Volodyk - Paolini2-Eldest

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Cavalchiamo i legni sanguinanti, Per il ferro, l'oro e il diamante.

Ascia e piccozza, riempite il mio palmo, Lamina da guerra, proteggi la mia pietra, Mentre lascio la dimora dei miei padri Per le terre desolate e ignote.

Gli altri si unirono a Ekksvar, intonando altre strofe nel linguaggio dei nani. Il canto basso e vibrante accompagnò Eragon mentre puntava cauto verso la prua del battello, dove Arya era seduta a gambe incrociate. «Ho avuto... una visione durante il sonno» disse Eragon. Arya lo guardò con interesse, e lui le riferì le immagini che aveva visto. «Se stavo divinando, allora...»

«Non era divinazione» lo interruppe Arya, poi proseguì con voluta lentezza, per non dar luogo a equivoci. «Ho riflettuto a lungo su come tu sia riuscito a vedermi imprigionata a Gil'ead, e sono giunta alla conclusione che mentre ero priva di sensi il mio spirito ha vagato in cerca di aiuto, ovunque riuscisse a trovarlo.»

«Ma perché io?»

Arya indicò con la testa la mole di Saphira che fendeva le acque. «Durante i quindici anni in cui ho sorvegliato il suo uovo, mi ero abituata alla presenza di Saphira. Probabilmente mi stavo dilatando verso qualunque cosa mi fosse familiare, quando ho toccato i tuoi sogni.»

«Sei davvero così potente da evocare qualcuno a Teirm da Gil'ead? Ti avevano anche drogata!.» Un lieve sorriso comparve sulle labbra di Arya. «Potrei trovarmi alle porte di Vroengard e parlarti con la stessa chiarezza con cui parliamo adesso.» Fece una pausa. «Poiché a Teirm non si trattò di divinazione, vuol dire che anche questo nuovo sogno non lo hai divinato, e perciò

dev'essere stata una premonizione. Si sa che ogni tanto capitano alle razze senzienti, specie a coloro che usano la magia.»

La zattera rollò ed Eragon, per sostenersi, si afferrò alla rete che conteneva le provviste. «Se quello che ho visto si realizzerà, allora come possiamo cambiare le cose che avvengono? Le nostre scelte non contano niente? E se mi gettassi in acqua in questo preciso istante e mi lasciassi annegare?»

«Non lo farai.» Arya immerse l'indice nel fiume e fissò la goccia solitària che le restava sospesa alla pelle, come una tremula lente. «Tanto tempo fa, l'elfo Maerzadi ebbe la premonizione che avrebbe ucciso accidentalmente suo figlio in battaglia. Piuttosto che vivere per vederlo succedere, preferì uccidersi, salvare suo figlio e al tempo stesso provare che il futuro non è prestabilito. Ma a meno che tu non ti suicidi, puoi fare ben poco per cambiare il tuo destino, poiché non sai quali scelte ti condurranno a quel particolare momento nel tempo che hai visto.» Scrollò la mano e la goccia piovve sul legno fra di loro. «Sappiamo che è possibile carpire informazioni al futuro... gli indovini spesso percepiscono il corso che prenderà la vita di una persona... ma non siamo stati capaci di raffinare il processo al punto tale da poter scegliere che cosa, dove e quando vedere.»

Eragon trovava profondamente inquietante l'idea di far scorrere la conoscenza attraverso il tempo. Suscitava troppi interrogativi sulla natura della realtà. Che il fato e il destino esistano oppure no, l'unica cosa che posso fare è godermi il presente e vivere nel modo più onorevole possibile. Eppure non potè fare a meno di domandare: «Che cosa mi impedisce, però, di divinare uno dei miei ricordi? In essi ho già visto tutto... perciò dovrei riuscire a vederli con la magia.»

Arya si volse di scatto a guardarlo negli occhi. «Se ti preme la vita, non provarci mai. Tanti anni fa, alcuni dei nostri maghi si dedicarono al tentativo di sconfiggere gli enigmi del tempo. Quando cercarono di evocare il passato, riuscirono soltanto a creare un'immagine sfuocata nello specchio, prima che l'incantesimo consumasse tutta la loro energia e li uccidesse. Non abbiamo più compiuto esperimenti del genere. Si dice che l'incantesimo funzionerebbe con la partecipazione di un numero maggiore di maghi, ma nessuno ha voglia di rischiare e la teoria resta non provata. Se anche uno riuscisse a divinare il passato, non avrebbe alcuna utilità. E per divinare il futuro, bisognerebbe conoscere esattamente cosa sta per accadere, quando e dove, il che vanifica lo scopo.

