Вальтер Скотт - I Puritani di Scozia, vol. 1

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I Puritani di Scozia, vol. 1: краткое содержание, описание и аннотация

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In questa, gli mostrò un sentiero, che guidava alla volta di aride e deserte montagne, e già stava abbandonando la strada maestra per prendere quella via, allor quando gli si affacciò una donna avvolta in rosso mantello, che seduta dianzi sull'orlo del cammino, al vederlo si alzò, e avvicinatasi a lui, in misterioso tuono gli disse.

»Guai a voi se vi avviate per questo sentiero! Sta il lione nelle montagne, e cerca divorare le povere nostre agnelle smarrite.»

»Dio avrà cura della sua greggia, rispose lo straniero. Ma ove sono Hamilton e Rathillet?»

»Nelle foreste di Drake-Moss con sessanta o settanta uomini fra pedoni e cavalieri, ma sforniti d'armi, di viveri, di munizioni.»

»Procurerò unirmi ad essi.»

»Dio vi liberi dal tentarlo in tal sera! Tutti i passi son guerniti dai nostri persecutori. Piuttosto cercatevi qualche nascondiglio insin che dura la notte; domani mattina vi sarà più facile il potergli raggiugnere.»

»Dimorate voi in queste vicinanze? Potete darmi ricovero in casa vostra?»

»La mia capanna non è distante che un miglio, ma quattro figli di Belial, quattro dragoni vi si sono posti di guernigione, e devastano quel poco ch'io possiedo per punirmi di non aver voluto assistere alla predica del nostro ministro, che non è nel numero de' veri credenti.»

»Sofferite e sperate, buona donna. Addio. Vi ringrazio. Ma (soggiunse, appena fu partita la vecchia) e dove troverò io un'asilo per questa notte?»

»Se avesse una casa mia propria, disse Merton, a costo d'affrontare qualunque rischio vi darei un ricetto, anzichè lasciarvi in balìa ai pericoli da cui sembrate or minacciato; ma mio zio dopo le ammende e le pene pronunziate contra coloro che hanno lega co' Presbiteriani refrattari al governo, è stato preso da tale spavento, che ha proibito rigorosamente a tutti della sua casa d'avere alcuna sorte di comunicazione coi medesimi.»

»A ciò mi aspettava, lo straniero soggiunse. Per altro poteste ricevermi senza ch'ei lo sapesse. Un granaio, una scuderia, un fenile bastano a mio ricovero.»

»Vi accerto che mi è impossibile il farvi entrare in Milnwood senza il consenso di mio zio, e quand'anche il potessi, avrei scrupolo di coscienza nell'avventurarlo a quel pericolo che più di tutti ei paventa.»

»Non mi resta a dirvi che una sola parola. Vostro padre vi ha egli parlato mai di Iohn Balfour di Burley?»

»Che gli salvò la vita a rischio della propria nella giornata di Marston-Moor? Sì certamente, e spesso me ne ha parlato.»

»Ebbene, o giovane, vedi questo uomo dinanzi a te. Pensa, se vuoi commettere a morte sicura chi salvò i giorni del tuo genitore.»

Mille ricordanze allora si offersero alla mente di Morton, tenerissimo quasi all'idolatria della memoria del padre: riandava fra se medesimo quante volte questi gli avea fatto parola dell'importante servigio prestatogli da Balfour di Burley, e quant'altre espresse il proprio rincrescimento sulle guerre civili della Scozia, che non gli permettevano mostrarsegli grato; perchè fin d'allora che la Scozia si divise fra i Partigiani della repubblica e que' di Carlo II, figlio dell'infelice Stuardo perito sopra d'un palco, l'ardente fanatismo di Bothwell spinse costui nella prima delle due fazioni, nè il padre di Morton più lo rivide.

Il giovane di Milnwood stava tuttavia ondeggiando fra tali idee, allorchè un rumor di tamburo uditosi da lontano lo fece risolvere.

»Questi è senza dubbio Claverhouse col restante del suo reggimento, esclamò. Se proseguite il cammino, cadete inevitabilmente nelle sue mani; se volgete i passi ver la città rischiate d'incontrarvi nel colonnello Graham. Le gole delle montagne son custodite. Non posso abbandonare in tale pericolo chi salvò la vita a mio padre. Venite a Milnwood. Se siamo scoperti, farò in modo che la punizione della giustizia cada sopra di me, senza avvolgere nella mia rovina uno zio…»

Burley ascoltò tale discorso senza mostrar grande commozione, indi si fece a seguire chetamente Morton.

