Anton Barrili - Il ritratto del diavolo
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Il Chiacchiera lasciò passare quella folata di parole, indi rispose:
–Oh, non a tutti i vostri scolari avete lasciato la cura d'imparare da sè.
–Non a tutti! Lo credo, io,—replicò mastro Jacopo.—Tuccio di Credi, per esempio, e Parri della Quercia, hanno saputo cavar profitto dei loro occhi. Perciò mettete pure che io, vedendoli più attenti di voi, li abbia consigliati qualche volta. Perchè non avete fatto come loro? Vi avrei consigliati ugualmente.—
Il Chiacchiera rispose all'argomento con una crollatina di testa.
–Non si parla di Tuccio, nè di Parri;—diss'egli poscia.—Si parla di Spinello Spinelli, del nuovo venuto, del vostro futuro genero. Quello è il vostro beniamino, mastro Jacopo, o ch'io non so più che cosa sia un beniamino. Vi capita in bottega con quattro scarabocchi, e voi v'innamorate subito di lui, come Cimabue s'è innamorato di Giotto.
–Benissimo detto; come Cimabue!—ripigliò mastro Jacopo.—Infatti, Spinello Spinelli meritava tutto quello che ho fatto per lui. Che ci trovate a ridire, voi altri?
–Nel vostro capriccio, nulla. Della sua pasta può far gnocchi ciascuno. Ma il modo!… Vedete? È il modo, che ci offende. Spinello Spinelli viene da voi con un fascio di tocchi in penna. Bellissime cose, degne di Giotto; lo ammetteremo anche noi, se può farvi piacere. Ma come va che tre mesi dopo la sua venuta a bottega egli passa avanti a Tuccio e a Parri, che sono con voi da tre anni? Come va che egli è già così addentro nel maneggio dei colori, da mettere il pennello nei fondi delle vostre composizioni?
–Nei fondi, l'hai detto tu, nei fondi!—gridò mastro Jacopo, con accento di trionfo.
–Eh!—ripigliò il Chiacchiera, che oramai era in ballo e voleva spendere il suo ultimo grosso; se non si trattasse che dei fondi!… Ma voi avete fatto assai più, mastro Jacopo. A questo pittor novellino, gli avete commesso un'opera di molta importanza, che era stata allogata a voi dai massari del Duomo.
–Ah, tu sai anche questo?—borbottò il vecchio pittore, un tal po' sconcertato.
–Sicuro, che lo so. Lo sa tutta Arezzo, lo sa.—
Mastro Jacopo si strinse nelle spalle.
–Ci ho gusto;—diss'egli,—Così non avrò più mestieri di dar la notizia a nessuno. Spinello si farà onore; questo è l'essenziale.
–Col vostro aiuto, maestro, non si dubita punto dell'esito;—ribattè gravemente il Chiacchiera.
–Che intenderesti di dire, manigoldo?
–Quello che voi avete già indovinato;—replicò l'impertinente scolaro.—Alle corte, qui c'è un salto troppo grande, per gli stinchi del vostro beniamino. Dai tocchi di penna all'affresco! E senza aver fatto nel frattempo nulla che meriti di essere osservato! Neanche una testa! Perchè noi—proseguì il Chiacchiera, riscaldandosi,—noi non gliel'abbiamo mica veduto fare, uno studio dal naturale, dal vivo! Se pure non vi piaccia di contare come uno studio dal vivo il profilo di madonna Fiordalisa!…
–Ah, ho capito!—esclamò mastro Jacopo.—Perchè non dirlo prima, che eravate gelosi? Ma io, vedete, mia figlia la dò a chi mi pare. E se anche avessi voluto romperle il collo con uno di voi, non mi sarebbe mica riescito di contentarvi tutti!
–No, maestro, disingannatevi, non siamo gelosi niente affatto;—rispose il Chiacchiera.—Siamo pieni di rispetto per madonna Fiordalisa, e fermi lì. Del profilo fatto dal vostro Spinello se ne parla ora, per dirvi, anzi per tornarvi a dire, che non era un ritratto. Spinello ha indovinata l'aria della figura e nient'altro. Se dovesse fare un ritratto, si troverebbe molto impacciato.
–Sì, sì, vecchia storia;—borbottò mastro Jacopo;—ed io v'ho risposto fin da principio che se Spinello vorrà fare un ritratto, lo farà, in barba a tutti voi, scimuniti!
