Anton Barrili - Il ritratto del diavolo
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–Sì, dopo la mano di Fiordalisa;—borbottò mastro Jacopo.—Ma già si capisce, ed io non mi lagno. Del resto, la lode del babbo e la mano della figlia non son tutta roba di casa mia?
Spinello chiese licenza al maestro di poter cominciare quel medesimo giorno a far la macchia, per ottenere una giusta intonazione di tinte. La mattina seguente mise mano al cartone. Aveva misurato lo spazio su cui doveva essere dipinta la storia del Santo e fatto il conto dei fogli di carta che gli bisognavano per quel tratto di muro. Non gli restava che di congiungerli ad uno ad uno per gli orli, con la colla di farina cotta al fuoco. Ciò fatto, e come il cartone fu rasciugato sulle giunture, lo stese al muro, incollandolo sui lembi; indi, tirate sul suo primo disegno tante righe orizzontali e perpendicolari che lo riducessero ad una fitta rete, segnò lo stesso numero di linee sul cartone, a distanze proporzionatamente eguali, affinchè gli fosse facile di condurre il suo primo disegno alla misura dell'affresco che aveva immaginato di fare.
Spinello lavorava per quattro, e al paragone suo anche Luca Giordano, soprannominato Luca Fa presto, avrebbe potuto andarsi a riporre. Finito il suo graticolato, mise un pezzo di carbone in capo ad una canna, e là, ritto davanti al muro, con un occhio al disegno primitivo e l'altro al cartone, incominciò a riportare su questo i contorni dell'altro. Due giorni dopo, il cartone del Miracolo di san Donato era fatto, con grande soddisfazione di mastro Jacopo, il quale per tutto quel tempo non aveva voluto nessuno dei suoi giovani in chiesa. Già, a che cosa gli sarebbero serviti quei lasagnoni? A mesticargli i colori? Mastro Jacopo, per quei due giorni, mesticò i suoi colori da sè, come avrebbe fatto ogni artista novellino. Tanto è vero che ognuno, purchè voglia, più passarsi dell'opera d'un altro, sia egli servitore od aiuto!
Per contro, il vecchio pittore aveva anche dato una mano al suo prediletto scolaro, facendogli costrurre il ponte nella cappella in cui doveva dipingere. E come il cartone fu condotto a termine chiamò i muratori perchè dessero un'arricciatura grossa sul muro, debitamente scrostato; indi fece incrostare di nuovo tanta superficie di muro, quanta Spinello credeva di poterne colorire in un giorno.
Spianato per benino l'intonaco, il giovine artista vi stese il cartone e calcò su quello il disegno della sua composizione, per avere i contorni precisamente tracciati. Indi prese a mettere il colore, come gli era dato dal bozzetto, che aveva preparato in anticipazione.
Il giorno in cui Spinello aveva incominciato a dipingere, mastro Jacopo, sceso dal suo ponte verso l'ora di vespro, andò sul ponte dello scolaro, a vedere come se la fosse cavata.
–Bene, perdiana!—gli disse, vedendo già dipinta tutta la figura del Santo, e con un'aria di festa che meglio non si sarebbe potuto desiderare.—Per questa volta son io che abbraccio te.—
Immaginate l'allegrezza di Spinello; io rinunzio a descriverla.
Mastro Jacopo ripigliò:
–Per far bene, è dunque mestieri d'essere innamorati? Ahimè, ragazzo mio, a questo patto io non farò più nulla di buono, poichè la stagione degli amori è passata.—
Quel medesimo giorno, escito di chiesa un'ora prima del solito, mastro Jacopo passò da Luca Spinelli, per fargli un certo discorso che ricolmò di contentezza il paterno cuore del vecchio fiorentino. Indi, arrivato a casa, prese la sua Fiordalisa in disparte e senza tanti preamboli le disse:
–Sai? Ho deliberato di maritarti.—
Fiordalisa si fece rossa, ma non tremò. Aveva indovinato, e accolse l'annunzio del padre con un eloquente silenzio. Eloquente per noi, che sappiamo tutto; non per Jacopo di Casentino, che non sapeva nulla dell'animo di sua figlia.
–Orbene,—disse egli, dopo un istante di pausa,—così ricevi la mia notizia?
–Padre mio.—balbettò Fiordalisa, chinando la fronte,—quello che voi farete… sarà ben fatto.
