Edward Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 2
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Quando ebbero le legioni soddisfatto al loro dolore e pentimento per la morte di Probo, con unanime consenso dichiararono Caro Prefetto del Pretorio, come il più degno del trono imperiale. Ogni circostanza relativa a questo Principe comparisce d'una varia ed incerta natura. Ei si gloriava del titolo di cittadino Romano, ed affettava di paragonare la purità del suo sangue colla straniera e perfino barbara origine dei precedenti Imperatori, ma i più curiosi indagatori fra i suoi contemporanei, ben lungi dall'ammettere questa pretensione, hanno variamente dedotta l'origine di lui, o quella dei suoi genitori, dall'Illirico, dalla Gallia o dall'Affrica 160 160 Tutto questo per altro può conciliarsi. Egli era nato a Narbona nell'Illirico, confusa da Eutropio colla più famosa città di quel nome nelle Gallie. Suo Padre potea essere un Affricano, e sua madre una Dama Romana. Caro fu educato egli stesso nella Capitale. Vedi Scaligero, animadv. ad Euseb. Chron. p. 241.
. Benchè soldato, egli ebbe una culta educazione; e benchè Senatore, gli fu conferita la prima dignità dell'esercito; ed in un secolo, in cui le professioni civile e militare cominciarono ad essere stabilmente separate l'una dall'altra, esse furono unite nella persona di Caro. Non ostante la severa giustizia da lui esercitata contro gli assassini di Probo, al favore e alla stima del quale egli era altamente obbligato, non potè evitare il sospetto di esser complice di un misfatto, da cui ricavò il principale vantaggio. Egli godeva (almeno avanti il suo innalzamento) la riputazione d'uomo abile e virtuoso 161 161 Probo aveva richiesto al Senato una statua equestre, ed un palazzo di marmo a pubbliche spese, come ricompense dovute al merito singolare di Caro. Vopisco nella Stor. Aug. p. 249.
; ma l'austero suo naturale si cangiò insensibilmente in fastidioso e crudele, e gl'imperfetti Scrittori della sua vita non sanno se devono porlo nel numero dei Tiranni di Roma 162 162 Vopisco nella Stor. Aug. p. 242,249. Giuliano esclude l'Imperator Caro, ed ambi i figliuoli di lui dal convito dei Cesari.
. Quando Caro prese la porpora, era nell'età di circa sessant'anni, ed i due suoi figli Carino e Numeriano erano ormai giunti alla virilità 163 163 Giovanni Malela, tom. I. p. 401. Ma l'autorità di quel Greco ignorante è molto leggiera. Egli ridicolosamente fa venire da Caro la città di Carre , la Provincia di Caria, l'ultima delle quali è menzionata da Omero.
.
L'autorità del Senato morì con Probo, nè i soldati dimostrarono il loro pentimento con quel rispettoso riguardo per la potenza civile, che aveano palesato dopo l'infelice morte di Aureliano. Fu l'elezione di Caro decisa senza aspettare l'approvazione del Senato; ed il nuovo Imperatore si contentò di notificare con una fredda ed altiera lettera, ch'era salito sul trono vacante 164 164 Stor. Aug. p. 249. Caro si congratulò coi Senatori perchè uno del loro Ordine era stato fatto Imperatore.
. Una condotta tanto opposta a quella dell'amabile suo predecessore, non recò alcun favorevol presagio del nuovo Regno, ed i Romani, privi di potere e di libertà, usarono del privilegio rimasto loro di mormorare 165 165 Stor. Aug. p. 242.
. Non si mancò per altro di congratularsi con lui e di adularlo; e possiam tuttavia leggere con piacere e disprezzo un'egloga, che fu composta per l'avvenimento dell'Imperator Caro. Due pastori per evitare il calore del mezzogiorno si ritirano nella grotta di Fauno. Sulla scorza d'un ombroso faggio vedono alcuni freschi caratteri. La rustica Deità avea descritta in versi profetici la felicità promessa all'Impero sotto il Regno di sì gran Principe. Fauno saluta l'Eroe, che ricevendo sulle sue spalle il cadente peso del mondo Romano, estinguerà le guerre e le fazioni, e farà risorgere l'innocenza e la tranquillità del secol d'oro 166 166 Vedi la prima egloga di Calfurnio. Fontenelle ne preferisce il disegno a quello del Pollione di Virgilio. Vedi tom. III. pag. 148.
.
È più che probabile che queste eleganti inezie non giungessero mai alle orecchie di un Generale veterano, che con il consenso delle legioni si preparava ad eseguire il lungamente sospeso disegno della guerra Persiana. Avanti la sua partenza per questa remota spedizione, Caro conferì ai due suoi figli, Carino, e Numeriano, il titolo di Cesare, e rivestendo il primo di una quasi ugual porzione d'imperial potere, ordinò al giovane Principe di prima sedare alcune perturbazioni insorte nella Gallia, e di poi stabilire la sua residenza in Roma, ed assumere il governo delle Province Occidentali 167 167 Stor. Aug. p. 353. Eutropio, IX. 18. Pagi annal.