Il castello di Milnwood fabbricato dal padre di chi n'era a quei giorni proprietario noveravasi fra i più belli, ridotto però in uno stato di grande scadimento per la niuna sollecitudine datasi dal presente padrone a restaurarlo. Una breccia aperta nel muro di cinta dava ingresso nel cortile della scuderia, e fu per questa che venne introdotto Burley.

»Gli è d'uopo che vi lasci qui un momento, gli disse, fintantochè io vada in casa per procurarvi un letto.»

»Qual bisogno ne ho io? rispose Burley. Sono trent'anni dacchè la mia testa si adagia più spesso sulla nuda terra che su i cuscini. Oltrechè voi poi non potete farmi entrare in casa senza ammettere alla confidenza del mio segreto qualcuno, e sarebbe ciò un aumentarmi il pericolo di venire scoperto.»

Timore che parve fondatissimo a Morton, il quale fece entrare il compagno nella scuderia, ove collocarono i loro cavalli, e Burley si fece letto di alcuni fasci di paglia.

»Tornerò fra brevi istanti, gli disse Morton, e vi porterò que' reficiamenti che a tale ora mi sarà possibile procacciarmi.»

E per vero dire ei non era poco impacciato a serbare questa promessa: perchè la speranza di ottenere da cena tutta era posta nel trovare di buon'umore la sola persona alla quale il signor del castello dava l'intera sua confidenza, la vecchia governante. Se questa donna fosse andata a letto, o corrucciata per avere aspettato il suo giovane padrone oltre la mezza notte, vi era grande probabilità per l'ospite di dover dormire a digiuno.

Inoltratosi adunque Morton alla porta di casa, picchiò modestamente com'era solito praticare tutte le volte quando avvenivagli di tornare dopo l'ora in cui suo zio aveva uso di ritirarsi. Così assumea l'aria di chi confessa una colpa e ne chiede remissione, e sollecitava anzichè chiedere di essere ammesso. Ripetè due volte quel picchio, e la governante, lasciando il cantone del fuoco, presso cui stava seduta, e mettendosi attorno al collo un secondo fazzoletto per ripararsi dal freddo, trasse il catenaccio, abbassò una stanga di ferro, e la porta fu aperta.

»Bell'ora di tornare a casa, signor Enrico! (gli disse con quel tuono che d'ordinario prendono le fantesche viziate dall'indulgenza del loro padrone) bell'ora da disturbare il riposo d'una casa tranquilla, e da obbligarmi a vegliare alzata aspettandovi ad onta d'un ostinato raffreddore che provo!»

E per mostrare di non avere detto bugia tossì due o tre volte.

»Vi ringrazio, Alison, vi ringrazio di tutto cuore!»

»Mio Dio! sig. Enrico, siete ben divenuto un gran signore! Tutti mi dicono mistress Wilson. Il sig. Milnwood solamente mi chiama Alison, ma non sempre. Spesse volte mi nomina mistress Wilson anche egli.»

»Ebbene, mistress Wilson, io sono dunque mortificatissimo d'avervi fatto aspettar tanto tempo.»

»Or dunque che state a fare? prendete una candela e andate a coricarvi – Soprattutto, abbiate attenzione di non lasciarla sgocciolare nell'attraversare i corritoi; perchè qui c'è sempre da pulire, e tutte le faccende vengono addosso a me.»

»Ma la mia cara Alison, vorrei veramente cenare prima di mettermi a letto.»

»Cenare! Lo dite per celia, signor Enrico? Come se non sapessimo che siete stato eletto capitano del Pappagallo , e che avete condotti tutti gli sfaccendati della contea all'osteria del suonatore di cornamusa, di Niel, banchettandogli, a spese sicuramente di vostro zio; perchè dove avreste trovato voi di che pagare un tal conto? datemi ora ad intendere che avete bisogno di cena!»

»Vi assicuro, mia buona mistress Wilson, che muoio di fame e di sete e so che avete troppa cortesia per non lasciarmi pregare invano.»

»Ah sig. Enrico! come sapete far bene per conciliarvi le donne! Pazienza se non saranno che vecchie! non correrete pericolo, ma tenetevi lontano dalle giovani – Ebbene! son per darvi una prova di non avervi dimenticato. Lo so anch'io che non bisogna mettere i giovinetti al caso di andare a letto a stomaco vuoto.»

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