Giuseppe Giacosa - Impressioni d'America
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CAPITOLO III.
L'intemperanza degli americani
Quando si affermano le qualità caratteristiche di un popolo ed in special modo di un popolo vario e progressivo quale l'americano, si parla ben inteso sulle generali. Le grandi città dell'Unione e segnatamente quelle prossime all'Atlantico, raccolgono oramai una società cosmopolita, nella quale i caratteri etnici sono in apparenza attenuati e modificati dalla convivenza con genti europee, dalla coltura, dai viaggi, dai parentadi, dalla vanità, dalla moda. L'europeo colto, che giunga in America, e frequenti per l'appunto tale società vi trova la più squisita gentilezza di modi e, sopratutto nelle donne, una grande cura di far risaltare le affinità e di nascondere le dissomiglianze di razza. I circoli eleganti di New-York sono al fatto di quanto segue giornalmente nelle grandi capitali d'Europa nel campo dell'arte, degli spettacoli, nelle feste, nella cronaca mondana, dell'almanacco di Gotha, e ne discorrono come di cose vicine e famigliari. Le signore americane le quali ostentano volentieri una sprezzante ignoranza intorno alla vita politica del loro paese, arrossirebbero di non saper nominare le dame d'onore della regina d'Inghilterra, o dichiarare il grado di parentela che corre tra le case d'Assia e di Mecklembourg o dare il suo giusto titolo ad un cameriere intimo di Sua Santità, il sommo Pontefice. È curiosa la conoscenza sicura che hanno quelle belle protestanti, delle cariche, delle cerimonie e degli intrighi vaticani e curiosissimo l'untuoso rispetto con cui ne discorrono. La corte papale esercita su di esse una seduzione, non guari dissimile nelle origini da quella che esce dai laboratorii di sartoria muliebre del Worth e dai prontuarii di casistica erotica di Paolo Bourget. I papisti sono consapevoli del fascino nobiliare che esercita il cattolicismo e lo mettono a partito. I preti ed i prelati cattolici residenti nelle grandi città americane, disciolti dall'obbligo di vestire l'abito sacerdotale, fanno una propaganda mondana che dà copiosi frutti. La loro aria di degnazione benevola, il loro distacco dalle cose terrene cui s'accostano indulgenti, il parlare sobrio e pacato, il loro rifarsi nei discorsi d'arte e di signoria da tradizioni universalmente rispettate, sono per essi altrettante cagioni di un predominio cui il fondamentale dissidio religioso aggiunge sapore.
Ma la importazione del gusto raffinato e mutevole dell'alta società europea e la levigatura che procede sempre dalla ricchezza, non modificarono se non in apparenza le tendenze native. A parole, i fashionables del caffè Del Monico, professano un'estetica delicata che deve costar loro una continua autovigilanza. Quella tenuità di pensamenti e di movimenti che è il non plus ultra della sciccheria, stride col loro fisico poderoso e bisognoso d'azione. Il formidabile individualismo onde trassero nel tempo ricchezza e grandezza, si adagia a stento nella disciplina convenzionale della nostra gente per bene. Quando si mettono per godere, vogliono godere oltre misura. Cento doganieri dell'estetica, appostati sull'entrata di un salone a respingerne ogni oggetto non bollato per raffinatissimo, non possono impedire che la raccolta di troppe cose squisite esprima un gusto se non eteroclito, eterodosso. Ogni particolare della vita di quei gaudenti, otterrebbe l'accessit dal più schifiltoso fra i dittatori della moda e della delicatezza parigina, ma il loro complesso tradisce per lo più quella inclinazione a fare in grande che è propria degli arricchiti. Eppure esiste in America una aristocrazia plutocratica, i cui titoli nobiliari risalgono a nonni milionari. Ma quel sottile smeriglio che è il milione da lungo tempo posseduto, non venne ancora a capo di levigare del tutto la ruvida scorza che salì dal ceppo agli ultimi rami. È certo che in America la lunga ricchezza non produsse ancora quello che noi pare supremo fiore dell'eleganza spregiudicata e sicura: l'amore del semplice. Lo produrrà mai? La domanda è oziosa. Meno ozioso il domandare se sarà bene che lo produca. Ed io sto per la negativa. Noi abbiamo cristallizzato il gusto. Il senso della misura, è conservatore per eccellenza, e nasce da timidità. Chi visita gli Stati Uniti, poichè si riebbe dal primo sbalordimento, prende a dubitare della nostra estetica legittimista. Se cerchiamo bene, poichè la gente capace di un giudizio genuino è molto scarsa, il consenso universale nei postulati estetici procede presso di noi da una riverenza tradizionale, non scevra di pigrizia. Noi non ammettiamo i novatori se non quando sono decrepiti e nell'essere stato riconosciamo la prima e principale ragione dell'essere. Così andiamo sempre più divezzando la gente pigra dal pensare col proprio cervello.
