Anton Barrili - Il ritratto del diavolo
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–Chi dice che non sia suo?—chiese timidamente Parri della Quercia.
–Non hai inteso? Lo dice Tuccio di Credi.
–Adagio, Cristofano; io non ho detto nulla,—si affrettò a rispondere Tuccio di Credi.—Almeno non ho fatto che accennare un sospetto; anzi, la possibilità d'un sospetto. Ma se mi domandate che cosa ne penso, vi dirò che io non sospetto nulla, e credo che Spinelli darà tutta farina del suo sacco. È un gran pittore che nasce di schianto; nasca a sua posta, e facciamola finita. Parliamo d'altro; anzi, non parliamo di nulla. Poc'anzi volevate darmi un confortino, un lattovaro, un cordiale? Ho più fame che sete, e prenderei qualche cosa di sodo.—
IV
Le avete mai viste, le pecore matte, che Dante Allighieri, esule vagabondo, ha osservate tante volte e descritte nel poema sacro? Escono dal chiuso, ad una, a due, a tre, si seguono alla cieca e ciò che fa la prima fanno tutte le altre, anco se si tratti di andar sullo scrimolo d'un precipizio, a risico di fiaccarsi il collo tutte quante.
I garzoni di mastro Jacopo non potevano mandar giù la fortuna del nuovo venuto e meditavano una grande risoluzione. Escludo dal numero Parri della Quercia, che non partecipava alle loro malinconie per dolcezza di carattere, e Tuccio di Credi che aveva scagliato il sasso e nascondeva la mano.
Parri della Quercia, come vi ho già detto, era onesto e riconosceva l'ingegno di Spinello Spinelli. Ma egli era d'animo mite, e per conseguenza un po' timido. Il suo giudizio lo portava a vedere di primo acchito il bene ed il male; la sua indole lo faceva alieno da ogni resistenza e desideroso di tirarsi sempre in disparte. Egli era uno di quegli uomini che conoscono il mondo, o l'indovinano, e non vogliono prender gatte a pelare. Amava l'arte sua e l'esercitava con diligenza, che è come a dire senza ardore soverchio. Di certo, anche se fosse vissuto cent'anni prima, non sarebbe stato lui che avrebbe liberata la pittura dalle pastoie bisantine; ma si può ammettere che, vivendo a lungo, sarebbe giunto a dipingere le più aggraziate Madonne e i Cristi meno arcigni dello stampo antico. Nato nel secolo decimoquarto e fatto discepolo dei novatori, andava sulla falsariga dei Giotteschi, senza vedere più in là. E quale era l'artista, tale era l'uomo. Buono e cauto, giudizioso e misurato in ogni cosa sua, dissimulava con la dolcezza dei modi il vizio organico che doveva condurlo pochi anni dopo alla tomba. E voi potete intendere da questo come avvenisse che Parri della Quercia lasciasse correre le bizze dei compagni, senza riscaldarsi il sangue a metterli in pace.
Quanto a Tuccio di Credi, avete veduto come egli, dopo aver data la notizia e lasciato cadere il sospetto, si fosse affrettato a dire che la cosa non poteva esser vera, e che Spinello Spinelli era un ingegno nato di schianto, una nuova speranza dell'arte. Si era egli ricreduto, parlando? O seguiva in ciò il filo d'un riposto disegno?
Comunque fosse, Lippo del Calzaiolo, Cristofano Granacci e Angiolino Lorenzetti, detto il Chiacchiera, non avevano mestieri del suo aiuto per dar di fuori; erano giunti a tal segno, che le sue esortazioni pacifiche, se pure egli avesse creduto di farne, avrebbero sortito un effetto contrario.
–La vedete così?—aveva detto in fine Tuccio di Credi.—Accomodatevi. Io, poveretto, non ho come voi la fortuna di essere cercato altrove, e debbo contentarmi di questo pane. Quando si ha bisogno, conviene baciar basso.—
I tre arrabbiati avevano fatto consiglio. Non volevano saperne di restare a bottega di mastro Jacopo; sentivano la voglia matta di abbandonare una scuola in cui non s'imparava nulla, e si era costretti a vedere la fortuna degli altri. Il Chiacchiera ebbe il mandato di parlare per tutti.
La mattina vegnente, mastro Jacopo di Casentino, nell'escir di bottega per recarsi al Duomo vecchio, disse ai giovani, che stavano lavorando:
–Avete sentito? Ci ho allegrezze in famiglia, e voi siete invitati per domenica a mangiare il pan forte.—
Mastro Jacopo, a dirvela schietta, non ripeteva di buona voglia l'invito. Gli sapeva male che non ne avessero parlato essi per i primi, poichè Tuccio di Credi li aveva avvertiti d'ogni cosa; parendogli giustamente che un maestro, un principale, avesse diritto a quella piccola attenzione da parte loro.
