Anton Barrili - Il ritratto del diavolo
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Mastro Jacopo sorrise una seconda volta, fece a Spinello un cenno amorevole con la mano e se ne andò giù per la scala a piuoli.
Rimasto solo sull'impalcatura, Spinello Spinelli prese il lapis rosso di Lamagna e incominciò a segnare alcuni tratti sul cartone. Ma subito dopo si fermò. Aveva il cervello in volta; pensava a madonna Fiordalisa e alla possibilità, che per la prima volta gli arrideva, di far sua quella divina creatura.
–Sarebbe stato meglio andar subito a casa,—pensò egli,—e poi mettermi a lavorare; mi sarei ispirato.—
Ma fatto appena quel ragionamento, trovò che era sbagliato di pianta.
–No,—soggiunse egli,—bisogna anzitutto aver meritato di vederla. Se mi vien fatto un bel partito, sarà segno che l'avrò meritato.—
Così dicendo, si avanzò verso l'orlo dell'impalcatura e volse un'occhiata a quel punto della navata in cui per la prima volta aveva veduto madonna Fiordalisa, gittò un bacio laggiù, sulla punta delle dita, e col bacio una ardente preghiera, una giaculatoria mentale. Era la prima, di sicuro, che facesse nella casa di Dio il giuoco di scendere, anzi che di salire.
Quindi, invasato dall'estro, si pose a lavoro con ansia quasi febbrile. L'idea e la forma gli escivano insieme, nello stesso tocco dal disegnatoio, che scorreva veloce sulla carta.
Spinello immaginò il Santo nell'atto in cui muovendo incontro al serpente, lo fulmina col gesto della mano destra, levata in alto, mentre con l'altra sembra infonder coraggio ad una turba di cittadini spaventati, quali già volti in fuga, quali inginocchiati per invocare il soccorso del cielo. Il Santo si vedeva ritto, in aria di persona commossa, ma non vinta da timore, e la fralezza delle membra e la soavità dell'aspetto in quella che facevano contrapposto all'orrida fierezza del mostro, sembravano raffigurare l'alto concetto della retta coscienza che sta salda innanzi ai maggiori pericoli, o della fede in Dio che vince animosa ogni ostacolo. Il serpente, nella forma delle zampe, delle fauci e dello scaglie ond'era protetto il suo dorso, arieggiava i coccodrilli egiziani, nelle ali i favolosi dragoni, che erano tanto in voga a quei tempi, per la leggenda popolare di San Giorgio di Cappadocia. La mala bestia guardava tuttavia il suo poco temibile avversario, e con le fauci aperte pareva volesse ingoiarlo; ma già il corpo si piegava, gli anelli del ventre si contorcevano, le zampe spaventosamente unghiate si stendevano nello spasimo e graffiavano l'aria. Era alcun che di terribile, a contrasto col tranquillo atteggiamento dell'uomo miracoloso, dalla cui mano levata intendevate essersi allora allora sprigionata la virtù fulminatrice.
–Ah, finalmente!—gridò Spinello, appena gittati sulla carta i contorni della sua composizione.—Non lo cancelleremo, questo quadro, non lo cancelleremo!—
Poco stante, data l'ultima mano al disegno, ne fece un rotolo e discese dal ponte.
–Così tardi escite da lavoro?—gli chiese il sagrestano del Duomo, vedendolo attraversare la navata di mezzo.—Ma che c'è? Avete l'aria di un uomo che ha ricevuta una lieta novella.
–Lieta, sicuramente;—rispose il giovane pittore.—Quantunque, a voi forse non parrebbe tale.
–Se potrò rallegrarmene per voi, perchè non mi parrà lieta? Ditela su!—
Spinello si avvicinò al prete, accostò le labbra alla guancia di lui e gli bisbigliò all'orecchio:
–Prendo moglie.—
Il sagrestano si trasse indietro per guardare in volto Spinello; indi battè le labbra, come un uomo che s'aspettasse tutt'altro, e che ad ogni modo non vedesse una grande felicità nel settimo sacramento.
–Prendete moglie, Spinello?—esclamò.—Siate felice. Per altro, avrei creduto che, per voi, la moglie dell'artista dovesse esser qui.—
E col dito accennava la testa, dove abita madonna fantasia.
–No, v'ingannate;—rispose prontamente Spinello.—La moglie dell'artista è qui.—
Ed accennò il cuore, dove sta di casa la passione.