L'Americano, all'incontro, cura più il gusto presente che il passato. Il suo difetto di tradizioni secolari, che noi europei avvertiamo di subito e che sulle prime produce nelle nostre menti consuetudinarie un senso di disagio, lo franca dalla timidità rispettosa e lo aiuta a conseguire la personalità. Non è il caso ch'io riprenda, dopo tanti altri, la difesa della originalità americana e non voglio nemmeno dire che i prodotti estetici del nuovo mondo, mi siano tutti, nè la maggior parte, andati a genio. Italiano, sento all'italiana, in ciò solo più spregiudicato di molti miei connazionali, che non derido gli americani del loro sentire diverso dal mio. Perciò nel notare i loro tratti caratteristici, mi guardo bene dall'imputar loro a colpa, la differenza dai nostri. Noto e mi godo nel pensare che la fratellanza cosmopolita non induca per ora, e non sia per indurre mai, una uniformità stucchevole fra tutte le genti.
Del rimanente agli americani le nostre derisioni non fanno nè caldo nè freddo; essi gustano anzi volentieri le caricature che andiamo facendo dello Zio Sam e di Jonathan, e quelli stessi cui una vanità esotica consiglia di adottare le costumanze europee, a chi loro persuade che non ci riescono, rispondono con un sorriso fino fino, dove si può leggere insieme uno stupore canzonatorio ed un orgoglio indulgente. Sembrano dire: a me lo contate? Quasi che si tenessero della non riuscita. Non giurerei che non fosse un po' il caso dell'uva acerba, ma si può star certi che l'acerbità dell'uva non li accora di troppo. Credo per fermo che fra tutti i cittadini dell'Unione non se ne trovi pur uno così continuamente studioso di esotizzarsi come lo sono tanti nostri anglomani delle società per le corse.
Alla personalità degli americani giovò sopratutto il non aver essi nessuna paura del ridicolo. Il ridicolo in America non fa presa e dove non fa presa non esiste, perchè non è che un fantasima creato dalla paura. Anche nei paesi latini, dove può tanto, chi più lo teme più c'incappa dentro e, diciamolo, più merita di incapparci. Il ridicolo è un prodotto delle società da lungo tempo costituite, le quali finiscono sempre col chiudersi in un formalismo dommatico. Esso aiuta le serrate di classe contrastando l'entrata d'ogni classe a chi ne sta fuori e l'uscita a chi ci è dentro. Cane di guardia dello statu quo , non morde mai chi si appaga a quel grado di mediocrità che tutti possono conseguire, ma si avventa contro i solitari che lo soverchiano. Educatrice a qualità discrete, a gentili eleganze ed a virtù negative, la tema del ridicolo impigrisce l'esercizio delle attività individuali e frena i movimenti iniziatori. Perciò i paesi dove esso più agisce sono spesso retrogradi e sempre consuetudinari; e perciò ivi l'eccentricità, cioè l'essere dissimile dai più, induce sempre un'idea di ridicolo. Ora se badiamo al procedere della civiltà, noi troviamo che il minor numero di uomini eccentrici s'incontra nei popoli stazionarii ed il maggiore nei progressivi. L'America informi.
D'altra parte è da vedere se i milioni siano più discreti di qua che di là dell'Atlantico. In fatto di gusto, che vuol poi dire di senso artistico riferito a tutte le cose, le società dispendiose e gaudiose dei due continenti su per giù si bilanciano. Le case degli arricchiti ed anche le nuovissime di molti nobili di ceppo antico non sono meno lussureggianti e stupefacenti in Europa che in America; colla differenza che qui si tira a far colpo con poco, anche i duchi e principi, e là purchè ci paia, non si bada a lesinare. Tra un arazzo autentico e la sua imitazione ingannatrice, l'europeo si appaga del falso, mentre l'americano corre al vero. Ma nelle origini e nelle applicazioni del gusto, avvenne in questi ultimi anni in Europa un notevole rivolgimento. Il gusto raffinato che fu già nei secoli andati quasi esclusivo privilegio delle classi più ricche ed elevate, è venuto oggi in gran parte ritraendosi da quelle ed allargandosi nelle classi mediane. Il maggior merito di questa evoluzione spetta all'Inghilterra la quale nelle industrie artistiche più cura la purezza delle linee e la giustezza delle proporzioni che la ricchezza degli ornamenti. Al giorno d'oggi hanno un'eleganza più artistica gli oggetti usuali che quelli di mero lusso. Noi abbiamo perduto il secreto di quel fasto largo e riposato che spiegavano le salde aristocrazie dei secoli passati. Il nostro fasto farraginoso esprime la poca fede che i ricchi hanno nella sua stabilità e la fretta di goderne innanzi che venga l'ultima rovina. E tra i godimenti del lusso, non è ultimo quello di sfoggiarne il costo se non pure di mentirlo maggiore del vero.
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