al Dio della Luce era un sentimento imbevuto, fin dall'infanzia, dal fortunato Agricoltore; ed ogni passo della sua elevazione, ogni vittoria del suo regno avvalorava la superstizione con la gratitudine 86 86 Vedi nella Stor. Aug, p. 210. i presagi della fortuna di lui. La sua devozione al Sole apparisce nelle sue lettere, nelle sue medaglie, ed è riferita nei Cesari di Giuliano. Vedi Comment. di Spanemio, p. 109.
.
Le armi di Aureliano aveano vinto gli stranieri e i domestici nemici della Repubblica. Siamo assicurati, che con il suo salutevol rigore, i misfatti e le fazioni, le male arti e la perniciosa connivenza, fecondi germogli di un debole ed oppressivo governo, furono estirpati da tutto il mondo Romano 87 87 Vopisco nella Stor. Aug. p. 221.
. Ma se riflettiamo attentamente quanto più pronto è il progresso della corruzione, che la guarigione di essa, e se rammentiamo che il numero degli anni, abbandonati ai pubblici disordini, superava quello dei mesi destinati al marzial regno di Aureliano, dobbiam confessare che non bastavano pochi corti intervalli di pace per l'arduo lavoro di una riforma. Il suo tentativo, perfino di ristabilire la bontà della moneta, fu traversato da una formidabile sollevazione. Si scopre l'angustia dell'Imperatore in una delle sue private lettere. «Certamente» (dic'egli) «gli Dei han decretato che la mia vita sia una guerra continua. Una sedizione dentro le mura ha fatto nascere appunto adesso una guerra civile molto seria. Gli artefici della zecca, ad istigazione di Felicissimo, schiavo a cui ho affidato un impiego nelle Finanze, si mossero a ribellione. Son finalmente sedati: ma caddero uccisi nei conflitto settemila dei miei soldati, di quelle truppe, che stanno ordinariamente a quartiere nella Dacia, ed accampate lungo il Danubio 88 88 Stor. Aug. p. 222. Aureliano nomina quei soldati, Hiberi, Riparienses, Castriari, et Dacisci .
.» Altri Scrittori, i quali confermano il medesimo fatto, aggiungono altresì che questo accadde subito dopo il trionfo di Aureliano; che la decisiva zuffa seguì sul Monte Celio; che i lavoranti della zecca aveano adulterata la moneta; che l'Imperatore ristabilì la pubblica fede, col dare moneta buona in cambio della cattiva, cui il popolo fu obbligato di portar al tesoro 89 89 Zosimo, l. I. p. 56. Eutropio IX. 14. Aurel. Vittore.
.
Potremmo contentarci di riferire questo straordinario fatto, ma non possiamo dissimulare quanto nella presente sua forma ci sembra insussistente e incredibile; La deteriorazione della moneta è, per vero dire, convenientissima all'amministrazione di Gallieno, nè improbabile sembra che gli strumenti della corruzione paventassero l'inflessibil giustizia di Aureliano. Ma la colpa, come il profitto, dovea restringersi a pochi, nè facile è il concepire con quali arti potevano armare un popolo da loro offeso, contro un Monarca da loro tradito. Dovrebbe naturalmente aspettarsi che questi traditori incorressero la pubblica detestazione, come i delatori e gli altri ministri della oppressione; e che la riforma della moneta fosse un'azione ugualmente popolare che la distruzione di quegli antichi conti, che furono per ordine dell'Imperatore bruciati nel Foro di Traiano 90 90 Stor. Aug. p. 223. Aurel. Vittore.
. In un secolo, nel quale i principj del commercio erano così imperfettamente conosciuti, il fine più desiderabile potea forse ottenersi con mezzi rigorosi e imprudenti; ma un passeggiero gravame di tal natura può appena eccitare e mantenere una seria guerra civile. Il rinnovamento di tasse insopportabili, imposte o su i terreni o su i generi necessari alla vita, può finalmente concitare quelli che o non vogliono o non possono abbandonare la patria. Ma il caso è molto diverso in ogni operazione, che per qualsivoglia mezzo ristabilisce il giusto valore della moneta. Il male passeggiero è presto dimenticato per l'utile permanente, lo scapito va diviso fra molti; e se pochi opulenti individui soffrono una sensibil diminuzione di ricchezze, perdono insieme con queste quel grado di peso e d'importanza, che traevano dal possedimento delle medesime. In qualunque maniera volesse Aureliano nascondere la vera causa della ribellione, la sua riforma della moneta poteva fornire solamente un debol pretesto ad un già potente e malcontento partito. Roma, benchè priva della libertà, era lacerata dalle fazioni. Il popolo, per cui l'Imperatore, plebeo egli stesso, sempre professava una particolar tenerezza, viveva in continue dissensioni col Senato, coll'Ordine Equestre, e coi Pretoriani 91 91 Infierì già prima del ritorno di Aureliano dall'Egitto. Vedi Vopisco, che cita una lettera originale. Stor. Aug. p. 244.
. Niente meno che la ferma, benchè segreta congiura di questi ordini, dell'autorità del primo, dell'opulenza del secondo, e delle armi dei terzi, avrebbe potuto spiegare una forza bastante per contendere in battaglia con le veterane legioni del Danubio, che sotto la condotta di un Sovrano guerriero aveano compita la conquista dell'Oriente e dell'Occidente.
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