–Avrete ragione;—disse il sagrestano, inchinandosi.—Purchè non si soffra, lì dentro. Nel qual caso, addio arte!
Spinello pensò che il povero prete non era fatto per intendere certe cose, e, datagli una di quelle occhiate patetiche, le quali sembrano dire tante cose, forse perchè non ne dicono alcuna, infilò la porta del Duomo. Affrettava il passo, perchè quel giorno era invitato a desinare dal maestro, e l'ora, come si è detto, era tarda.
Fra pochi istanti avrebbe veduta madonna Fiordalisa. Ma come avrebbe osato posar gli occhi su lei, dopo quel doloroso discorso di mastro Jacopo? Fortunatamente, dalla tranquilla accoglienza che Fiordalisa fece al futuro Apelle, gli fu agevole intendere che mastro Jacopo non aveva creduto opportuno di dir nulla alla sua bella figliuola. E Spinello gliene fu grato, perchè, libero da ogni soggezione, avrebbe potuto guardare in volto Fiordalisa, contemplarla a sua posta, e pensare tra sè con gioia infantile:—tu non sai, bambina, tu non sai quel che so io; sarai mia, bella creatura, sarai mia; il pegno della vittoria è là, in quel rotolo di carta, che io ho riposto su quel canterano di noce.—
Mastro Jacopo, prima di mettersi e tavola, tirò in disparte il prediletto discepolo e gli disse:
–Orbene, t'è venuta l'idea?
–Sì, maestro, è venuta.
–E ne sei contento?—
Spinello fece un cenno del capo, che voleva dire: così così; ma le sue labbra si atteggiavano ad un malizioso sorriso.
–Ah, briccone!—esclamò il vecchio pittore. Tu sei contento e non —vuoi confessarlo. Fammi vedere il disegno.
–No, maestro, non ora. Se permettete, sarà per domani. Non sono ancora ben sicuro del mio concetto. Nell'ebbrezza del comporre, mi è parso bello; ma ora, pensando alla grandezza del premio,—e così dicendo Spinello volgeva gli occhi a Fiordalisa, il cui elegante profilo si disegnava sul fondo luminoso della mensa apparecchiata,—ho una gran paura di aver fatto un pasticcio. Aspettate domani. Intanto, ci dormirò su e poi vedrò di ritoccarlo.
–Sia come tu vuoi;—disse mastro Jacopo.—Andiamo a tavola. Io non mi nutro con gli occhi, come te, ed ho una fame assaettata.—
La mattina seguente Spinello ritornò sull'opera sua. Gli pareva manchevole, e certamente era, come tutte le cose tirate giù in fretta. Ma delle cose fatte in fretta aveva anche i pregi, cioè a dire, insieme con qualche ridondanza facilmente correggibile, unità di concetto e franchezza di esecuzione. Rimutò qualche parte, rifece il disegno, accrebbe con alcuni tocchi l'espressione dei volti, e finalmente come gli parve di aver migliorato il suo lavoro, si arrischiò a metterlo sotto gli occhi del maestro.
Tremava, il povero Spinello; tremava, vedendo il vecchio pittore atteggiato a giudice davanti al suo disegno, e raccolto in un silenzio che non gli prometteva niente di buono.
Mastro Jacopo guardava sempre così. La sua attenzione era concentrata nel soggetto, non si perdeva mai in esclamazioni, o inarcamenti di ciglia. Quando aveva considerato per ogni verso ciò che doveva giudicare, meditato, vagliato, pesato tutto sulle bilance dell'orafo, allora soltanto si lasciava sfuggire un bene, o un male, secondo che gli pareva, ma niente di più.
Quella volta, per altro, si mostrò più corrivo.
–Bene!—diss'egli, dopo una lunga disamina. Sono contento di te. La —composizione è saviamente immaginata. L'atteggiamento del Santo è —sobrio e dice molto. Se ti riesce sul muro quell'aria di testa, come —t'è riescita sulla carta, hai vinto per mia fede un gran punto.—
Spinello, fuori di sè dalla gioia, buttò le braccia al collo del maestro.
–Via, via,—ripigliò il vecchio pittore, schermendosi male da quella dimostrazione d'affetto.—Non son mica Fiordalisa!
–Padre mio, perdonate;—gridò Spinello.—Sono tanto felice! La vostra lode è per me il più grande, il più ambito dei premi.
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