–Non quello di madonna Fiordalisa, per altro:—ribattè il Chiacchiera, che trovava un gusto matto a contraddire il maestro.—Parri della Quercia e Tuccio di Credi, che stanno cheti come l'olio, vi hanno pur detto come e perchè un ritratto di madonna Fiordalisa non sia dei più facili.
–Ho capito, ho capito; ritornate in campo coi vecchi dirizzoni. Ma appunto per dar noia a voi altri, Spinello farà il ritratto della sua fidanzata, e voi resterete con un palmo di naso.
–No, maestro, non resteremo:—rispose beffardo il Chiacchiera.—Vi ho già detto che non si conta di rimanere in Arezzo. Quanto a me, se avete comandi per Firenze….
–Vai dove ti pare, che il fistolo ti colga;—interruppe mastro Jacopo.—E quando fai conto di levarci l'incomodo?
–Oggi stesso. Il tempo di prendere le mie bazzicature, e vi servo sull'atto.
–Ottimamente;—brontolò il vecchio pittore.—E voi altri?—
La domanda era rivolta a Cristoforo Granacci e a Lippo del Calzaiolo. Ambedue furono pronti a rispondere:
–Con lui, maestro; alla medesima ora.
–E andate,—tuonò il maestro, dando un'alzata di spalle,—andate con lui, e col malanno che il ciel vi dia.—
Fu questo il commiato di mastro Jacopo di Casentino ai suoi degni scolari, Angiolino Lorenzetti, detto il Chiacchiera, Lippo del Calzaiolo e Cristofano Granacci.
Mastro Jacopo era in collera per la mancanza di rispetto di cui gli avevano dato prova quei tre sciagurati; non già per la loro andata, che lo liberava da tre fannulloni, veri impicci, non aiuti in bottega. Perciò, vi sarà lecito di argomentare che egli dovesse consolarsi ben presto. Era già più tranquillo nell'entrare in Duomo, dove lo aspettava il suo pezzo d'intonaco, preparato di fresco. Ma egli non volle andare al suo trespolo, senza aver veduto Spinello, che lavorava già da due ore, intorno al suo Miracolo di san Donato. Bell'opera, in verità; ci si vedeva un'aggiustatezza di parti, una vigoria di colore, una sicurezza di fare, che teneva del maraviglioso.
–Che bricconi!—pensò mastro Jacopo, giunto sulla impalcatura del ponte.—Ecco qua un bravo giovane, che è nato pittore com'io son nato maschio. Si può egli far meglio di così? E gl'invidiosi a perfidiare!… Andranno a raccontare a Siena e a Firenze, al diavolo che li porti, che io gli ho dato il disegno; anzi peggio, che io gli ho fatto da capo a fondo il lavoro! E ci sarà della gente che lo crederà! Che cosa non crede, la gente? C'è anzi da maravigliare che i bugiardi non siano più ricchi d'invenzioni, con tanta facilità che c'è nel mondo di credere ogni cosa peggiore.—
Spinello udì il brontolio e si volse a guardare.
–Oh, maestro, siete voi? Che cosa dicevate?
–Nulla, nulla; borbottavo da me;—rispose mastro Jacopo.—Sai pure, è il vizio dei vecchi!
–Credevo che trovaste a ridire nel mio pasticcio, e ne ero già tutto contento.
–Contento! O perchè, se è lecito!
–Perchè voi non mi riprendete mai, mentre io sarei tanto felice di avere i vostri consigli, le vostre ammonizioni.
–Consigli! Ammonizioni! Tu non hai mestieri nè di quelli, nè di queste.
–Voi siete troppo buono, con me. Ma io, vedete, non son mica molto contento de' fatti miei;—disse modestamente Spinello.—Ho una gran paura che mi riesca un imbratto. Quando ho incominciato a mettere i colori, mi pareva d'aver fatto una bella cosa; ma ora… ora mi sembra una miseria. Quest'azione così povera!…
–O che volevi fare? La battaglia di Montaperti?—esclamò mastro Jacopo, ridendo.—È un miracolo della fede, quello che tu dipingi. San Donato ha un atteggiamento mosso, ma non da spiritato, che non ce ne sarebbe bisogno. Egli non ha fede in sè stesso, ma nell'aiuto di Dio, e questo lo rassicura, lo fa stare tranquillo. Il popolo, nel fondo del quadro, cede al sentimento della paura, ed è naturale, poichè esso non ha la fede così profonda come il Santo. Ma qui appunto è la bellezza del contrasto. Non è forse il contrasto che tu hai voluto, nell'ideare il tuo quadro?
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