–Sì, questo va bene;—ripigliò mastro Jacopo, che aveva voglia di ridere;—ma se per avventura si trattasse di uno che non ti andasse ai versi?—
Fiordalisa chinò la fronte un po' più che non avesse fatto prima, e si pose a tormentare con le dita i lembi del suo grembiule.
–Veniamo alle corte, poichè tu stai zitta e non rispondi;—continuò mastro Jacopo.—Che penseresti tu di Spinello Spinelli?—
Fiordalisa ebbe una scossa al cuore, ma una scossa piacevole oltre ogni dire. Arrossì da capo, e, con un fil di voce, così rispose a suo padre;
–Quello che voi farete….
–Sarà bene fatto; conosco già il ritornello;—rispose mastro Jacopo, dando un buffetto sulla guancia di sua figlia.—E sia dunque ben fatto, poichè questa è la tua opinione, com'era da un pezzo la mia. Su il viso, bambina, e preparati a ricevere il tuo fidanzato. Mi par di sentire il suo passo per le scale.—
Fiordalisa, che non aveva ancor avuto tempo a riprendere il suo color naturale, aggiunse vermiglio a vermiglio, quando si vide dinanzi Spinello. Questi non sapeva ancor nulla dei discorsi fatti tra mastro Jacopo e suo padre, né dell'annunzio che il vecchio pittore aveva dato alla figlia. Ma quella scena muta e il rossore di madonna gliene dissero abbastanza per farlo rimanere sconcertato davanti a lei, com'ella era turbata davanti a lui.
–E così? Non vi dite nulla!—gridò mastro Jacopo.—Perchè mi state lì grulli e confusi?—Vedi un po', Fiordalisa; eccolo lì, l'uomo che non ardisce mai. Ci scommetto che, con la sua paura di non venire a capo di nulla, non ha neanche creduto di ricordarsi che ci voleva un anello.
–Oh, questo poi!—esclamò Spinello toccato sul vivo.
E posta la mano al borsellino che gli pendeva dalla cintola, ne trasse un cerchietto d'oro; indi si accostò alla fanciulla, e prese la sua mano tremante, e le disse:
–Madonna, non so se sarà abbastanza piccolo per il vostro ditino d'angiola. Ma, se voi non lo sgradite…—
Madonna non rispose nè sì, nè no. Si era lasciata prender la mano; si lasciò mettere in dito l'anello.
Il giovine innamorato cadde in ginocchio e baciò la mano della sua fidanzata. Indi, rialzatosi, le si accostò peritoso o guardandola con occhi ardenti d'amore le bisbigliò all'orecchio:
–Son più felice di un re.—
Mastro Jacopo si era allontanato, per non farci la figura del terzo incomodo. Le confidenti espansioni di due cuori innamorati non voglion testimoni, neanche quando essi siano gli autori della vostra felicità.
Era già l'ora di cena, ma Jacopo di Casentino non parlava ancora di mettersi a tavola, il vecchio pittore aspettava qualcheduno.—
Poco stante si udì un rumore di passi nella camera attigua, e Tuccio di Credi apparve sulla soglia. Il povero Tuccio aveva per solito una faccia rabbuiata, ma quel giorno aveva senz'altro una cera da funerale.
–Maestro,—diss'egli,—è qui messer Luca Spinelli.
–Ah, bene, fallo entrare;—gridò mastro Jacopo.—Ragazzi miei, prima di tornare a casa ero passato da Luca Spinelli, mio ottimo amico, e lo avevo pregato di volere essere dei nostri. In questo giorno così lieto, per voi, i due babbi debbono essere uniti, non vi pare? Peccato,—soggiunse mentalmente, reprimendo un sospiro,—che non ci siano le mamme!—
Tuccio di Credi, che precedeva di pochi passi il nuovo venuto, si tirò da un lato per lasciarlo passare. Il vecchio fiorentino entrò, strinse la mano che gli offriva il pittore, e andò a baciare in fronte la sua futura nuora. Se aveste veduto in quel punto il povero Tuccio di Credi!
–Messer Luca,—disse Jacopo di Casentino,—quello d'oggi non è un invito in pompa magna. Si faranno quattro chiacchiere tra noi, mentre i nostri ragazzi ne faranno mille tra loro, senza dar retta alle nostre. Ma questi sponsali vogliono essere celebrati con una festa di famiglia, che faremo domenica, se vi piace. Tuccio di Credi avvertirà intanto i suoi compagni di bottega, i quali saranno padroni di spargere la notizia ai quattro punti cardinali.—
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