I giovani stettero a sentirlo e si guardarono alla muta tra loro. Era venuto per Angiolino Lorenzetti il momento di far onore al suo soprannome di Chiacchiera. Egli, perciò, smise di macinar colori, la sola occupazione in cui valesse qualche cosa, e così rispose al maestro:
–Vedete che caso! Dobbiamo rinunziare a questo piacere.
–Come?—gridò mastro Jacopo.—Che cos'è questa novità?—
E guardava gli altri, frattanto, come se aspettasse da loro la spiegazione di quelle parole del Chiacchiera. Ma gli altri stavano zitti. Il Chiacchiera riprese il discorso per tutti.
–Ecco qua, maestro;—diss'egli;—si tratta d'un disegno che abbiamo fatto in tre, cioè io, persona prima, Cristofano Granacci e Lippo del Calzaiolo. Ce ne andiamo.
–Ve ne andate?—esclamò mastro Jacopo sgranando gli occhi.—E perchè, se è lecito saperlo?
–Anzi, è obbligo nostro il dirvelo;—rispose il Chiacchiera con aria di umiltà meravigliosa.—Quantunque, a dir le cose come stanno, tre lasagnoni, come siamo noi, tra fannulloni….
–È vero, perdiana!—interruppe mastro Jacopo.—Per la prima volta in tua vita, hai detto una verità.
–Eh, che volete, maestro? A furia di sentirle dire, s'imparano;—replicò il Chiacchiera, con ironico accento.—Ma vedete un po' che combinazione! C'è al mondo qualcheduno che non la pensa come voi, Agnolo Gaddi, per esempio, che sta a Firenze, e sarebbe disposto a prendere con sè Lippo del Calzaiolo; il Giottino, di Firenze, e il Berna, di Siena, che farebbero a spartirsi il nostro Cristofano Granacci.
–Ah!—esclamò il vecchio pittore inarcando le ciglia.—Quei tre valentuomini hanno posto gli occhi su voi?—
Cristofano Granacci e Lippo del Calzaiuolo risposero asciuttamente con un cenno del capo.
–Non me ne congratulo con loro;—ripigliò mastro Jacopo, poi ch'ebbe veduta la mimica.—Sentiamo ora, poichè non mi hai detto tutto,—soggiunse, volgendosi al Chiacchiera,—sentiamo ora chi sia disposto a prender te, succiaminestre!
–Oh, non vi date pensiero per me! Io vado dove mi pare. Il primo che capita, mi servirà. Che cosa si fa qui, alla fine? Si macina, si mestica, s'incollano i cartoni, si fanno le imbasciate, si apre e si chiude la bottega; insomma, un servizio da fanti, non una scuola da pittori. Scusate, mastro Jacopo; io sarò un succiaminestre, un mangiapane, tutto quel che vorrete, ma ho l'uso di chiamare ogni cosa per il suo nome. Che cosa ci stiamo a far qui? In che modo ci avete voi insegnati i principii dell'arte?—
Mastro Jacopo cascava dalle nuvole, a tanta audacia di discorso. Già era sul punto di mandarli tutti e tre al diavolo, per la più spiccia; ma le ultime parole, che racchiudevano un'accusa formale, lo toccarono sul vivo.
–Per l'anima di…—gridò egli, dando di fuori senz'altro.—Che cos'è quest'accusa che voi mi fate? Credete voi che l'arte s'insegni come il leggere, scrivere e far di conto? Bietoloni! Anch'io sono stato a scuola, e ricordo come insegnava Taddeo Gaddi, che a sua volta ricordava come insegnasse Giotto di Bondone. Macinavo, mesticavo, aprivo la bottega e la chiudevo, come voi; facevo le imbasciate del maestro, maneggiavo la granata, secondo il bisogno, e molto più che non maneggiassi i pennelli; insomma facevo ogni più umile ufficio come voi. Con questa differenza, per altro; che voi vi lagnate, ed io non mi lagnavo; che voi non intendete nulla di nulla, ed io cercavo di profittare degli esempi che avevo sott'occhio. Guardando ciò che il maestro faceva, io, bene o male, e mettete pure che fosse male, ho imparato a fare anch'io qualche cosa. Indovinavo, dov'era facile indovinare, e quello che non intendevo alle prime, chiedevo al maestro. È dei maestri il rispondere, non già il sapere da bel principio quel che si debba insegnare ai giovani. Avete capito, lasagnoni? Si può egli instillare per via di precetti quello che la natura dà all'uomo di cogliere dall'esempio quotidiano? Per precetti s'insegna la grammatica, non l'arte del dipingere. Ora, quale è stato il vostro costume, in bottega? Mi avete voi mai domandato come si facesse la tal cosa, o perchè si facesse la tal altra? Avete voi posto mai attenzione a ciò che facevo io? Non lo so; ma se bado all'esito, mi pare di poter dire che non avete guardato mai, come non avete mai chiesto. E allora, di che vi lagnate?—
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