Volodyk - Paolini2-Eldest

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Bisogna fare qualcosa, si disse Roran, cadendo in ginocchio, le mani strette intorno alla lancia per sostenersi. Pochi bambini sopravvivevano ai loro primi cinque o sei anni. Ma perdere il primogenito adesso, quando tutto indicava che sarebbe cresciuto per diventare alto e forte e prendere il posto di suo padre a Carvahall, era una tragedia insopportabile. Katrina, i bambini... bisogna metterli al sicuro.

Ma dove?... Dove?... Dove?... Dove?

Lungo la corrente impetuosa

Durante il primo giorno di navigazione da Tarnag, Eragon s'impegnò per imparare i nomi delle guardie di Ùndin. Erano Ama, Trihga, Hedin, Ekksvar, Shrrgnien - un nome che trovò impronunciabile, ma gli dissero che significava Cuordilupo - Dùthmér e Thorv.

Ogni zattera aveva una piccola cabina al centro, ma Eragon preferiva trascorrere il tempo seduto sul bordo dei legni, ad ammirare i Monti Beor che gli scorrevano davanti. Martin pescatori e taccole volteggiavano bassi sul fiume limpido, mentre aironi azzurri se ne stavano appollaiati immobili come statue sulle rive paludose, screziate di luce che filtrava dalle chiome dei noccioli, dei faggi e dei salici. Di tanto in tanto una rana gracidava da un cespuglio di felci. Quando Orik si sedette al suo fianco, Eragon disse: «È bellissimo.»

«Lo credo anch'io.» Il nano si accese la pipa, poi si adagiò sulla schiena ed emise uno sbuffo di fumo. Eragon ascoltava gli scricchiolii del legname e delle corde, mentre Trihga timonava la zattera con una lunga pagaia fissata a poppa. «Orik, tu lo sai perché Brom si unì ai Varden? So così poco di lui. Per gran parte della mia vita non è stato altro che il vecchio cantastorie del villaggio.»

«Lui non si unì mai ai Varden. Contribuì a fondarli.» Orik fece una pausa per gettare un po' di cenere nell'acqua. «Dopo che Galbatorix ascese al trono, Brom rimase l'unico Cavaliere ancora in vita, a parte i Rinnegati.» «Ma lui non era un Cavaliere, non più, allora. Il suo drago era rimasto ucciso nella battaglia di Dorù Areaba.» «Be', restava comunque un Cavaliere nel suo cuore. Brom fu il primo a organizzare gli amici e gli alleati dei Cavalieri che erano stati costretti all'esilio. Fu lui che convinse Rothgar a ospitare i Varden nel Farthen Dùr, e che ottenne l'aiuto degli elfi.»

Qualche attimo di silenzio, poi Eragon chiese: «Come mai rifiutò il comando?»

Orik sorrise mesto. «Forse perché non l'aveva mai desiderato. Tutto questo accadde prima che Rothgar mi adottasse, e vedevo così poco Brom a Tronjheim... Era sempre lontano a combattere i Rinnegati o impegnato in qualche complotto.» «I tuoi genitori sono morti?»

«Sì. Se li portò via il vaiolo quando ero piccolo, e Rothgar fu così gentile da accogliermi nel suo palazzo, e dato che non aveva figli suoi, mi nominò suo erede.»

Eragon pensò all'elmo con il simbolo dell'Ingietum. Rothgar è stato altrettanto gentile con me.

Quando calarono le prime ombre della sera, i nani appesero una lanterna rotonda a ciascun angolo dei battelli. Eragon rammentò che il tipico colore rosso delle lanterne serviva a migliorare la visione notturna. Mentre scrutava le pure e immobili profondità delle lampade, domandò ad Arya, in piedi accanto a lui: «Sai come sono fatte?» «Funzionano con un incantesimo che donammo ai nani molto tempo fa. Sanno usarlo con grande perizia.» Eragon si grattò il mento e le guance, sentendo le prime chiazze di peluria che gli cresceva. «Puoi insegnarmi altre magie durante il viaggio?»

L'elfa si teneva in perfetto equilibrio sui tronchi ondeggianti; lo guardò severa. «Non è compito mio. Un insegnante ti aspetta.»

«Allora puoi dirmi almeno una cosa?» insistette lui. «Cosa significa il nome della mia spada?»