. Fu la salvezza dell'Illirico assicurata con una memorabil disfatta dei Sarmati. Sedicimila di quei Barbari restarono sul campo di battaglia, e montò a ventimila il numero dei prigionieri. Il vecchio Imperatore, animato dalla fama e dall'aspetto della vittoria, continuò la sua marcia di mezzo verno per le campagne della Tracia e dell'Asia Minore, ed arrivò finalmente col suo più giovane figliuolo Numeriano ai confini della Monarchia Persiana. Là accampato sulla cima di un'alta montagna, mostrò alle truppe l'opulenza ed il lusso dei nemici che andavano ad assalire.
A. D. 283
Il successore di Artaserse, Varane o Bahram, benchè avesse soggiogati i Segesti, una delle più bellicose nazioni dell'Asia superiore 168 168 Agatia l. IV. p. 135. Si trova una delle sue sentenze nella Bibliot. Orient. del Sig. d'Herbelot. «La definizione dell'umanità contiene tutte le virtù».
, fu atterrito dalla venuta dei Romani, e procurò di arrestarli con un trattato di pace. I suoi ambasciatori entrarono nel campo verso il cader del Sole, mentre le truppe si ristoravano con un pasto frugale. I Persiani manifestarono il loro desiderio di essere introdotti alla presenza dell'Imperator Romano. Furono essi finalmente condotti dinanzi ad un soldato assiso sull'erba. Un pezzo di lardo vieto, e pochi secchi piselli componean la cena di quello. Un rozzo manto di porpora era l'unico indizio della sua dignità. Si fece l'abboccamento collo stesso disprezzo della cortigiana eleganza. Caro levandosi un berretto, che portava per nascondere la sua calvezza, assicurò gli Ambasciatori, che se il loro Sovrano non avesse riconosciuta la superiorità di Roma, egli avrebbe subitamente ridotta la Persia così nuda di alberi, come era la testa sua di capelli 169 169 Sinesio attribuisce questo fatto a Carino, ed è molto più naturale di riferirlo a Caro, che a Probo, come vorrebbero il Petavio ed il Tillemont.
. Malgrado le tracce di una studiata ostentazione possiamo da questa scena conoscere i costumi di Caro, e la severa semplicità, che i marziali successori di Gallieno aveano già ristabilita nei campi Romani. I ministri del gran Re tremarono e si ritirarono.
Non furono senza effetto le minacce di Caro. Egli devastò la Mesopotamia, tagliò a pezzi tutto quello, che si oppose al suo passaggio, s'impadronì delle grandi Città di Seleucia e di Tesifonte (che sembra essersi rese senza resistenza) e portò le armi sue vittoriose di là dal Tigri 170 170 Vopisco nella Stor. Aug. p. 250. Eutropio IX. 18. I due Vittori.
. Egli avea preso il favorevol momento per una invasione. I Consigli Persiani erano divisi dalle fazioni domestiche, e la maggior parte delle lor forze era ritenuta sulle frontiere dell'India. Roma e l'Oriente ricevean con trasporto le nuove di vantaggi così rilevanti. L'adulazione e la speranza dipingevano coi più vivi colori la caduta della Persia, 171 171 Alla vittoria Persiana di Caro io riferisco il dialogo del Filopatride , ch'è stato per tanto tempo un soggetto di disputa tra i letterati. Ma sarebbe necessaria una dissertazione per ischiarire e giustificare la mia opinione.
la conquista dell'Arabia, la soggezione dell'Egitto, ed una durevole sicurezza dalle incursioni degli Sciti. Ma il Regno di Caro era destinato a dimostrare la vanità delle predizioni. Queste appena pubblicate, furono deluse dalla morte di lui; avvenimento accompagnato da tali ambigue circostanze, che non può riferirsi meglio che con una lettera del Segretario di esso al Prefetto della Città. «Caro (dic'egli), nostro dilettissimo Imperatore, era dalla malattia confinato nel letto, quando scoppiò sul campo una furiosa tempesta. Le tenebre, che coprivano il cielo, erano così dense, che ne impedivano il vederci l'un l'altro, ed i continui lampi dei fulmini ci toglievano la cognizione di tutto ciò che seguiva nella general confusione. Immediatamente dopo un violentissimo scoppio di tuono, udimmo un grido improvviso ch'era morto l'Imperatore; e subito videsi che i suoi Cortigiani aveano in un trasporto di dolore messo fuoco alla tenda Reale; circostanza per cui si disse che Caro fu ucciso dal fulmine. Ma per quanto possiamo investigar la verità, la sua morte fu il naturale effetto della sua malattia 172 172 Stor. Aug. p. 250. Ma Eutropio, Festo, Rufo, i duo Vittori, Girolamo, Sidonio Apollinare, Sincello e Zonara, tutti attribuiscono ad un fulmine la morte di Caro.
.»
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