«È un mistero quindi, come una persona possa avere premonizioni mentre dorme, come possa fare inconsapevolmente qualcosa che ha sconfitto i nostri più grandi sapienti. Le premonizioni possono essere legate alla natura e alla sostanza stessa della magia... o magari funzionano in maniera simile alla memoria ancestrale dei draghi. Non lo sappiamo. Sono molte le vie della magia ancora da esplorare.» L'elfa si alzò con fluida agilità. «Cerca di non smarrirti in esse.»

Inquietudini

Nel corso della mattinata, la valle andò sempre più allargandosi, a mano a mano che le zattere procedevano verso un ampio varco fra due montagne. A mezzogiorno raggiunsero lo sbocco e finalmente abbandonarono un regno di ombre per affacciarsi su una pianura assolata che si perdeva a vista d'occhio.

La corrente li trascinò oltre i picchi innevati, e le pareti del mondo si aprirono per rivelare un cielo sconfinato e un orizzonte piatto. Quasi all'istante l'aria si fece più mite. L'Az Ragni curvava a est, lambendo le colline da un lato e la pianura dall'altro.

La vastità del panorama sembrava turbare i nani. Borbottavano fra di loro e rivolgevano sguardi struggenti alla gola cavernosa che si lasciavano alle spalle.

Eragon si sentì rinvigorito dai raggi del sole. Era difficile persino sentirsi svegli quando per tre quarti della giornata eri immerso nella penombra. Dietro la sua zattera, Saphira spiccò il volo dall'acqua e si librò sulla prateria fino a diventare un puntino splendente sotto l'azzurra volta.

Che cosa vedi? le domandò.

Vedo branchi di gazzelle a nord e a est. A ovest, il Deserto di Hadarac. Tutto qui.

Nient'altro? Niente Urgali, o carovane di mercanti di schiavi, o di nomadi?

Siamo soli.

Quella sera Thorv scelse una piccola insenatura per accamparsi. Mentre Dùthmér preparava la cena, Eragon sgombrò una zona di fianco alla sua tenda, poi estrasse Zar'roc e assunse la posizione di guardia che Brom gli aveva insegnato quando si allenavano. Eragon sapeva di non essere all'altezza degli elfi, e non aveva alcuna intenzione di arrivare a Ellesméra fuori esercizio.

Con estrema lentezza, levò Zar'roc sopra la testa e la calò con entrambe le mani come per spaccare l'elmo di un nemico. Mantenne la posizione per un secondo; poi, sempre controllando i movimenti, torse il busto a destra, girando la lama di Zar'roc per parare un colpo immaginario... poi si fermò con le braccia rigide.

Con la coda dell'occhio, Eragon vide Orik, Arya e Thorv che lo osservavano. Li ignorò e tornò a concentrarsi soltanto sulla lama rossa tra le sue mani: la maneggiava come se fosse un serpente che poteva sgusciargli dalle mani e morderlo. Voltandosi ancora, eseguì una serie di movimenti fluidi, passando dall'uno all'altro con disciplinata scioltezza, mentre aumentava via via la rapidità. Non era più nell'insenatura ombreggiata, ma circondato da un manipolo di feroci Urgali e Kull. Si abbassava, si lanciava in un affondo, parava, riprendeva posizione, schivava e fendeva, in un turbine di movimenti. Combatteva con energia intuitiva, come aveva fatto nel Farthen Dùr, senza pensare a salvarsi la pelle, colpendo e massacrando i nemici immaginari.

Fece roteare Zar'roc nel tentativo di passarsela da una mano all'altra, ma la spada gli cadde di mano quando un'atroce fitta di dolore gli straziò la schiena. Barcollò e cadde. Sopra di sé sentì Arya e i nani che parlottavano concitati, ma non vedeva altro che una nebbia rossa, come un sudario insanguinato che velava il mondo. Nessuna sensazione esisteva, a parte il dolore. Gli oscurò pensiero e ragione, lasciando solo una bestia selvaggia che urlava per essere liberata. Quando Eragon si riprese abbastanza da capire dove si trovava, scoprì che era nella sua tenda, sotto le coperte. Arya sedeva accanto a lui, e Saphira faceva capolino dai lembi dell'ingresso.

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