La voce di Arya si ridusse a un sussurro. «Miseria è la tua spada. E questo rimase finché non l'hai avuta tu.» Eragon guardò Zar'roc con avversione. Più cose apprendeva sulla spada, più maligna e funesta gli sembrava, come se la lama fosse dotata di una propria volontà in grado di causare sventure. Non solo Morzan l'ha usata per uccidere i Cavalieri, ma lo stesso nome di Zar'roc è malvagio. Se non fosse stato Brom a dargliela, e se Zar'roc non avesse avuto il pregio di non rompersi e non perdere mai il filo, Eragon l'avrebbe scagliata nel fiume all'istante.

Prima che si facesse buio, Eragon andò a nuoto da Saphira. Insieme volarono per la prima volta da quando avevano lasciato Tronjheim, e si librarono in alto sull'Az Ragni, dove l'aria era rarefatta e l'acqua sottostante un minuscolo rigagnolo viola.

Senza sella, Eragon strinse forte le ginocchia intorno ai fianchi di Saphira, sentendo le sue squame strofinare contro le cicatrici che gli erano rimaste dal loro primo volo.

Quando Saphira virò a sinistra, sfruttando una corrente ascensionale, Eragon vide tre puntolini marroni lanciarsi dalle pendici dei monti e ascendere rapidamente. Sulle prime Eragon li prese per falchi, ma mentre si avvicinavano, si rese conto che gli animali erano lunghi venti piedi, con code affusolate e ali membranose. In effetti assomigliavano ai draghi, solo che il corpo era più piccolo, più magro e più serpentesco di quello di Saphira. E le loro squame non scintillavano, ma erano screziate di verde e marrone.

Eccitato, Eragon li indicò a Saphira. Secondo te sono draghi? domandò.

Non saprèi. La dragonessa batteva le ali per restare ferma in aria, mentre i nuovi arrivati le volteggiavano intorno. Le creature parvero sconcertate da Saphira. Si lanciarono contro di lei sibilando, ma solo per deviare sopra la sua testa all'ultimo momento.

Eragon sogghignò ed espanse la mente, nel tentativo di toccare i loro pensieri. Nello stesso istante, le tre creature sussultarono e lanciarono acute strida, aprendo le fauci come serpenti infuriati. Le loro grida laceranti erano mentali oltre che fisiche, e trafissero Eragon con una forza inaudita, cercando di renderlo inoffensivo. Anche Saphira la percepì. Continuando a strillare, le selvagge creature attaccarono, con gli artigli snudati.

Reggiti, lo avvertì Saphira. Ripiegò l'ala sinistra e fece un mezzo giro su se stessa, evitando due degli animali, poi battè rapida le ali per librarsi sopra il terzo. Nello stesso tempo, Eragon si affannava nel tentativo di bloccare le grida. Nell'istante in cui la sua mente fu di nuovo lucida, fece ricorso alla magia. Non li uccidere, disse Saphira. Lascia a me questo piacere.

Benché le creature fossero più agili di Saphira, la dragonessa aveva dalla sua il vantaggio della mole e della forza fisica. Una delle bestie alate si gettò in picchiata su di lei. Saphira si capovolse - volando in caduta libera - e sferrò un calcio al petto della creatura.

Il grido calò mentre l'avversario ferito batteva in ritirata.

Saphira dispiegò le ali, tornando in posizione normale per affrontare gli altri due che convergevano su di lei. Inarcò il collo, Eragon sentì un rombo sonoro scuoterle le costole, e poi una vampa di fuoco scaturì dalle sue fauci. Un alone azzurro avvolse la testa di Saphira, scorrendo lungo le squame sfaccettate finché la dragonessa non sfolgorò tutta di una luce abbagliante che sembrava illuminarla dall'interno.

Le due bestie serpentesche lanciarono grida sgomente e ciascuna virò su un lato di Saphira. L'assalto mentale cessò, mentre volavano via, dileguandosi veloci fra le montagne.

Per poco non mi facevi cadere, si lamentò Eragon, sciogliendosi i muscoli indolenziti delle braccia che aveva tenuto avvinghiate al suo collo.

Lei gli rivolse un sogghigno divertito. Per poco, ma non abbastanza.

È vero, rise lui.

Accaldati per l'eccitazione della vittoria, tornarono alle zattere. Mentre Saphira ammarava sollevando due ampi ventagli di spruzzi, Orik gridò: «Siete feriti?»

«No» esclamò Eragon. L'acqua gelida gli lambiva le gambe, mentre Saphira nuotava verso il battello. «Erano un'altra delle razze native dei Beor?»

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